Culle e banchi di scuola vuoti. Il crollo della natalità in Italia non mette solo in difficoltà la nostra economia ma, stando alla logica con cui agisce il ministero del Tesoro, porterà all’abolizione di 40 mila posti di lavoro per insegnanti. «Se il trend si conferma, a meno di una invasione di immigrati con bambini piccoli o di un improvviso “boom di nascite”, a partire dal 2019 e per 12 anni migliaia di classi dovranno essere chiuse», denuncia a tempi.it Orazio Niceforo, esperto di scuola e da 20 anni collaboratore del ministero dell’Istruzione.
Niceforo ha collaborato alla redazione di uno studio sugli effetti della denatalità sull’istruzione per la rivista Tuttoscuola. Secondo le analisi, nel 2019 verranno a mancare al primo anno delle scuole primarie più di 49 mila alunni, con un decremento di circa il 9 per cento rispetto al 2014. Il declino delle nascite, in 12 anni, porterà all’abolizione di 40 mila posti docente in tutta Italia e alla chiusura di 23 mila classi. «Se il dato delle nascite rimarrà costante, il periodo di magra durerà dal 2018 al 2030. Con le regole attuali ci potrebbe essere un taglio di organici pari almeno al 7 per cento», spiega Niceforo.
Niceforo, che cosa succederà nel primo anno di “magra”, il 2018?
Secondo il nostro studio saranno circa duemila le classi che nel 2018 non verranno riaperte per mancanza di alunni. Nel nord-ovest saranno chiuse 580 classi, nel sud 531, nel nord-est 437. Nel centro 242, nelle isole 209. In Lombardia potrebbero chiudere 381 classi, in Campania 261, nel Veneto 241. La chiusura di duemila classi comporterebbe un decremento di organico di circa tremila posti solo nel 2018. Lombardia e Veneto saranno le regioni più in crisi. In Lombardia nel 2018-19 vi saranno circa 9.500 alunni in meno, nel Veneto circa seimila.
Questi dati sono preoccupanti. Nell’attesa che gli italiani tornino a fare bambini, quale può essere la soluzione, almeno per quanto riguarda la scuola?
Lo Stato dovrebbe fare un investimento per tamponare l’emergenza con la stabilizzazione dell’organico. Bisognerebbe lasciare gli insegnanti in sovrannumero. Appositamente riqualificati, potrebbero essere impiegati in attività di sostegno, orientamento, recupero. L’obiettivo potrebbe essere quello di usarli contro la dispersione scolastica, specialmente nel biennio iniziale della scuola secondaria superiore, flagellata da una cifra molto alta di abbandoni, pari al 28 per cento.
Meno bambini e stesso numero di docenti. Lo Stato dovrà trovare i soldi.
Se non si alza il tasso di natalità o non ci saranno immigrati con bambini piccoli e non si vuole aumentare la disoccupazione non ci sono alternative. Questa d’altronde è materia del ministero del Tesoro. Se pensiamo che il peso della voce istruzione nella spesa pubblica è diminuito molto di più di altri in questi anni significa che lo Stato sta disinvestendo nell’istruzione. Da una parte si può capire il motivo: la spesa pubblica per l’istruzione è molto più grande di tutte le altre. Dall’altra occorre accorgersi che per rilanciare un’economia in declino non si può tagliare gli investimenti a questo settore.
Però le finanze pubbliche sono allo stremo.
Occorre uno sforzo. Teniamo presente che trasformare gli organici del comparto dell’istruzione in un serbatoio per ridurre la spesa complessiva significa anche ridurre l’efficienza dell’istruzione. I margini di flessibilità degli insegnanti sono stati ampiamente ridotti in questi anni. Non possono più fare istruzione mirata alle singole persone, specialmente quelle in difficoltà. La situazione è che le cattedre con 14-15 ore praticamente non esistono più e che ora si hanno solo cattedre da 18 ore. Alcuni bambini e ragazzi non possono essere seguiti.
La proposta di Tuttoscuola è usare gli insegnanti in eccesso per migliorare l’istruzione. Con i tagli alla spesa pubblica è verosimile che il Governo sia in grado di attuare un piano del genere?
Se come si dice spesso, e come afferma di voler fare il Governo Renzi, l’obiettivo è investire in modo mirato, non c’è di meglio che seguire la traccia del rapporto di Jacques Delors sull’istruzione e quindi migliorare la sua qualità, perché sia più efficace e mirata. Chiaro che non si può ridurre il budget. Si deve migliorare in questi termini, investire e non pensare alla scuola solo dal punto di vista occupazionale o di tagli di spesa.