«A noi Stato italiano cosa conviene? Alla fine ci conviene parità e costo standard». Intervistata dal settimanale Tempi (in edicola da oggi), il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini ha parlato di scuola, in particolare di quelle statali e paritarie. Nel dialogo col direttore di Tempi, Luigi Amicone, il ministro arriva ad auspicare che si giunga a una effettiva parità anche per le scuole non statali, perché quella attuale è senza «ossigeno, non ci sono le risorse per attuarla concretamente».
Secondo Giannini, «i tempi sembrano maturi perché questo possa avvenire e mi parrebbe curioso che nell’ambito della scuola questa coraggiosa azione di riforma strutturale non avvenisse».
Tuttavia, il ministro vede due importanti ostacoli all’orizzonte: «Primo: i pregiudizi culturali. Pensi alla discussione veramente fuorviante che abbiamo avuto lo scorso anno a proposito del referendum sulle scuole paritarie a Bologna. Mi stupì che anche persone di alto livello culturale sostenessero allora che pubblico è sinonimo di statale. La prima condizione è che la parità scolastica non sia più un tema di parte e, per dirla brutalmente, il tema di una certa sinistra che è contro il paritario perché diventa privato, perché diventa cattolico e perché diventa clericale. Ma è e dev’essere un tema condiviso alla luce di uno schema europeo e di un principio di libertà di scelta educativa che è principio inoppugnabile, qualunque sia la politica alla quale si appartenga».
Il secondo problema è, come detto, quello dei costi. Ma questa potrebbe essere superata con «l’applicazione del “costo standard”». Se ciò non si realizzasse, «tra cinque-sei anni, il sistema delle paritarie si spegnerebbe. Ma se si spengono le paritarie, saranno 6 miliardi e spiccioli in più che graveranno sul bilancio del già oneroso bilancio dello Stato. Dunque, al di là delle considerazioni culturali e di principio fatte sopra, mettiamoci pure la benda della cecità politica: a noi Stato italiano cosa conviene? Alla fine ci conviene parità e costo standard».