Come sciacalli intorno a Lupi

Di Ermes Antonucci
14 Maggio 2021
«Corrotto, mandarino, dimettiti da padre prima che da ministro». Breve ripasso del linciaggio mediatico subìto dall’ex titolare delle Infrastrutture. Nemmeno indagato nella solita maxi inchiesta poi finita in nulla, ma infamato come colpevole «a prescindere»
Maurizio Lupi circondato da microfoni di giornalisti
Maurizio Lupi circondato dai microfoni dei giornalisti (foto Ansa)

Pubblichiamo un estratto del libro di Ermes Antonucci I dannati della gogna, uscito in libreria il 5 maggio. Il saggio racconta venti storie esemplificative di vittime della gogna mediatico-giudiziaria. Ne sono protagonisti volti noti, da politici a funzionari pubblici a manager di successo, ma anche persone comuni, a conferma che il virus della gogna, come qualsiasi altro virus, non guarda in faccia a nessuno.

* * *

«Chi ripagherà dei giorni terribili passati dalle persone coinvolte, le carriere rovinate, la sofferenza dei familiari?».

La gogna mediatico-giudiziaria può devastare la vita anche di chi non è indagato. Uno degli esempi più emblematici è quello di Maurizio Lupi, parlamentare per cinque legislature, vicepresidente della Camera dei deputati dal 2008 al 2013 e ministro delle Infrastrutture e dei trasporti del governo Renzi dal 2013 al 2015. Per ricordare la sua storia basta una parola: Rolex. 

Tutto nasce l’11 marzo 2015, con la deflagrazione della maxi inchiesta “Grandi opere”, avviata dalla procura di Firenze. Vengono arrestate quattro persone, tra cui l’ex super dirigente del ministero dei Lavori pubblici Ercole Incalza (il padre dell’alta velocità in Italia) e l’imprenditore Stefano Perotti, mentre altre 50 vengono indagate. L’elenco delle accuse è chilometrico: corruzione, induzione indebita, turbativa d’asta, altri svariati delitti contro la pubblica amministrazione e persino associazione a delinquere. Secondo i pm fiorentini, una “cupola” pilotava i grandi appalti pubblici in tutta Italia, come quelli legati all’alta velocità, a Expo e alle autostrade. 

Copertina di "I dannati della gogna", libro di Ermes Antonucci sulle vittime del circuito mediatico-giudiziario

L’allora ministro Lupi non viene mai formalmente indagato, ma finisce coinvolto nel tritacarne mediatico-giudiziario in virtù di alcune intercettazioni, del tutto penalmente irrilevanti, rilanciate sui giornali. L’accusa mossa dal tribunale mediatico nei suoi confronti è di aver mantenuto un legame troppo stretto con Incalza (che all’epoca, però, rappresentava uno dei massimi vertici del ministero guidato da Lupi) e di aver ricevuto alcuni favori, come un abito sartoriale, e un lavoro e un Rolex da 10 mila euro per il figlio Luca. In realtà, a quel tempo il figlio di Lupi aveva già accettato un lavoro negli Stati Uniti, e il tanto discusso Rolex rappresentava un regalo per la laurea appena ottenuta da parte di un imprenditore da tempo amico di famiglia. 

Nonostante la scarsa credibilità dei fatti, però, i principali organi di informazione scatenano la gogna contro Lupi, chiedendone le dimissioni. Nessuno si tira fuori dal tiro al bersaglio. Il Fatto quotidiano definisce in prima pagina gli indagati «la banda dei soliti noti», concentrando la mira su Incalza, ma invocando comunque il passo indietro del ministro: «Lupi non sarà indagato nell’indagine ma a prescindere dal Rolex, dagli abiti e dal lavoro al figlio appare come il responsabile politico e morale di questa vicenda». 

Su Repubblica, in un lunghissimo editoriale Francesco Merlo si scaglia contro la «spregiudicatezza del militante di Comunione e Liberazione», sentenziando: «Prima che da ministro devi dimetterti da padre». 

La canzoncina di Crozza

«Corrotti, corruttori, figli e cognati: il selfie del nostro paese», scrive Massimo Gramellini sulla Stampa, mentre sul Corriere della Sera Sergio Rizzo sfrutta l’occasione per allarmare i lettori sull’esistenza di una «ragnatela di mandarini» e di «superburocrati più potenti dei politici». 

Su La7, Maurizio Crozza decide di aprire la puntata del suo programma cantando una versione rivisitata di Attenti al lupo di Lucio Dalla, che recita: 

«C’era un ministro piccolo così
con sette tangenziali già appaltate
aveva un figlio piccolo così
che lui doveva un po’ raccomandare
e c’è un imprenditore un po’ così
con dei cantieri immensi da avviare
e una telefonata un po’ così
in cui diceva fallo lavorare
abbiamo tutti da guadagnare
figliolo mio non devi stare in pena
ora Perotti si scatena
e se poi si mette male
guarda con Incalza parlo io
vedrai che ti trovo un posto
tu dì che sei figlio mio
tu dì che ti chiami Lupi
attenti al Lupi. Attenti al Lupi
Rolex together. Rolex together
perché in questo paese va così
perché va così
ti dicono che il merito è importante
è importante…
ma se il papà è ministro sai com’è
il lavoro arriva in un istante
non ce n’è uno che faccia il bracciante
e piazzò i figli anche la Fornero
figli la Fornero
e poi la Cancellieri, ma davvero
pure lei
perché è un paese fatto un po’ così
per i potenti c’è da lavorare
e tutti gli altri vadano a cagare
ora guarda qui che confusione
non è mica corruzione
solo un piccolo favore
guarda che a Matteo lo spiego io
con Alfano siamo a posto
se convinco anche Delrio…
dopo tutto siamo Lupi
siam tutti Lupi. Siam tutti Lupi
Rolex together. Rolex together».

Alla fine Lupi è costretto a dimettersi. Dimenticate le certezze del tripudio forcaiolo, però, a livello giudiziario le cose vanno molto diversamente. Nel 2016 gli stessi pm fiorentini archiviano l’accusa di associazione a delinquere. Un anno dopo, gli indagati ottengono un’altra archiviazione in uno dei filoni dell’inchiesta finiti per competenza a Roma. Per Incalza, che a causa dell’indagine ha trascorso 19 giorni in carcere e altri 71 ai domiciliari, si tratta del sedicesimo proscioglimento in sedici casi. 

Nel novembre 2019, dopo quattro anni, i pm di Milano chiedono e ottengono l’archiviazione di un altro stralcio dell’indagine avviata a Firenze: si tratta proprio del filone in cui era finito coinvolto indirettamente Lupi. 

«Non vi auguro tutto questo»

«Ero certo, come lo sono adesso, della correttezza del lavoro dei miei collaboratori al ministero e non ho mai contestato la legittimità delle indagini ma sempre il processo mediatico che ne è seguito e la sua strumentalizzazione politica», afferma Lupi sulla sua pagina Facebook dopo l’archiviazione. «Non rimpiango di essermi dimesso perché con quel gesto volevo testimoniare la mia concezione di politica e di governo. Mi domando solo: chi ripagherà dei giorni terribili passati dalle persone coinvolte, le carriere rovinate, la sofferenza dei familiari?», si chiede l’ex ministro, per poi rilanciare il video dell’intervento con cui, il 20 marzo 2015, annunciò le sue dimissioni alla Camera dei deputati. 

C’è proprio un passaggio di quel lungo discorso del 2015 che merita di essere riportato: 

«A voi giovani deputati che urlando fuori dalla realtà e agitando demagogie a brandelli mi avete insultato in questi giorni auguro dal profondo del cuore di non trovarvi mai dentro a bolle mediatiche difficili da scoppiare. Vi auguro di non aver mai qualcuno che con potenza di fuoco entra nella vostra vita di affetti e di intimità, vi auguro di non avere mai nessuno che tiri in ballo la vostra famiglia. Ho molti difetti e molti limiti, ma dopo tanti anni ancora non perdo il sorriso e il buon umore. Ogni esperienza è in grado di arricchirmi e vedo il lato positivo in questa difficile vicenda. Tante persone che mi hanno dimostrato amicizia, che per me è più importante di qualsiasi cosa perché, sarò un ingenuo, sarò un romantico, sarò fuori moda, sarò un comprimario (come qualcuno ha legittimamente scritto), ma io tengo ai rapporti umani e ai rapporti personali più di tutto.

Per stringere amicizia su Facebook basta un tasto, farlo nella vita è più difficile ma è anche più bello e nessuna intercettazione pubblicata e decontestualizzata può togliermi ciò che per me vale più di tutto: dare la propria vita, il proprio impegno, le proprie capacità al servizio della tua comunità. Tommaso Moro diceva, scrivendo alla figlia: “Nulla accade che Dio non voglia, e io sono sicuro che qualunque cosa avvenga, per quanto cattiva appaia, sarà in realtà sempre per il meglio”. Lascio il governo a testa alta guardandovi negli occhi. Continuerò a farlo dai banchi del Parlamento.

Onorevoli colleghi, so che il tempo sarà galantuomo, spero sia altrettanto galantuomo in futuro chi oggi ha speculato sul nulla. Perché oggi il pregiudizio ha vinto sul giudizio».

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