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Il sacrificio di monsignor Padovese nella Turchia «lavata dal sangue di tanti martiri»

Quattro anni fa moriva il vicario apostolico dell'Anatolia, assassinato dal suo autista islamico fanatizzato. «Accettare di essere ridotti a una presenza insignificante? Una strada che non renderebbe giustizia alla storia dei cristiani in questi paesi»

Leone Grotti
14/06/2014 - 3:30
Chiesa
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Luigi Padovese«Se oggi mi si chiedesse: sei contento di essere dove sei? Risponderei certamente di sì. Le difficoltà non hanno ridotto, ma anzi aumentato l’amore per questa Chiesa piccola ma importante. È facile amare quando tutto va bene e funziona, eppure tutti sappiamo che l’amore si misura nella prova». Sono queste le parole quasi profetiche che monsignor Luigi Padovese, vicario apostolico dell’Anatolia, ha rivolto ai pochi fedeli della chiesa turca quattro giorni prima di essere assassinato a Iskenderun.

La scorsa settimana si è celebrato il quarto anniversario della sua morte, avvenuta il 3 giugno 2010 per mano del suo autista musulmano, Murat Altun. Il vescovo è stato ucciso in casa sua: i medici che hanno effettuato l’autopsia hanno trovato coltellate su tutto il corpo, otto al cuore. Prima di morire, Padovese è riuscito a raggiungere la soglia di casa per chiedere aiuto. Poi il suo assassino lo ha sgozzato, è salito sul tetto della casa e ha gridato: «Ho ammazzato il grande satana! Allahu Akbar».

Nessuno sa con precisione perché Altun l’abbia ucciso. L’autista è stato condannato a 15 anni di carcere nel 2013 e durante il processo ha addotto motivazioni diverse e contrastanti per il suo gesto: se alla polizia aveva accennato a una «rivelazione divina», ai giudici ha parlato di un rituale islamico, poi ha confessato di essere infermo mentalmente e infine ha citato un presunto rapporto omosessuale con il vescovo. Dopo la condanna ha dichiarato: «Sono pentito per avere ucciso monsignor Luigi, l’ultima persona che nella vita mi poteva fare del male. Ma in quel momento non ero padrone di me stesso». Nonostante i giudici abbiano escluso qualunque collegamento tra l’omicidio e l’appartenenza all’islam di Altun, al processo la sua famiglia l’ha continuamente incitato: «Dio è con te».

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luigi-padovese-la-verita-nell-amorePrima che pastore in terre difficili, Padovese, milanese figlio della Chiesa ambrosiana, ordinato sacerdote nel 1973 con i cappuccini, è stato un importante teologo e patrista. Dal 1982 fino al 2009-2010 ha insegnato in diverse università e realtà accademiche come la Pontificia Università Antonianum, l’Istituto Francescano di Spiritualità, la Pontificia Università Gregoriana e l’Alfonsianum. Già da ricercatore aveva conosciuto e amato la Turchia, terra che ha dato i natali a san Paolo e dove per la prima volta i seguaci di Gesù sono stati chiamati “cristiani” ad Antiochia. Quando nel 2004, a quasi 60 anni, è stato nominato vicario apostolico dell’Anatolia, ha accettato il nuovo incarico «con grande entusiasmo e fervore, spendendosi generosamente per la sua nuova missione con un impegno unanimemente riconosciuto», ha scritto il cardinale Angelo Scola, unito a Padovese da un profondo legame di amicizia, nella prefazione del libro La verità nell’amore. Omelie e scritti pastorali di monsignor Luigi Padovese (edizioni Terra Santa, 2012).

Padovese conosceva bene le difficoltà della sua nuova missione. Ai suoi fedeli scriveva nell’ottobre del 2005: «Tra tutti i paesi di antica tradizione cristiana, nessuno ha avuto tanti martiri come la Turchia. La terra che noi calpestiamo è stata lavata con il sangue di tanti martiri che hanno scelto di morire per Cristo». L’ultimo in ordine di tempo era sicuramente don Andrea Santoro, il sacerdote romano ucciso il 5 febbraio 2006 nella chiesa di Trabzon mentre era raccolto in preghiera.
In occasione del primo anniversario della sua morte, Padovese disse: «Chi ha pensato che uccidendo un sacerdote avrebbe cancellato la presenza cristiana da questa terra, non sa che la forza del cristianesimo sono proprio i suoi martiri… Preghiamo per il suo giovane assassino. La forza del nostro perdono e della nostra preghiera lo aiuti a capire che l’amore è più forte della morte».

Nel secondo anniversario della morte di don Santoro, cosciente di essere lui stesso in pericolo, Padovese disse durante una Messa: «L’assassinio di un mio sacerdote, il ferimento di un altro, le intimidazioni ricevute, l’abbandono del sacerdozio di un giovane e poi le difficoltà di gestire una realtà molto piccola ma complessa, mi hanno pesato e a volte mi tolgono la tranquillità e il sonno. C’è poi il timore che all’improvviso uno o più pazzi, come è avvenuto ultimamente a Malatya, compia qualche gesto folle. Questa situazione vincola ancora i miei movimenti perché mi rendo conto che ormai tutto è possibile».

Il dialogo con le altre fedi
Ma nonostante queste difficoltà non ha mai pensato di abbandonare la Turchia. Anzi, era convinto dell’importanza di essere presenti come comunità cristiana: «Il primo passo nel diventare cristiani si fonda nell’incontro di uomini che vivono da cristiani convinti. Se, come è avvenuto nei decenni passati, accettassimo come cristiani di non comparire, restando una presenza insignificante nel tessuto del paese, non ci sarebbero difficoltà, ma rendiamoci conto che, come sta avvenendo in Palestina, in Libano e soprattutto in Iraq, è una strada senza ritorno che non fa giustizia alla nostra storia in questi paesi nei quali il cristianesimo è nato e fiorito, e che non farebbe giustizia alle migliaia di martiri che in queste terre ci hanno lasciato in eredità la testimonianza del loro sangue».

Alla testimonianza, monsignor Padovese ha sempre affiancato il dialogo, soprattutto con i fedeli musulmani. Il motivo che lo spingeva al dialogo è contenuto nel suo motto episcopale, In Caritate Veritas, che lui spiegava così: «Ispirandomi al grande figlio di Antakia e poi vescovo di Costantinopoli, Giovanni Crisostomo, ho scelto come motto episcopale: In Caritate Veritas – La verità nell’amore. Sono poche parole ma esprimono il mio programma di ricercare nella stima e nel reciproco volersi bene la verità. Se è vero che chi più ama, più si avvicina a Dio, è anche vero che per questa strada ci avviciniamo al senso vero della nostra esistenza, che è un vivere per gli altri. Del resto la porta della felicità si apre solo dall’esterno. Su questa convinzione si fonda anche la mia volontà di dialogo con i fratelli ortodossi, quelli di altre confessioni cristiane e con i credenti dell’islam».

La vita e la morte di Luigi Padovese hanno portato frutto. Almeno a giudicare dai suoi funerali, che si sono tenuti in una cattedrale di Iskenderun colma di persone. Ai cattolici si sono uniti non solo i fedeli e le autorità della Chiesa ortodossa, ma anche i responsabili e il popolo musulmano della zona.

@LeoneGrotti

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