Questo virus ci obbliga ad andare a lezione di filosofia
Cronache dalla quarantena / 16
Il parroco muezzin del nostro villaggio gallurese, di milleottocento anime e della prima nonnina morta di coronavirus, ieri è salito in cima a non so quale campanile e ha fatto Messa con l’altoparlante. E nessun Peppone l’ha disturbato. D’altro canto in questa reclusione comandano le teste più dure.
Mi manca il calabrese, ma per adesso a casa mia c’è già la valtellinese, l’abruzzese e perfino il “testa de cruat”. «Non siamo ricchi, ma neanche privi di memoria dei fratelli italiani che un tempo ci hanno salvati, ospitati, adottati». Ci sono leader che hanno le palle. E Edi Rama, primo ministro dell’Albania che Tempi intervistò a suo tempo, è uno di questi. Le ha messe in mostra accompagnando la partenza di un gruppo di infermieri per gli ospedali italiani, con un messaggio che non dimenticheremo tanto in fretta.
Grazie Presidente. È una fase dell’umanità assolutamente inedita. Mio cognato Duilio, papà della campionessa di surf resa famosa dal New York Times per la campagna di “uguaglianza di genere” a riguardo degli stipendi degli atleti, ha chiuso il suo ristorantino “Valenti&Co”, a San Anselmo, dalle parti di San Francisco, ma cerca di lavorare lo stesso servendo i clienti a casa, per guadagnarci quel poco che servirebbe per non licenziare i suoi tre dipendenti.
È l’approccio Mario Draghi: fare debito non soltanto per sostenere i disoccupati e le aziende in crisi. Ma fare debito per aiutare le aziende a non chiudere e per mantenere i posti di lavoro. In Italia il governo pentastellato-piedino mi pare ragioni in logica continuazione col reddito di cittadinanza. A cui adesso aggiunge il reddito di emergenza. Tutto bene. Ma non a medio e lungo termine. Poiché il soldo si può stampare all’infinito. Ma per vivere devi mangiare. E se non c’è chi produce e non c’è chi finanzia a debito la ripresa di produzione, prima o poi finisce male per tutti.
Solo nella prima settimana di infezione, 11 milioni di americani sono entrati nelle liste di disoccupazione. «Mi fa incazzare – mi dice Duilio – che ristoratori milionari accedano ai sussidi di Stato. Ma pagali te, barbone di un milionario, i dipendenti». È la vecchia storia dei ricchi che credono di essere furbi a farsi più ricchi sulle catastrofi che ammazzano i poveri. Ci riescano o meno, l’avidità non li scamperà da robuste urne cinerarie. E dal Giudizio.
Nel paese del capitalismo senza “Obama care”, l’iperliberista Donald Trump obbliga Gm a fare respiratori, i proprietari di case a non sbattere fuori i morosi, le aziende elettriche a non tagliare l’elettricità ai poveracci. Insomma, un conto è parlare da torero che “mata” il mondo con i social, come ha insegnato il piazzista di social e sogni belli Barack Obama, che il mondo ha largamente devastato. Un conto è scendere nell’arena. Perciò, nonostante l’iniziale sottostima del pericolo, tipica del “bauscia”, bravo Trump.
La forza di un leader non deriva dal fatto che ha studiato a Harvard, ha la moglie green e il like facile facile. La forza di un leader è la capacità di cambiamento a partire dalla realtà. Nei fatti. Non nelle conferenze. Corrida, metafora del comando, il toreador si forma in combattimento, non sul lezionario di Scienze governative o di Dottrina sociale (sia essa della Chiesa cattolica o della Massoneria di rito scozzese).
Non so se e quanto ci vorrà a sconfiggere l’infinitesimale killer senza corna ma dalla carica mortale che avercela. Però di gente che si lamenta e lagna, protesta e gnegnè era già pieno il mondo. Adesso, per fortuna, si sta svuotando un po’. Tranne dalle parti dei cinquestelle che seguitano il chiagni e fotti nella forma di autarchia suicida: «Faremo da soli». Vuoi dire che spezzeremo le reni all’Europa?
Non così, grazie a Dio, si è mostrata la tipella mamma Giorgia Meloni. D’altronde mai lagnosa e mai fighetta. Ammettiamolo e rimiriamo il contraccolpo che ha esposto sul proprio profilo, davanti al gesto del Papa. E che ciascuno di noi, io penso così – 17 milioni e passa di italiani raccolti davanti alla tv venerdì scorso – ha condiviso al 100 per cento.
«Oggi Piazza San Pietro – scriveva venerdì sera la Meloni – non era deserta. Eravamo tutti li. Spaventati, stanchi, arrabbiati ma non rassegnati. Eravamo tutti lì. Intorno l’abbraccio del colonnato, sui nostri volti la pioggia, nell’aria il fumo dei bracieri accesi, nelle orecchie il rumore dell’acqua. Eravamo tutti lì, insieme al successore di Pietro e davanti la sua cattedra. Chi con le mani giunte, chi in ginocchio, chi con il capo piegato. Eravamo tutti lì, uniti, in preghiera. In silenzio. Eravamo tutti lì, insieme, davanti al Crocifisso rigato da un sangue che all’improvviso sembrava vivo. Eravamo tutti li e Lui soffriva insieme a noi. Eravamo tutti lì, insieme, per ricevere la Sua benedizione e colmare il cuore di speranza. E non lo dimenticheremo».
Grazie Giorgia Meloni. Sono così contento della profondità luminosa di questa crisi oscura, che inizio a sospettare che quel che ci dicevano i nonni – non cade foglia che Dio non voglia – non solo non è fatalismo antico, ma è un modernissimo scatto fotografico all’osso dell’esistente. Altro che Heidegger. Questo virus ci obbliga ad andare a lezione di filosofia. E la lezione scuote tutti. L’analfabeta del Togo così come il professore di Princeton.
Il secondo parte più svantaggiato e avrebbe meno chance di imparare. Se non fosse che gli Stati Uniti esplodono come e più dell’Italia. Filosofia, pensiero, una vera e propria scuola di formazione alla vita si sta dimostrando quest’obbligo di dimora e obbedienza ai decreti, ordinanze e autocertificazioni (che, giustamente è stato detto, tra un po’ ci fai l’enciclopedia).
In un mondo di pirla che fino a ieri predicavano che loro non avevano limiti e che potevano alzarsi uomini al mattino e la sera andare a letto transgender, ecco che anche Achille Lauro, nel suo piccolo, ci deve ruminare su. La creatività pensosa italiana si vede anche nella quantità di battute, sketch e video che hanno ripreso a circolare dopo la prima ondata di crisi. Lo spavento ha fatto tacere per un po’ i giocherelloni. Poi, la fantasia italica in resilienza a domicilio coatto si è di nuovo scatenata in forme, sfumature e gradazioni che faranno certamente scrivere gli storici di una stagione che è stata la prova generale della fine del mondo. Ma con judicio.
Meraviglia delle sorprese è scoprire che il tuo capo, manager di multinazionale high tech, è una massaia di rara perizia, che sa riempire le lunghe giornate di olio di gomito e profumati risottini. O come un mio carissimo amico, super dinamico imprenditore, che rimpatriato a casa si trasforma in un finissimo cantastorie. Anzi, un vero scrittore transformer. Segnatevi questo nome. Mario Sala. E andate a leggere La vera storia del signor Giuseppe.
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