
Edi Rama. Intervista al premier dell’Albania, il paese che sogna l’Italia e l’Europa dopo cinquant’anni di comunismo
È trascorso un mese dalla visita di papa Francesco in Albania ma il primo ministro Edi Rama è ancora al settimo cielo. «Francesco ci ha fatto un regalo davvero fantastico». Mercoledì 22 ottobre Rama incontrerà il suo omologo serbo a Belgrado. L’ultimo meeting tra i primi ministri di Serbia e Albania risale al 1946. Effetto Francesco? Comunque sia, l’uomo al settimo cielo è deciso a portare l’Albania in Europa. E i Balcani fuori dai conflitti balcanici. La stragrande maggioranza dei suoi concittadini (circa il 60 per cento) è ufficialmente di fede musulmana. Ma in Albania la religione è tutt’altro che un tema divisivo. Anzi. C’è curiosità. E nessuno vuole che la religione si abbassi agli “ismi” che hanno investito questo fazzoletto di terra facendone un tumulo desertificato. Sulla stessa piazza campeggiano il Museo nazionale, lascito della Repubblica popolare cinese, il Teatro dell’Opera, dono dell’Unione Sovietica, i palazzi ministeriali costruiti in epoca fascista. Il mondo è cambiato e anche Tirana è uscita dal freezer. Adesso la bandiera con l’aquila nera a due teste in campo rosso sventola orgogliosa sui pennoni dei palazzi. Ma la Banca Veneta piuttosto che Conad, gli hotel austriaci piuttosto che i laboratori di Zara, Carrefour e Volkswagen, hanno soppiantato ogni refolo di “ismo”.
Si corre, a Tirana. Anche se lo stipendio di un operaio non supera i 200 euro mensili e quello di un medico i 400. C’è fame di lavoro (la disoccupazione è al 30 per cento) ma anche di Dio in un paese dove Dio aveva perso la cittadinanza e per quasi mezzo secolo si è rischiata la fucilazione solo a nominarlo. Ma se le chiese dei cristiani ortodossi non sono in prima fila nel fondaco di Tirana mentre i cattolici restano una minoranza (15 per cento), vorrà pur dire qualcosa la folla (anche di musulmani) che si è assiepata lungo la strada dell’aereoporto e nella principale piazza (entrambe intitolate alla Beata Madre Teresa di Calcutta) per vedere e ascoltare un romano Pontefice.
«L’Albania è un fenomeno di convivenza tra fedi religiose unico al mondo», assicura Rama. Tre milioni di abitanti (e altrettanti sparsi tra Kosovo, Grecia, Macedonia o emigranti in giro per Europa, Usa e Canada), di cui 1,5 concentrati a Tirana e sobborghi. Capitale fino al 1989 dell’esperimento comunista più brutale dell’Occidente. E poi, caduto il Muro, piattaforma dell’industria dell’emigrazione clandestina di massa a colpi di navi catorcio e scafisti assassini. Oggi, dopo un ventennio di disordinato boom economico e di fragorose convulsioni sociali (le ultime tre anni fa, quando Rama si mise in piazza, alla testa degli oppositori del governo Berisha), l’Albania sembra aver trovato la via della stabilità nonostante la crisi. Il Pil di Tirana è di qualche zero virgola superiore allo zero italiano. Ma il copyright del tafazzismo lo lasciano volentieri a noi, “fratelli” dell’altra sponda dell’Adriatico. E così, anche psicologicamente, l’Albania non si attarda nella narrazione delle miserie. Guarda avanti. Somiglia all’Italia anni Cinquanta. Ha fame di benessere, di costruzione, di futuro. E infatti, dalla Grecia in default, come dall’Italia che ben conosciamo, è controesodo verso Tirana di migranti albanesi. Merito anche del premier artista, giornalista, pittore.
Fisicamente un gigante (è stato anche nazionale di pallacanestro), Rama è un tale che nella vita ha fatto altro «prima di finire incastrato nel vicolo cieco della politica». Artista a Parigi, giornalista mondano (ha firmato per Guardian e New York Times, Frankfurter e Independent). Prima di essere eletto premier è stato un epico sindaco di Tirana (2000-2009) che ha letteralmente cambiato la faccia alla città, ordinando di cancellare con colori pastello il grigio-topo dei palazzi del socialismo reale. Dal 2003 Rama è capo del Partito socialista albanese e dal 2013 è il Renzi di un governo di giovanissimi decisi a far bene e a farlo in fretta. A giugno ha chiuso il famigerato villaggio-fortezza di Lazarat, dove si producevano 900 tonnellate di droga l’anno per un fatturato di quasi 5 miliardi di euro, equivalente pressappoco alla metà del Pil albanese. E ha messo in campo riforme del lavoro, della giustizia e del fisco che spalancano le porte agli investimenti stranieri a costi irrisori e con certezza del diritto.
Signor Primo Ministro, per il suo primo viaggio in Europa papa Francesco ha stranamente scelto l’Albania, paese candidato ma ancora molto lontano dall’obiettivo Unione Europea. Cosa trattiene della giornata trascorsa con il Pontefice?
È stato un giorno fantastico. Per tutti. Noi soffriamo dell’immagine assai distorta del nostro paese. D’altra parte non è facile ricevere attenzione dai media internazionali se non sei parte di un conflitto e non puoi essere raccontato con certi stereotipi. Da questo punto di vista la visita del Papa è stata una benedizione perché ha creato le condizioni per vedere l’altra Albania, quella vera, un esempio unico di convivenza religiosa. In questo paese non c’è solo armonia religiosa, c’è fratellanza vissuta nel quotidiano. Non c’è nessun tipo di barriera. I matrimoni misti sono all’ordine del giorno così come le feste di ciascuno sono le feste di tutti. L’Albania è un posto dove non si avverte nessuno dei problemi di cui parlano i media. Qui sia Natale sia Bayram (festa per la nascita di Maometto, ndr) sono vissuti allegramente e insieme.
Lei è di estrazione musulmana, cristiana, agnostica… o che altro?
Io? Io sono un caso un po’ particolare. Sono cattolico. È stata mia nonna a imporre il mio battesimo. Anche se in famiglia erano tutti ortodossi. Ma mia nonna, come tutte le minoranze organizzate, riusciva sempre a imporsi sulla maggioranza disorganizzata…
Dunque Francesco le ha fatto un doppio regalo.
Sì, ma il regalo è stato fatto a tutto il popolo albanese. È stato simbolicamente bellissimo vedere un papa varcare le frontiere dell’Europa non a Bruxelles ma a Tirana. Non nel centro dell’impero ma nella sua più difficile periferia. E poi, anche umanamente, questo papa è qualcosa di straordinario, rende la fede una cosa tangibile. E noi che siamo più seguaci di san Tommaso che seguaci di Gesù Cristo, noi che non crediamo senza toccare, per noi toccare questo papa è stata una cosa incredibilmente religiosa. Dico per me, ma credo di poter parlare a nome di tutti. Vedere la gente nelle strade fin dalle prime ore dell’alba, cristiani e musulmani insieme, sono scene indimenticabili.
Artista a Parigi, sindaco, leader socialista, capo popolo e infine primo ministro. È un profilo un po’ singolare il suo, non crede?
È strano questo profilo come è strano questo paese. Noi siamo usciti da cinquant’anni di regime che non era simile a niente nell’impero rosso. Perché mentre in tutti gli altri paesi comunisti non esistevano alternative politiche ma c’erano alternative culturali, sociali o religiose, nell’Albania di Enver Hoxha non c’era nessun tipo di alternativa. Poi, la vita è venuta in un certo modo. E io ci sono rimasto dentro senza poter più uscire dal vicolo cieco della politica.
Sembra che negli ultimi ventitré anni lo Stato italiano abbia fatto affluire a Tirana qualcosa come un miliardo e duecento milioni di euro.
Sì, l’Italia è la nostra America. È diventata la nostra terra promessa durante gli anni del buio. Ma in fondo è sempre stato così. L’Italia è il nostro partner naturale perché qui tutti parlano italiano e perché i nostri stili di vita sono gli stessi dell’Italia dei vostri nonni. Certo, oggi assistiamo a una sorta di capovolgimento della storia contemporanea, perché ci sono sempre più italiani che vengono in Albania anche a cercare lavoro. Gianni Amelio è venuto a Tirana agli inizi degli anni Novanta e qui ha girato Lamerica. Mi ha detto che vuole tornare per raccontare una storia al rovescio: un film sugli italiani che emigrano in Albania. Non si deve esagerare, però c’è qualcosa di vero in questa tendenza. Mi pare che in Albania ci siano già tutte le condizioni che gli imprenditori italiani cercano di avere in patria: Stato al servizio delle imprese, manodopera qualificata incomparabilmente meno costosa di quella del vostro paese, fisco poco oneroso, lingua italiana, distanza geografica relativamente ridotta…
E dal punto di vista globale, quali sono i paesi con cui l’Albania intrattiene relazioni preferenziali?
Guardi, questo è un paese che il comunismo ha trasformato nel paese più pro-americano del pianeta. L’Albania è più filoamericana di tanti Stati degli Stati Uniti d’America. Più dell’America c’è solo l’Italia. Il primo paese con cui l’albanese si identifica è l’Italia.
Però si tende anche ad accreditare la notizia che i paesi musulmani guardino all’Albania come alla piattaforma dell’islam in Europa.
Queste sono proiezioni nel futuro di gente che non conosce la realtà e non sa niente, veramente niente, della storia dei Balcani. Non mi sembra che dall’Albania siano andate a combattere in Siria tutte quelle persone che invece sono partite dalla Francia, dalla Gran Bretagna o dalla Germania. Gli albanesi rappresentano la maggioranza musulmana nella regione e sono musulmani più europeisti degli elettori non musulmani europeisti. Perciò, non soltanto non possono essere messi nella categoria dei musulmani pericolosi, ma rappresentano una grande risorsa culturale e politica per l’Europa. Quindi, questa idea che l’Albania sarà la piattaforma dei minareti in Europa è una profezia stupida. D’altra parte l’Europa non può lasciare i Balcani fuori dal suo progetto di unificazione e non può dare agli estremisti e alla propaganda degli estremisti argomenti per dire ai musulmani: “L’Europa non vi vuole perché l’Europa è un club di cristiani che odia i musulmani”. Non dobbiamo dimenticare che viviamo in una regione di povertà, di disoccupazione e di lunghi conflitti. Una regione come questa, dove c’è una ripresa fragile ma importante, deve essere sostenuta, non sospettata.
È per questo che l’Albania non si ritira dall’organizzazione della Conferenza islamica? L’Albania ne è membro dai primi anni Novanta, quando scoppiarono i conflitti nei Balcani.
Non usciamo perché sarebbe uno strappo inutile. L’Albania non si è mai allineata a nessun tipo di guerra santa né tantomeno di attività politica contro Israele. Non bisogna dimenticare che questo è l’unico paese d’Europa (con la Spagna, ma la Spagna non era in guerra e non è stata occupata dai nazi-fascisti) in cui gli ebrei sono stati protetti e adottati da famiglie musulmane e cristiane. È una storia unica: qui in Albania nessun ebreo è stato consegnato agli aguzzini di Auschwitz. Tutto ciò spiega perché oggi noi abbiamo con Israele un legame e un’alleanza fortissimi. Siamo nella Conferenza islamica ma questo non ci impedisce di essere sempre fermi contro ogni violenza e ogni propaganda nazista, anche ammantata di veste religiosa, contro Israele e gli ebrei.
Il 22 ottobre lei sarà a Belgrado per incontrare Aleksandar Vucic, un uomo alto quasi come lei ma più giovane di lei. Sarà davvero un summit storico?
Le ricordo soltanto che si tratta del primo meeting tra i primi ministri dei due paesi dopo sessantotto anni. Il primo e ultimo si è svolto nel 1946. Una delle ragioni per le quali il Papa ha accettato il mio invito credo sia proprio questa: siamo nel centenario della Prima Guerra mondiale e siamo nei Balcani, dove la Prima Guerra è scoppiata. Però siamo anche nel 2014, il primo anno nella storia dei Balcani senza che ci siano conflitti lungo una delle nostre frontiere. Dopo l’accordo di pace tra gli albanesi in Kosovo e i serbi, siamo entrati in una nuova era di pace e cooperazione. È per questo che la visita del Papa è diventata una necessità. C’è una grande speranza nei Balcani e questa speranza ha un nome: Europa.
Però è anche evidente che i popoli europei sono stanchi di un’Europa priva di visione politica e governata da tecnocrati.
Capisco. Ma se l’euro è diventato il capro espiatorio non è perché la moneta unica rappresenta un problema in sé, ma perché non è stata accompagnata da altre invenzioni coraggiose a livello politico.
Dopo l’arresto del governatore della Banca centrale albanese può essere che importiate dall’Italia anche il conflitto tra politica e magistratura?
Posso risponderle con una battuta?
Ci mancherebbe.
E allora diciamo così: quando siamo nudi siamo gli stessi; quando mettiamo gli abiti gli italiani sono semplicemente degli albanesi vestiti da Versace.
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