
Pressioni islamiste e pistole puntate alla tempia. Tutte le irregolarità nel processo di Asia Bibi

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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)
Il calvario di Asia Bibi sta per finire, ma nessuno ancora sa come né quando. La Corte suprema del Pakistan ha annunciato che la seconda metà di ottobre si terrà l’udienza finale del processo per blasfemia, ma non ha indicato una data precisa. Se le accuse mosse contro la donna cattolica saranno considerate false e pretestuose, come i suoi avvocati non si stancano di sostenere, la madre di 5 figli sarà libera dopo oltre 7 anni di carcere. Se sarà riconosciuta colpevole, sarà la prima donna a essere uccisa per blasfemia e impiccata entro 30 giorni. A meno che il presidente Mamnoon Hussain non le conceda la grazia. Quello di Asia Bibi è il processo più importante e politicamente sensibile dell’ultimo decennio in Pakistan. Dal suo esito si capirà se il governo vuole continuare nella sua guerra al terrorismo islamico o se invece ha deciso di alzare bandiera bianca e dare un contentino agli estremisti che a migliaia affollano le piazze gridando: «Uccidete Asia Bibi».
[pubblicita_articolo allineam=”destra”]Il suo caso ormai è conosciuto a livello mondiale. Nel giugno del 2009 Asia Bibi stava lavorando in un frutteto vicino al suo villaggio, Ittar Wali (Punjab), quando un gruppo di donne musulmane la accusò di aver infettato la fonte per aver bevuto un bicchiere d’acqua. Casi di discriminazione religiosa come questo ne accadono a centinaia ogni giorno in Pakistan, ma Asia Bibi non era il tipo da farsi sopraffare e rispose a tono. Scoppiò tra le donne un diverbio a sfondo religioso, che la madre cattolica vinse con questo argomento: «Il mio Gesù è morto sulla croce per redimere i peccati di tutta l’umanità, Maometto cosa ha fatto per voi?». Quando la notizia dell’incidente si diffuse, il villaggio insorse, dagli altoparlanti delle moschee i muezzin chiamarono a raccolta i musulmani per punirla e Asia Bibi fu picchiata.
Poi per 5 giorni tutto tacque e la vita ricominciò come prima, fino a quando l’imam del villaggio, che non era presente al diverbio, insieme ad altri accusatori, sporse denuncia per blasfemia. Asia Bibi fu subito tradotta in prigione, prima a Sheikhupura, poi a Multan. In tutto ha già trascorso più di sette anni in carcere: 2.663 giorni per un bicchiere d’acqua. La donna non ha ancora potuto godere di un processo giusto e regolare. È sufficiente dire che in primo grado il giudice Naveed Iqbal, prima di emettere la sentenza, visitò Asia in cella e le propose la libertà in cambio della conversione all’islam. La sua risposta è giustamente diventata famosa: «Grazie. Ma se lei mi condanna a morte perché amo Dio, sarò orgogliosa di sacrificare la mia vita per Lui». Ma non è l’unica ad aver subìto pressioni. In occasione del primo grado di giudizio, il suo difensore è stato accolto in tribunale dal cancelliere con una pistola puntata alla tempia.
Il processo di appello, ugualmente falsato, è stato rinviato senza motivo cinque volte in quattro anni, solo per confermare la condanna a morte decisa in primo grado. Mentre si attendeva il verdetto, l’aula del tribunale era stata riempita da estremisti islamici, in combutta con gli avvocati dell’accusa, che gridavano a gran voce: «Allah Akbar» e «uccidete la blasfema».
Ora si è giunti alla fine di questo processo e le stranezze proseguono. Agli avvocati non è stata comunicata la data ufficiale dell’udienza, anche se secondo il ministro cattolico del Punjab, Khalil Tahir Sindhu, che rappresenta in aula Asia Bibi insieme all’avvocato Saif ul-Malook, ritiene che le date saranno il 12 o 13 ottobre. È probabile che la Corte suprema, evitando di annunciare il giorno, voglia tenersi una scappatoia per rimandare ancora. Intanto Asia Bibi resta in prigione e se le voci sul suo deteriorato stato di salute si rincorrono senza posa, è certo che quest’anno, dichiara Khalil Tahir, «non ha ancora visto né la luce del sole, né quella della luna». Perché la sua cella è senza finestre.
«Pregate per lei e per me»
Il legale della donna, Saif ul-Malook, è convinto che il verdetto ci sarà e avrà l’esito che tutti sperano: «Ho grandi speranze per il suo rilascio. La fine del suo calvario è vicina. Sono convinto che sarà assolta». Anche Khalil Tahir, dopo aver studiato a fondo il caso, prevede «una assoluzione, visti gli elementi a favore di Asia. Io comunque sarò in tribunale per seguire direttamente l’udienza, in veste istituzionale di rappresentante del governo provinciale». Il ministro cattolico sa che la scelta potrebbe costargli cara: «Pregate per lei e per me, perché potrebbe succedere qualunque cosa. Ma sono pronto a pagare il prezzo e a portare la mia croce». L’allusione è alla possibilità di essere assassinati. È già accaduto che giudici, dopo essersi presi la responsabilità di assolvere cristiani accusati di blasfemia, siano stati uccisi dagli estremisti all’uscita del tribunale. Chi assolve un blasfemo, infatti, è considerato blasfemo a sua volta. Allo stesso tempo, più di un cristiano accusato di avere offeso il Corano è stato ucciso prima dell’inizio del processo. Gli estremisti, aizzati dalle autorità religiose, non aspettano che la giustizia faccia il suo corso e non risparmiano neanche i musulmani.
Proprio come il ministro cattolico Shahbaz Bhatti, anche il musulmano Salman Taseer, governatore del Punjab, è stato assassinato per avere difeso Asia Bibi e criticato la legge sulla blasfemia. Il suo assassino, Mumtaz Qadri, è stato condannato a morte e impiccato a febbraio, segno che lo Stato non vuole cedere alla deriva estremista che sta prendendo la società pakistana. Per protestare contro la morte del «martire», sono scesi in piazza migliaia di musulmani per inneggiare a Qadri, «eroe dell’islam». Durante le manifestazioni, uno degli slogan più gettonati era: «Morte per la blasfema Asia Bibi». E c’è da star sicuri che in tanti vogliono intascare la taglia che gli islamisti hanno posto sulla sua testa: quasi cinquemila euro.
Anche se la seconda settimana di ottobre sarà prosciolta dalle accuse, è certo che la madre cattolica non potrà più vivere in Pakistan. Il marito, Ashiq Masih, insieme ai figli più giovani, vive nascosto e ha dovuto cambiare casa 15 volte. L’unica speranza per loro sarà la fuga dal paese, consapevoli che Anne Hidalgo, sindaco socialista di Parigi, ha già offerto asilo per tutta la famiglia. In queste ore, in attesa che Asia Bibi sia scagionata, perché oltre sette anni di carcere possono bastare per una donna le cui uniche colpe sono avere bevuto un bicchiere d’acqua e credere in Gesù, lei e la famiglia pregheranno come hanno sempre fatto. Pochi giorni fa una delle figlie, Esham, ha dichiarato: «Sento che il Papa prega per mia madre e continuerà a farlo. E con le sue preghiere mia madre sarà liberata».
Anche Asia Bibi non ha mai perso quella fiducia in Dio di cui parlò a Tempi nel 2014: «Presto sarò di nuovo in mezzo a voi, per la grazia del Signore. Credo, nel nome di Gesù, che la potenza della Sua mano mi darà la libertà, proprio come ha fatto con Pietro. Quando si trovava in carcere, lo Spirito Santo è venuto e ha aperto la porta della sua cella. Io mi aspetto un miracolo come questo».
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