La Polonia chiede all’Europa rispetto del diritto, l’Europa parla di “Polexit”
Tratto dal Centro Studi Livatino – Nel giorno del 450° anniversario della vittoria a Lepanto della Lega cristiana contro la flotta dell’Impero ottomano, che ha garantito all’Europa di giungere al Terzo millennio ancora, almeno formalmente, cristiana, il Tribunale costituzionale della Polonia avrebbe compiuto, secondo quasi tutti i commentatori e media, un passo decisivo verso la Polexit, cioè verso l’uscita di Varsavia dalla Ue, quantomeno nella forma della “‘Polexit legale’: “il Paese resta membro dell’Unione europea, ma scivola fuori dalla cooperazione a livello giudiziario, uno dei cardini dell’Ue”(IlFattoQuotidiano.it), nonostante le più ampie rassicurazioni, in senso contrario, del governo polacco. È realmente così?
a. Le reazioni dei rappresentanti dell’UE confermerebbero la gravità della decisione del Giudice costituzionale polacco. La Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, si è detta “profondamente preoccupata per la sentenza di ieri del Tribunale costituzionale polacco. Ho incaricato i servizi della Commissione di analizzarlo in modo completo e rapido. Su questa base, decideremo i prossimi passi (…) I nostri Trattati sono molto chiari. Tutte le sentenze della Corte di Giustizia europea sono vincolanti per le autorità di tutti gli Stati membri, compresi i tribunali nazionali. Il diritto dell’Ue ha il primato sul diritto nazionale, comprese le disposizioni costituzionali. Questo è ciò che tutti gli Stati membri dell’Unione hanno sottoscritto come membri dell’Unione europea. Useremo tutti i poteri di cui disponiamo in virtù dei Trattati per garantire ciò”.
Poiché i Trattati non prevedono alcuna procedura di espulsione degli Stati membri, è probabile che von der Leyen si riferisca piuttosto ai meccanismi di condizionalità economiche sui quali già si era aperto, la scorsa estate, lo scontro fra la Commissione UE e, soprattutto, il Parlamento europeo, con l’Ungheria e la Polonia, in punto di rispetto del c.d. Stato di diritto (su cui Europarlamento vs Ungheria su stato di diritto e Recovery Fund; Chi ricatta chi sul Recovery Fund?; Parlamento Ue, offensiva per imporre l’agenda Lgbt e abortista; Recovery Fund: riconosciute (in parte) le ragioni di Ungheria e Polonia).
Sulla stessa linea si sono collocati il commissario Ue alla Giustizia, Didier Reynders: “La nostra posizione è chiara. La legge dell’Ue ha il primato su quella nazionale. Le decisioni della Corte di giustizia dell’Ue sono vincolanti. La Corte di giustizia è l’unica che può stabilire la compatibilità tra la legge Ue e quella nazionale. “Useremo tutti gli strumenti a nostra disposizione per proteggere questi principi”. E in modo più duro il Presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, per il quale la sentenza polacca “non può restare senza conseguenze. Il primato del diritto Ue non può essere messo in dubbio. Violarlo significa sfidare uno dei principi principali dell’Unione. Chiediamo alla Commissione di adottare le azioni necessarie”.
b. Ma che cosa c’è di tanto scandalosamente antieuropeo nella pronuncia della Corte costituzionale polacca? Va chiarito preliminarmente che la decisione segue un contrasto già manifestato nel luglio di quest’anno, allorché la Corte di Giustizia Europea, aveva emesso un interim order (ordine provvisorio) con cui aveva intimato allo Stato polacco di bloccare l’attività della Sezione disciplinare della Corte Suprema – che ha il compito di sanzionare gli illeciti disciplinari, dei magistrati polacchi – in quanto organo assertivamente non imparziale: esso si porrebbe contro lo Stato di diritto perché lesivo dell’indipendenza del potere giudiziario. Il Tribunale costituzionale della Polonia aveva replicato deducendo l’incostituzionalità dell’applicazione di ordini della Corte di giustizia dell’Unione Europea al sistema giudiziario polacco.
Il giorno dopo, il 15 luglio 2021, la Corte con sede a Lussemburgo ha pronunciato una decisione che ha dichiarato l’intero sistema disciplinare adottato dal governo polacco contro i giudici incompatibile con la legge europea, e quindi da smantellare. Dunque, all’apice di questo conflitto, inserito nella più ampia contesa tra Polonia e UE sullo stato di diritto e sulla facoltà dell’Unione di interferire con le leggi polacche quando queste sono in violazione di diritti fondamentali, il Presidente della Repubblica polacco ha chiesto alla Corte costituzionale della Polonia di valutare la compatibilità dei Trattati europei, cui la Polonia ha aderito, con l’ordinamento costituzionale nazionale.
Pertanto, la pronuncia del 7 ottobre riguarda il possibile contrasto del TUE–Trattato dell’Unione Europea con la Costituzione polacca. I dodici membri del Tribunale costituzionale di Varsavia, col dissenso di due di loro, ha sancito alla lettera quanto segue:
“1. gli artt. 1 commi 1 e 2, 4 comma 3 e 19 comma 1 secondo capoverso, TUE:
nella misura in cui la UE, istituita da Stati eguali e sovrani, crea “una sempre più stretta unione tra i popoli dell’Europa”, l’integrazione dei quali – avvenendo sulla base della legge EU ed attraverso l’interpretazione della legge UE da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea – implica un ‘passo avanti’ per il quale:
a) le autorità dell’Unione Europea agiscono al di fuori dello scopo ed ambito di competenze conferitole dalla Repubblica di Polonia nei Trattati;
b) la Costituzione non è la legge suprema della Repubblica di Polonia, che deve riconoscere la precedenza rispetto alla sua forza vincolante ed applicazione;
c) la Repubblica di Polonia può non funzionare come Stato sovrano e democratico
– contrastano con gli artt. 2, 8 e 90 (1) della Repubblica di Polonia.
2. l’art. 19 (1), secondo capoverso, TUE – nella misura in cui, allo scopo di assicurare protezione legale effettiva nelle aree coperte dalla legge EU, garantisce alle corti domestiche (corti comuni, corti amministrative, corti militari, e la Corte Suprema) la competenza a:
a) superare le previsioni della Costituzione nel corso del giudizio–
contrasta con gli artt. 2, 7, 8 (1), 90 (1) e 178 (1) della Costituzione;
b) giudicare sulla base di previsioni che non sono vincolanti, essendo state revocate dal Sejm (il Parlamento nazionale polacco) e/o giudicate dal Tribunale Costituzionale per essere in contrasto con la Costituzione
– contrasta con gli artt. 2, 7, 8 (1), 90 (1) e 178 (1), e 190 (1) della Costituzione.
3. L’art. 19(1), secondo capoverso, e l’art. 2 del TUE
– nella misura in cui, allo scopo di assicurare effettiva protezione legale nelle aree coperte dalla legge UE ed assicurare l’indipendenza dei giudici– garantiscono alle corti domestiche (corti comuni, corti amministrative, corti militari, e la Corte Suprema) la competenza a:
a) revisionare la legalità della procedura di nomina di un giudice, inclusa la revisione di legalità del provvedimento con cui il Presidente della Repubblica nomina un giudice–
contrastano con gli artt. 2, 8(1), 90(1) and 179 in combinato con l’art. 144(3)(17) della Costituzione;
b) revisionare la legalità delle risoluzioni del Consiglio Nazionale Giudiziario in risposta alle richieste del Presidente della Repubblica di nominare un giudice–
contrastano con gli artt. 2, 8(1), 90(1) e 186(1) della Costituzione;
c) determinare la inefficacia del processo di nomina di un giudice e, per l’effetto, rifiutare di considerare una persona nominata ad un ufficio giudiziale in accordo all’art. 179 della Costituzione, come giudice–
contrastano con gli artt. 2, 8(1), 90(1) e 179 in combinato con l’art. 144(3)(17) della Costituzione”.
c. Dunque, la Corte suprema polacca rivendica il primato della propria legge costituzionale nazionale quanto a materie, nello specifico l’ordinamento giudiziario, che essa ritiene non essere state attribuite alla competenza esclusiva dell’Unione, in base agli stessi Trattati istitutivi cui la Polonia ha aderito.
La sentenza osserva infatti che è vero che il secondo paragrafo dell’articolo 1 del Trattato stabilisce che gli Stati membri si impegnano a garantire una protezione giuridica efficace negli ambiti coperti dalla legislazione Ue, e che pertanto la Corte di Giustizia Ue ha competenza per pronunciarsi sul sistema giudiziario polacco; ma è altrettanto vero che tra le competenze trasferite dalla Polonia alla Ue non c’è l’organizzazione del potere giudiziario, per cui la Ue non ha competenze per valutare la giustizia polacca e il suo funzionamento.
L’art. 2 del TUE così dispone: “1. Quando i trattati attribuiscono all’Unione una competenza esclusiva in un determinato settore, solo l’Unione può legiferare e adottare atti giuridicamente vincolanti. Gli Stati membri possono farlo autonomamente solo se autorizzati dall’Unione oppure per dare attuazione agli atti dell’Unione. 2. Quando i trattati attribuiscono all’Unione una competenza concorrente con quella degli Stati membri in un determinato settore, l’Unione e gli Stati membri possono legiferare e adottare atti giuridicamente vincolanti in tale settore. Gli Stati membri esercitano la loro competenza nella misura in cui l’Unione non ha esercitato la propria. Gli Stati membri esercitano nuovamente la loro competenza nella misura in cui l’Unione ha deciso di cessare di esercitare la propria”. Il problema posto dal Giudice costituzionale polacco non è riducibile a quello dei c.d. ‘controlimiti’ dei princìpi fondamentali della legge costituzionale del singolo Stato membro, bensì quello dell’invasione di ambito da parte degli organi UE in materie che esorbitano da quelle a sé assegnate in base al principio di attribuzione. Su di esse l’ordinamento comunitario – e la stessa Corte di Bruxelles che ne è il garante – non hanno alcuna competenza prevalente, come per il caso della competenza concorrente, ex art. 4.2 lett. j TUE, di “spazio di libertà, sicurezza e giustizia”: la materia dell’ordinamento giudiziario non rientra evidentemente tra le competenze esclusive ex art. 3 e 6 TUE.
d. Va ricordato che pure la Corte costituzionale tedesca, nella pronuncia dell’aprile 2021, con cui pure ha dato il proprio via libera al PNRR-Piano Nazionale di Resilienza e Ricostruzione della Germania, non ha rinunciato ad affermare la sua legittimazione al controllo del rispetto dei princìpi di attribuzione (Ultra-vires Kontrol) e di quello della lesione di fondamentali principi della Costituzione tedesca (Verfassungsidentitat Kontrol) (cf. questo articolo).
Perfino la Corte costituzionale italiana ha sottoposto di recente alla Corte di Giustizia europea di riconsiderare i limiti della prevalenza dell’ordinamento comunitario sulla nostra Costituzione, con l’ordinanza n. 24 del 26 gennaio 2017, nel c.d. caso Taricco, allorché ha sollevato il problema se la sentenza pronunciata nella vicenda dalla Corte di giustizia (8 settembre 2015 in causa C-105/14, Taricco), “debba essere interpretata nel senso di imporre al giudice penale di non applicare una normativa nazionale sulla prescrizione che osta in un numero considerevole di casi alla repressione di gravi frodi in danno degli interessi finanziari dell’Unione europea, ovvero che prevede termini di prescrizione più brevi per frodi che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea di quelli previsti per le frodi lesive degli interessi finanziari dello Stato, anche quando tale omessa applicazione sia in contrasto con i principi supremi dell’ordine costituzionale dello Stato membro o con i diritti inalienabili della persona riconosciuti dalla Costituzione dello Stato membro” (sottolineato redazionale). Nessuno però all’epoca si è tracciato le vesti e ha evocato l’Italexit!
Si potrà obiettare che l’indipendenza della magistratura rientra nei princìpi fondamentali dello stato di diritto e che quest’ultimo costituisce valore fondante l’adesione e la permanente finalità di una “una sempre più stretta unione tra i popoli dell’Europa”: “Questa sentenza compromette la possibilità dell’Unione europea di proteggere i diritti umani in uno stato membro. La Polonia è entrata in rotta di collisione con l’Unione europea”, ha dichiarato Eve Geddie, direttrice dell’ufficio di Amnesty International presso le istituzioni europee. E’, forse, proprio questo argomento, espressamente usato dalla Corte con sede in Lussemburgo per censurare l’ordinamento giudiziario polacco in parte qua, a denunciare il profilo più propriamente ideologico della querelle: essa pertanto va aldilà della problematica interpretazione dei Trattati.
e. Ciò sembra – non si sa quanto volontariamente – cogliere la stessa Corte costituzionale polacca quando richiama il contrasto con l’art. 19.1 TUE che afferma: “nell’ambito delle competenze da essi conferite all’Unione, il Consiglio, deliberando all’unanimità secondo una procedura legislativa speciale e previa approvazione del Parlamento europeo, può prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale”.
E’ questa la previsione, invocata dal Parlamento europeo nelle sue plurime denunce dello “smantellamento della democrazia e dello Stato di diritto” (Risoluzione del Parlamento europeo del 8.7.2021) imputato alla legislazione ungherese in materia di tutela dell’infanzia, quanto alle presunte discriminazioni delle comunità LGBTq+, in virtù della quale i deputati europei avevano chiesto alla Commissione e al Consiglio Ue, nel “riconoscere finalmente l’urgenza di un’azione a difesa dei valori iscritti nell’articolo 2 del Trattato”, di avviare una procedura d’infrazione accelerata e di utilizzare, se necessario, tutti gli strumenti procedurali della Corte di Giustizia, “come misure provvisorie e sanzioni per inadempienza” volte ad evitare l’uso dei fondi UE per finalità “discriminatorie”.
Il riferimento allo stato di diritto e la circostanza che, appena prima della sentenza costituzionale polacca, Varsavia e Budapest abbiano insieme posto il veto sulle conclusioni del Consiglio Ue Giustizia relative alla strategia della Commissione sui diritti dell’infanzia (“Continueremo a resistere alla pressione della lobby Lgbtq“, ha dichiarato la ministra della Giustizia ungherese, Judit Varga), noncuranti che dall’Unione potrebbe arrivare loro lo stop al recovery fund motivato proprio per il mancato rispetto degli standard vincolanti sullo stato di diritto, chiariscono qual è la posta in palio: non semplicemente il rispetto o meno delle attribuzioni di competenza tra UE e Stati membri, piuttosto la facoltà della prima di imporre ai secondi un’agenda politica rispettosa del ‘politicamente corretto’, comunque lesiva delle prerogative di sovranità nazionale degli organi elettivi liberamente scelti dal popolo dei singoli Paesi che compongono l’Unione.
6. Come si può affermare che la pronuncia del Tribunale costituzionale di Varsavia sia realmente lesiva dei princìpi fondamentali dei Trattati istitutivi e dei valori di cui all’articolo 2 del Trattato di Lisbona: «il rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e dei diritti umani»? Non si tratta, piuttosto, dell’ennesimo capitolo dello stravolgimento della funzione dell’Unione in danno delle prerogative democratiche degli Stati membri, in termini di rappresentatività popolare di chi debba decidere che cosa è europeo e che cosa no?
Si aggiunga che proprio la materia dell’ordinamento giudiziario, dei limiti della giurisdizione e della responsabilità dei magistrati costituisce l’unità di misura del rispetto della rappresentanza parlamentare, e quindi del cardine della democrazia, rispetto a sentenze creative della norma e sostitutive dei Parlamenti. I vertici delle istituzioni UE si mostrano impegnati a contrastare uno Stato europeo, la Polonia, che prova a rendere netti i confini fra potere legislativo e potere giudiziario, in un momento in cui gli ordinamenti occidentali patiscono l’invadenza della giurisdizione. È triste vedere come, anche in Italia, perfino fra chi lamenta tale invadenza, e magari si erge a difensori di valori naturali e cristiani, in questa circostanza, non è ben chiaro con quanta consapevolezza, aggiunga la propria voce ai cori anti-polacchi.
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