
Periferie esistenziali. Le ore di canoa di un sacerdote italiano per difendere gli indios della foresta amazzonica

Continua il viaggio di Tempi nelle periferie esistenziali. Le prime due tappe, di Monica Mondo e Rodolfo Casadei, ci hanno portato rispettivamente a Roma e tra i tupurì africani, a cavallo tra Camerun e Ciad.
Molte sono le “periferie esistenziali” di cui parla papa Francesco quando invita la Chiesa e i cristiani a non rimanere chiusi nell’ovile di Cristo, ma ad uscire per evangelizzare, soprattutto i più poveri, isolati e abbandonati dalla società. Ecco un esempio, che ho visitato parecchie volte nei miei viaggi missionari. L’Amazzonia brasiliana è estesa 14 volte la nostra Italia, i missionari sono presenti in modo sistematico solo da 50-60 anni. All’inizio del Novecento, le diocesi dell’Amazzonia erano tre, Belem, Manaus e Santarem; oggi sono una cinquantina.
Il popolo è battezzato e credente perché il battesimo era diffuso dai “missionari itineranti”, che battezzavano tutti, istruivano, nominavano un catechista locale e proseguivano nelle loro visite apostoliche. Il battesimo e la devozione alla Madonna e al Santo protettore sono devozioni e segni che hanno mantenuto la fede.
I missionari del Pime sono in Amazzonia dal 1948, vi hanno fondato due diocesi (Macapà e Parintins) e 18-19 parrocchie a Manaus. Col permesso del governo entrano nelle “riserve” degli indios, per evangelizzare, iniziare scuole e opere di promozione sociale. Si sono spesso trovati di fronte alla deforestazione e occupazione di territori degli indios da parte di compagnie multinazionali. Ecco come la Chiesa evangelizza e difende gli indios.
Dal 1996 padre Pedro Belcredi è nello stato di Amazonas (con capitale Manaus), nella diocesi di Parintins, fondata dai missionari del Pime nel 1955, estesa come l’Italia settentrionale con circa 250 mila abitanti, quasi tutti battezzati ma non ancora evangelizzati. Parintins ha un vescovo italiano, monsignor Giuliano Frigeni (dal 1999), ma ormai la diocesi ha un buon numero di giovani sacerdoti locali (14 più altri 14 missionari stranieri).
L’immenso territorio è tutto foresta e fiumi, i tre quarti sono “riserve” degli indios Sateré-Maué, dove si entra solo con il permesso del governo. In queste sterminate pianure amazzoniche si combatte la “guerra delle terre”, che è stata la prima “battaglia” di padre Pedro. L’ho intervistato a Milano nell’autunno 2013, mentre stava ritornando in Amazzonia dopo una breve vacanza in Italia. Padre Belcredi è parroco di Barreirinha, una cittadina con 10 mila abitanti e altri 20 mila dispersi lungo i fiumi e nelle foreste.
Nella riserva degli indios Sateré-Maué ci sono 8-9.000 abitanti e la scuola tecnica e agricola di San Pedro (insegna l’agricoltura e la pastorizia per legare gli indios alla terra) con i due padri Enrico Uggé (il fondatore della scuola negli anni Settanta, spesso a Parintins per altri impegni) e il prete diocesano don Rivaldo da Costa.
La “guerra delle terre”
Ho visitato diverse volte Barreirinha: padre Pedro è l’unico sacerdote, con lui alcune suore di Madre Teresa che fanno un ottimo lavoro (foto a fianco). La parrocchia è fra due fiumi affluenti del Rio delle Amazzoni, il Rio Ramos e l’Andirà, con in mezzo l’isola di Parintins, sede della diocesi, che dista da Manaus 7-8 ore di navigazione col battello statale. Poi c’è la riserva degli indios molto più estesa. La deforestazione sistematica in Amazzonia è iniziata dopo la Seconda Guerra mondiale e specialmente nel tempo della dittatura militare in Brasile (1964-1988), quando il governo di Brasilia affittava dei territori immensi alle ditte brasiliane o straniere, libere di sfruttare i terreni, che in teoria dovevano impegnarsi a rispettare le terre “riservate” alle varie tribù degli indios. Ma c’erano scarsi controlli di questi impegni, per cui nascevano spesso piccole guerre che coinvolgevano i missionari, quasi sempre gli unici stranieri a contatto con gli indios.
La storia di padre Belcredi è comune a quella di tanti altri missionari. «Nei primi tempi che ero a Barreirinha – racconta padre Pedro – un bel giorno ho visto arrivare a Parintins una dimostrazione di popolo indio, che ha percorso le vie della cittadina e si è fermata davanti alla chiesa, agitando cartelli e striscioni: “Noi indios ringraziamo padre Pedro perché si interessa dei nostri problemi”. Venivano da Ariaù, un grosso villaggio indio (300 famiglie) a sei ore di barca, li avevo già visitati. Mi hanno detto che si era presentato nel villaggio un tale Manfredini (figlio di italiani da molto tempo in Brasile) accompagnato dalla polizia. Aveva mostrato al capo villaggio e ad altri l’atto del governo che lo rendeva proprietario di tutta la terra da lui comperata e pagata. Manfredini voleva mandar via gli indios e disboscare la foresta.
Alle proteste degli indios, la polizia ha bruciato alcune case, distruggendone altre. La gente si era spaventata ed era venuta da me perché non si fidano di nessun altro, dato che le autorità avevano firmato quella vendita. Sono venuti a chiedermi cosa fare perché volevano difendersi con le armi». Naturalmente padre Pedro ha subito escluso una resistenza armata. È andato a Parintins a parlare con la Commissione diocesana per la pastorale della terra, che esiste anche a Manaus e in altre diocesi dove si verificano questi contrasti fra indios e nuovi proprietari delle loro terre.
Padre Pedro ha fatto venire da Manaus anche due avvocati competenti e altri della Commissione. Insieme al sindaco di Barreirinha sono andati tutti nella foresta dove si trova il villaggio di Ariaù, hanno fatto una riunione durata ore e ore e hanno scoperto che anche il sindaco e altre autorità statali erano d’accordo con Manfredini, che aveva comperato il terreno degli indios e dato soldi a questo e quello per le loro campagne politiche.
La denuncia della Chiesa brasiliana
Continua padre Pedro: «Manfredini ha comperato legalmente la terra, ma gli indios hanno il diritto di occupare la terra che hanno da sempre, quindi non si può mandarli via. Ragionando si possono affermare le proprie ragioni senza ricorrere alla violenza della polizia o alle armi di chi si ribella. Insomma, hanno visto che c’è un popolo pronto a ribellarsi, la Chiesa lo appoggia e fa propaganda a livello locale e nazionale contro questa ingiustizia. La distruzione della foresta si è fermata, ma il problema non era risolto. Le autorità avevano riconosciuto che il nuovo proprietario non poteva fare quello che voleva, ma gli indios avevano dovuto riconoscere che Manfredini era il legittimo proprietario delle loro terre.
Gli indios di Ariaù sono rimasti nel loro villaggio e nelle loro terre, ma la deforestazione è continuata in modo più nascosto, cioè in terre più lontane e isolate che gli indios attualmente non usano. Quasi un anno dopo, siamo venuti a conoscenza di questo, abbiamo chiamato le autorità e le abbiamo portate sul posto a vedere, ma secondo loro tutto era a posto e non hanno nemmeno voluto vedere tutto il fronte della deforestazione. A loro interessava solo che gli indios non piantassero più grane, per paura che i giornali ne avrebbero parlato. Allora, i nostri di Parintins sono andati con degli esperti di Manaus, hanno fotografato di nascosto la deforestazione col pericolo di buscarsi una fucilata, hanno fatto anche un filmino, poi trasmesso dalla televisione cattolica e da altre, dove si vede un fronte di vari chilometri con decine di motoseghe che stanno tagliando gli alberi della foresta; c’erano circa 200 montagnette di tronchi già pronti per essere portati via.
Ci sono molti fiumi e affluenti e loro sanno come far arrivare questi tronchi in un porto attrezzato per caricarli sulle navi che li portano fuori del Brasile o nel Brasile del sud senza pagare niente. Hanno dei grandi trattori che portano via i tronchi con tutti i rami, poi tagliano e buttano via il materiale inutile, mettono i tronchi su chiatte e di notte li fanno passare in questi fiumi.Noi ci siamo dati da fare – continua padre Belcredi – e abbiamo fatto un documentario nel quale si dimostra che la distruzione è totale, tagliano anche alberi protetti che non si potrebbero tagliare. E così facendo lasciano il deserto, una terra fragile che causerà inondazioni e altri mali. Un altro crimine è che chiudono gli igarapè, piccoli affluenti dei fiumi, da dove passano i pesci per andare a deporre le uova; buttano olio bruciato e altro veleno nei fiumi. Abbiamo filmato tutto questo con molti rischi e lo abbiamo presentato alle autorità provando le nostre accuse».
Una nuova coscienza di popolo
La storia è poi continuata con altre denunzie e lanci di notizie a livello nazionale da parte di radio e tv cattoliche e non solo. Le autorità nazionali e locali sono intervenute diverse volte per frenare questa deforestazione, ma al massimo hanno ottenuto che i villaggi degli indios potessero rimanere nelle terre attorno. Il fenomeno va avanti, ed è dimostrato dal fatto che negli ultimi cinquant’anni la foresta amazzonica che occupava il 95-96 per cento del territorio amazzonico, oggi è ridotta a circa l’82-84 per cento e questo non preoccupa quasi più l’opinione pubblica brasiliana. E poi, la corruzione nelle amministrazioni nazionali e locali del Brasile è sempre tanta e, con il boom economico degli scorsi anni, pare addirittura in crescita.
Chiedo a padre Pedro se è sempre impegnato per difendere indios e foreste. «Sì, sono impegnato perché, se dietro tutto questo non ci fosse la Chiesa, nessuno là nelle foreste amazzoniche avrebbe la fiducia del popolo, l’autorità e il peso mediatico di fare quello che facciamo noi missionari. Certo non posso fare tutti i passi e le azioni necessarie, ma ci sono i laici che si impegnano e anche molti volontari. Un esempio è il dottor Renato Soto di Manaus, un medico che da quando si interessa dei diritti degli indios è stato minacciato di morte e gli hanno mitragliato la casa dicendogli: “O smetti di interessarti a loro oppure ti ammazziamo”. È una persona semplice e come lui ce ne sono tante altre che sanno di rischiare la vita, ma continuano a difendere questa popolazione».
«Ma solo con l’aiuto di Dio si potrà giungere a vere soluzioni. Io cerco di mantenere in me lo spirito di Gesù Cristo, di perdonare le offese, di vivere in pace, di voler bene anche ai peccatori, ma anche di denunziare il peccato. Però il delitto rimane. Tra l’altro, l’irruzione violenta e disumana del mondo moderno in un ambiente tradizionale come quello del popolo amazzonico, crea anche altri problemi morali, culturali e psicologici. Lo stato brasiliano del Parà che confina con il nostro e con il mare, ha permesso di distruggere gran parte della sua foresta. Adesso tocca al nostro stato di Amazonas. Dopo aver distrutto le foreste, vogliono fare coltivazioni sterminate di soia, che impoveriscono il fragile terreno. In 50 anni l’Amazzonia potrebbe essere il nuovo deserto del Sahara».
«Le battaglie fatte dalla Chiesa nell’ultimo mezzo secolo in difesa del territorio amazzonico hanno dato coscienza a questo popolo delle gravi ingiustizie che si compiono contro il loro futuro. Ma il nostro compito è anche e soprattutto quello di educarli a mantenere uno spirito evangelico di pace, affinché non diventino a loro volta violenti e incomincino a odiare e a pensare che con le armi si possano risolvere tutti i problemi».
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