Good Bye, Lenin!

«Perché Putin ha iniziato la guerra?»

Kirill ha 12 anni e frequenta una scuola media di Mosca. Da giovedì 3 marzo il Ministero dell’Istruzione ha dato disposizione perché nelle scuole medie e superiori si tengano delle lezioni speciali dedicate alla rilettura della storia dei rapporti russo-ucraini modellata sugli interventi del presidente Putin. Pur non rientrando la classe «6 A» di Kirill tra quelle interessate dalla disposizione ministeriale, l’insegnante di storia si è detta disponibile a dialogare con gli studenti.

Così Kirill ha chiesto: «Perché Putin ha iniziato la guerra?». L’insegnante lo ha subito corretto dicendo che si tratta di un’«operazione militare speciale», non di «guerra», – è la versione politically correct che da qualche giorno serve ad evitare una denuncia penale, dopo l’approvazione dell’emendamento all’art. 207.3 del Codice penale che prevede fino a 15 anni di carcere per la «diffusione di notizie false sulle attività delle forze armate».

«Non so esattamente dove siano ora le nostre truppe – ha proseguito l’insegnante, – ma se si fossero fermate a metà, l’aggressione ucraina sarebbe continuata». Anche quest’affermazione rispecchia la lettura rovesciata della crisi tra i due paesi che si vuol inculcare nella giovane generazione: la Russia che si difende preventivamente dall’aggressione ucraina spalleggiata dall’Occidente.
Lezioni dove non c’è più un dialogo, ma solo un copione da recitare.

Anche altri compagni di Kirill erano perplessi e ponevano domande finché – ha raccontato il ragazzino – l’insegnante ha detto: «Gli specialisti in Ucraina e negli Stati Uniti stanno diffondendo post falsi, dicendo che qui la gente viene picchiata durante i raduni. Ma i raduni devono prima essere concordati». «Ma prof, come si può concordare con il governo una manifestazione di protesta contro le azioni del governo stesso?… Non mi ha dato una risposta chiara».
«Poi le ho chiesto perché è cominciato tutto questo e quando finirà? Ha risposto che è stata l’Ucraina ad iniziare, e che finirà quando capitolerà.
Ci ha anche detto che tra gli ucraini fiorisce il nazismo, che nei loro libri di testo fin dalla prima elementare scrivono che l’Ucraina è una superpotenza. Ho molti amici in Ucraina, ma mi hanno confermato che non c’è niente di tutto questo».

La madre, dopo una telefonata della polizia, è stata convocata a scuola. Qualche giorno dopo, mentre Kirill era a casa da solo, due poliziotti hanno bussato insistentemente alla porta per una buona mezzora, ma il ragazzino non ha aperto. Prima di andarsene hanno staccato l’elettricità dell’appartamento e hanno lasciato sotto la porta un mandato di comparizione per la madre.

«Ero seduto sul letto e mi domandavo cosa stesse succedendo – ha raccontato Kirill. – Non avevo paura, mi stupiva il loro modo di agire: c’è un ragazzo di dodici anni che esprime un’opinione, andiamo a casa sua, e se non apre la porta, gli togliamo la luce…».

La madre ha commentato: «Penso che ci sia un limite a tutto. Capisco se mio figlio avesse colpito o ferito qualcuno, o imbrattato i muri. E, soprattutto, cosa succederà ora? Sarò obbligata a trasmettergli il punto di vista ufficiale? Credo che in circostanze così difficili sia importante dimostrare ai ragazzini che anche se i punti di vista non coincidono, si può cercare una soluzione pacifica, senza scomodare uomini in uniforme».

Kirill non si scompone e spiega la sua posizione: «Credo che gli insegnanti abbiano torto. Ci viene detto che al popolo ucraino è stato fatto il lavaggio del cervello, ma a me sembra che lo stiano facendo qui a noi».

Se già in tempo di pace la scuola dev’essere luogo di mediazione e dialogo fra ragazzini di varia provenienza e retroterra, tanto più ora occorrerebbe tatto e cautela, mentre qui si preferisce violentarne la coscienza, sottovalutando e annichilendo le loro stesse capacità critiche. Con un Kirill in ogni scuola, la Russia può sperare ancora.

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