

L’amico Sandro Magister mi ha chiesto di scrivere per il suo sito (www.chiesa.espressonline.it) questo articolo in vista del prossimo viaggio di papa Francesco in Corea del sud. Lo rendo noto anche ai lettori dei miei blog.
Giappone e Corea hanno una storia e una cultura molto diverse, per cui la missione cristiana ha prodotto risultati diversissimi. Parlo prima del Giappone dove, quasi cinque secoli dopo l’ingresso dei missionari cattolici, con san Francesco Saverio nel 1549,
• i battezzati nella Chiesa cattolica sono 440 mila su 128 milioni di giapponesi (lo 0,35 per cento), e circa mezzo milione di protestanti;
• in Corea (la Chiesa entra con alcuni laici alla fine del 1700) i cattolici sono circa 5,3 milioni su 50 milioni di sud-coreani, cioè il 5,4 per cento; i protestanti delle varie Chiese e sette si calcolano il 17 per cento, cioè circa 8 milioni. Seul di notte sembra una città cristiana per l’immenso numero di croci sugli edifici cristiani, chiese, scuole, ospedali, ecc.
La fede cristiana è stata accolta con molte difficoltà in Giappone e oggi con le braccia aperte in Corea del Sud. Le due Chiese locali risentono dell’ambiente in cui vivono e perché sono una minuscola minoranza nel Giappone, che va avanti come un treno, mentre in Corea il cristianesimo sta diventando il motore della nazione. Dagli anni Sessanta ad oggi circa la metà dei presidenti della Corea del sud erano cristiani, compreso il famoso Premio Nobel per la Pace nel 2000, Kim Dae-jung (1925-2009), per il suo vigoroso impegno nella riconciliazione fra Nord e Sud della Corea.
Perché i giapponesi si convertono poco? Essenzialmente per un motivo religioso-culturale. Le religioni del Giappone insegnano, come lo shinto, che l’uomo è uno dei tanti elementi della natura, nella quale si manifesta il Dio sconosciuto; il confucianesimo dà una visione statica della società, dove la suprema norma morale è il rispetto e l’obbedienza per mantenere l’armonia tra cielo e terra, tra superiori e sudditi, tra politica ed economia. Secondo la morale confuciana ciascuno deve svolgere il proprio lavoro col massimo impegno nel posto che gli è stato assegnato. Il buddhismo, insegnando il distacco da se stessi, il disprezzo delle passioni e delle idee personali, considerate come perniciose illusioni, rende l’individuo disposto a tutto e oltremodo paziente.
Il giapponese è figlio di queste religioni: ottimo lavoratore, sobrio, obbediente alle direttive. In una società dove tutto deve funzionare come una macchina, il giapponese è l’elemento ideale, perché si muove in gruppo. La gente ha una forte coscienza unitaria di popolo, ma una scarsa coscienza dei diritti della persona. La vita comune comincia nella famiglia, continua nella scuola e finisce nella ditta, concepita come una grande famiglia. Lo spirito di collaborazione che predomina nella ditta, rende il lavoro altamente efficiente e produttivo. Il successo della ditta per cui uno lavora è considerato un ideale di vita per il quale vale la pena di sacrificarsi, anche con ore di lavoro straordinario, spesso poco o nulla retribuito.
«L’influsso delle religioni tradizionali – mi diceva padre Alberto Di Bello (in Giappone dal 1972) – ha educato ad una viva coscienza dei propri doveri, più che dei propri diritti. Il cristianesimo, entrando in Giappone attraverso le moderne missioni cristiane e l’influsso dell’Occidente, ha portato in Giappone il concetto fondamentale del mondo moderno, quello della “Carta dei Diritti dell’uomo” dell’Onu (1948): il valore assoluto della singola persona umana. La società, lo stato, la patria sono a servizio della persona umana, non la persona a servizio della società, dello stato, della patria».
Però questa rivoluzione fatica ad entrare nella mentalità comune. Padre Giampiero Bruni, in Giappone dal 1973, mi dice: «Se un individuo è consapevole e libero, può fare la sua scelta di convertirsi a Gesù; se non è libero perché è membro di un gruppo, non può. Il giapponese è abituato ad obbedire e a fare come fanno tutti, finora domina il gruppo, uscire dal gruppo non si può, significa tagliare tutti i rapporti, e io credo che anche oggi le conversioni che avvengono dobbiamo esaminare bene se sono libere o condizionate da qualcosa che non riusciamo a capire». Questo il concetto di fondo che hanno espresso i missionari che ho interrogato, nei miei viaggi in Giappone e ora qualcuno reduce in Italia per vacanze e cure.
Radicalmente diversa la Corea del Sud. Nell’ultimo mezzo secolo ha registrato una crescita record dei cristiani: dal 1960 al 2011 gli abitanti passano da 20 a circa 50 milioni, reddito pro capite da 1.300 a 23.500 dollari, i protestanti dal 2 al 17 per cento, i cattolici da circa 100 mila (lo 0,5 per cento) a 5.309.964 (10,3 per cento), secondo le statistiche della Conferenza episcopale coreana. Ogni anno si celebrano 130-140 mila battesimi. La Chiesa coreana è al femminile, a partire dal nome: il cattolicesimo è chiamato “La religione della Mamma”, perché davanti a non poche chiese c’è la statua di Maria con le braccia aperte, che invita i passanti ad entrare; e poi perché nel 2011 i fedeli maschi erano 2.193.464 (il 41,5 per cento del totale), le femmine 3.095.332, ovvero il 58,5 per cento.
Perché i coreani si convertono a Cristo? Le conversioni avvengono in massima parte nelle città e fra le élite del paese, professionisti, studenti, artisti, politici e militari anche di alto grado. L’uomo simbolo della Chiesa cattolica in Corea è stato il card. Kim Sou-hwang (1922 -2009), arcivescovo di Seul dal 1968 al 1998, fautore di un forte impegno della Chiesa cattolica in campo sociale. Durante la lunga dittatura militare, aveva fatto della cattedrale Myong-dong a Seul un rifugio per gli oppositori non violenti alla dittatura. I militari non osarono mai entrare nella cattedrale, che sapevano essere difesa dal popolo. Per lunghi anni il card. Kim è stato la personalità più influente della Corea.
Motivo storico che spiega le conversioni. La Corea ha conosciuto mezzo secolo di occupazione giapponese e poi più di tre anni di guerra civile fra Nord e Sud (1950-1953), combattimenti feroci casa per casa, distruzione di molte abitazioni e strutture statali che esistevano. Padre Giovanni Trisolini, uno dei primi salesiani entrati in Corea nel 1959, mi diceva (nel 1986): «Quando sono giunto in Corea c’era una miseria spaventosa. Il paese era ancora distrutto dalla guerra, con gli eserciti che erano passati e ripassati su tutto il territorio della Corea del Sud. Il lavoro principale di noi missionari era di dare da mangiare alla gente (con gli aiuti americani), che letteralmente moriva di fame. Poche strade e ferrovie, non funzionava quasi nulla delle strutture statali. I governi della Sud Corea, col paese occupato dagli americani, hanno privilegiato l’istruzione del popolo, fondando ovunque scuole con un sistema educativo moderno, per far uscire il popolo dall’insegnamento tradizionale, che trasmetteva una visione dell’uomo di natura confuciana, ereditata dalla Cina e poco adatta a formare giovani in un paese moderno».
La scuola è stata estesa a tutti, quindi anche alle bambine, con un insegnamento di materie totalmente diverse da quelle dell’insegnamento confuciano. Questo cambiamento radicale dell’istruzione in poco tempo ha risolto il problema dello sviluppo economico e ha contribuito a preparare la strada alla democrazia, ai diritti dell’uomo e della donna e al cristianesimo. Oggi la Corea del Sud non ha più analfabeti, la scuola è obbligatoria e gratuita per tutti, dal giardino d’infanzia fino alle scuole superiori, umanistiche o tecniche, che quasi tutti frequentano. Nel 1960 la Corea del Sud era uno dei paesi più sottosviluppati dell’Asia, negli anni Ottanta è stata una delle “tigri asiatiche” (con Taiwan, Singapore e Thailandia).
È facile comprendere perché un popolo educato da una scuola moderna, che orienta la vita verso la razionalità e i valori del mondo moderno, si converta facilmente al cristianesimo, che è alla base della Carta dei diritti dell’uomo dell’Onu. Il cristianesimo esercita un forte potere di attrazione, rispetto al confucianesimo e al buddhismo, per almeno cinque motivi:
1) Introduce l’idea di uguaglianza di tutti gli esseri umani creati dalle stesso Dio, Padre di tutti gli uomini; e soprattutto il principio dell’uguaglianza nei diritti fra uomo e donna, pur nella diversità e complementarietà fra le persone dei due sessi. Nella società confuciana la donna non ha la stessa dignità e gli stessi diritti dell’uomo. Nella società confuciana la donna era quasi schiava del marito, le bambine non andavano a scuola e la donna è inferiore all’uomo («è un uomo mal riuscito», diceva Confucio).
2) Cattolici e protestanti si sono segnalati per la partecipazione attiva al movimento popolare contro la lunga dittatura militare tra il 1961 e il 1987, quando i militari hanno lasciato il potere a un governo democratico; confucianesimo e buddhismo promuovevano invece l’obbedienza all’autorità costituita. In Corea (e nelle Filippine), le dittature dei militari hanno lasciato il potere a governi eletti non per rivoluzioni violente, ma per la “rivoluzione dei fiori”, cioè principalmente per le pressioni dell’opinione pubblica coscientizzata dalle Chiese cristiane in Corea.
3) Il cristianesimo è la religione del Libro e di un Dio personale, mentre sciamanesimo, buddhismo e confucianesimo non sono nemmeno religioni, ma sistemi di saggezza umana e di vita; soprattutto non hanno un’organizzazione e direzione a livello nazionale, che rappresenti i loro fedeli. Ci sono tentativi di coordinamento fra le varie pagode e monasteri buddisti, ma ciascuno va per conto suo.
4) Cattolici e protestanti hanno costruito e mantengono un grande quantità di scuole a tutti i livelli, fino a numerose università (quelle cattoliche sono 12), che si sono imposte nel paese come le migliori dal punto di vista educativo e dei valori a cui formano i giovani. Tutte le famiglie vorrebbero mandare i loro figli alle scuole cristiane, perché l’educazione dei giovani ispirata al Vangelo si dimostra la più efficace nel formare persone adulte e mature.
5) Infine, la Corea del Sud è ormai un paese evoluto e anche ricco (si dice che “è in ritardo sul Giappone di soli vent’anni”), nel quale le antiche religioni non danno risposte ai problemi della vita moderna: e questo è inevitabile, perché il mondo moderno è nato in Occidente, dalla radice biblico-evangelica, cioè dalla Rivelazione di Dio. Il cristianesimo, e soprattutto il cattolicesimo, si presenta come religione adeguata al nostro tempo, attiva nell’aiuto di poveri.
Però non esiste una risposta risolutiva alla domanda “Perché i coreani si convertono a Cristo?”. Il card. Kim diceva spesso: «Non sappiamo perché abbiamo così tante conversioni a Cristo e alla Chiesa. Ringraziamo lo Spirito Santo e chiediamo la grazia che continui a soffiare forte sul nostro popolo». Oggi, 28 anni dopo il mio viaggio in Corea, la realtà delle conversioni conferma quanto mi diceva padre Vincent Ri, prefetto degli studi della Facoltà teologica del seminario maggiore di Kwangju: «Il coreano è fiero di definirsi religioso: anche fra gli studenti, gli intellettuali, le persone colte, non esiste lo spirito anti-religioso o ateo comune in Europa. Il fatto religioso è al centro della vita del nostro popolo e questa è un’antica tradizione che lo sviluppo economico e tecnico non ha abolito, anzi contribuisce a rafforzare, dato che oggi aumentano i problemi a cui dare risposta e solo il cristianesimo dà queste risposte».
Monsignor René Dupont, oggi vescovo emerito di Andong, nel novembre 2011 ha scritto: «Oggi in Corea il cristianesimo non è più considerato una religione straniera», anche perché, ha dichiarato monsignor Kang-U vescovo di Cheju e presidente della CBCK, non c’è nessun contrasto fra la tradizione religiosa coreana (soprattutto la pietà filiale e il culto degli antenati) e i valori della Chiesa cattolica. Il segretario della CBCK, monsignor Simon E. Chen nell’agosto 1986 mi diceva: «La nostra Chiesa ha tante conversioni, ma siamo ingiustamente trascurati dall’Europa cristiana e dai missionari. Papa Pio XI mandava missionari e religiosi in Cina. Pio XII mandò molti missionari in Giappone dicendo: “Se si converte il Giappone, si converte tutta l’Asia”; poi con l’enciclica Fidei Donum chiedeva missionari per l’Africa. Giovanni XXIII e Paolo VI esortavano ad andare in Africa e in America latina».
«Noi cristiani di Corea ci sentiamo dimenticati dal mondo cristiano. Quando negli anni Cinquanta sono andati migliaia di missionari e suore in Giappone, quasi nessuno è venuto in Corea. La nostra Chiesa è stata scoperta solo con la visita trionfale di Giovanni Paolo II nel maggio 1984. Allora, in Occidente molti si sono meravigliati che qui ci sono tante conversioni e vocazioni. Eppure questo fenomeno dura dagli anni Settanta e dopo la visita dal Papa ha assunto dimensioni eccezionali. La sua visita è servita più di tutte le nostre prediche ad annunziare Cristo ai non cristiani e a fortificare la fede nei nostri battezzati».
tratto dal blog di padre Piero Gheddo
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Intanto, la diffusione del Cristianesimo, lenta, massiccia o scarsa, non ha nulla a che fare con l’imperialismo. Il Cristianesimo è stato perseguitato, se non ricordo male, anche in Corea: in quella del Nord succede ancora, così come in CIna e come è stato in passato per il Giappone. Convertirsi in massa era – relativamente – più facile in America del Sud o in Africa perché si trattava di aree del mondo non civilizzate in modo uniforme e in cui le società non erano organizzate secondo tradizioni e strutture millenarie o plurisecolari come India e Estremo Oriente. L’idea che il Cristianesimo sia frutto o avanguardia dell’imperalismo è una lettura parziale della storia, di tanto più ridotta efficacia esplicativa quando si parte da una visione distorta della religione – di quella cristiana e solo di essa, cioè: perché sembra che le altre, che hanno tenuto in un sistema immutabile i popoli che le praticavano, siano tutte degne del rispetto cha si nega al Cristianesimo: quando il Cristianesimo è l’unico elemento di distinzione fra la nostra civiltà e altre anche vicine a noi, come quella islamica.
una ragione per cui in giappone non si convertono ed in corea si è di tipo pratico. premetto che il 5,4% coreano negli ultimi 50 anni circa già dovrebbe insospettire. cioè è poco. e si collega con quanto penso. gli orientali hanno una cultura che per me fa pensare poco, valorizzano poco la ragione, ma se ragionano vogliono che le premesse siano coerenti con le conclusioni o che comunque il discorso sembri sensato. il cristianesimo ha punti “critici” per gli occidentali e figuriamoci per gli orientali:
– cristo è venuto a salvare tutti, poi però ci vuole il battesimo sennò non si sa. hanno tolto il limbo ma allora tanto valeva dire che i bimbi nati e morti senza battesimo vanno in paradiso.
– tutti gli uomini sono uguali però le donne non possono comandare, cioè non possono diventare preti. per gli orientali è semplice: le donne contano meno dell’uomo e, coerentemente, sono sottomesse. sarà sbagliato ma è coerente il pensiero orientale.
– la chiesa condanna l’omosessualità come nessun altro poi però ogni tanto è evidente che di fatto la tollera più di chiunque altro. si dice che va condannato il peccato e non il peccatore, ma per un orientale si dovrebbe fare in modo che il peccato non sia più commesso. o al limite lo tolleri anche a livello ufficiale. infatti, islam a parte, l’oriente sul tema ha posizioni sfumate cioè meno rigide della chiesa. o se cambiano idea perseguitano gli omosessuali (vedi cina comunista).
– il cristianesimo ha il celibato dei preti, nonostante che l’istinto sessuale e il desiderare una famiglia sia naturale. per un orientale non è impossibile l’idea di dominare le passioni (tutte le loro religioni lo dicono) ma l’idea di non procreare.
la differenza tra occidente cristiano ed oriente è che in oriente magari valorizzano meno la ragione ma se ragionano vogliono coerenza nel ragionare. anche arrivando a cose assurde. tipo le caste indiane: dicono che ognuno nasce con un accumulo di karma che lo rende adatto a fare solo certe cose e che ciò è stabilito alla nascita. coerentemente hanno un ferreo sistema castale.
ho tralasciato una cosa: il 5,4% coreano è dovuto alle scuole di stampo occidentale. altrimenti neanche quel poco ci sarebbe in corea. e sono passati 50 anni più o meno. probabilmente il 5,4% indica che i figli hanno seguito la religione cattolica dei padri, ma per il resto influenzando poco la religiosità del paese coreano. ciò va collegato con le altre cose dette sopra.
I cattolici in Corea non sono il 5% ma il 10% (5 milioni di cattolici su 50 milioni di coreani).
La percentuale di cattolici è passata dallo 0,5% al 10% in mezzo secolo. Se i figli avessero semplicemente seguito la religione dei padri la percentuale di cattolici sarebbe rimasta costante, e invece è ventuplicata. Mi sembra una crescita notevole.
E comunque, il dato più interessante mi sembra quello che lega la religiosità all’ istruzione: istruzione e religione si sono diffuse con un rapporto di diretta proporzionalità. Alla faccia di tutti quelli che dicono che istruzione e religione sono inversamente proporzionali.
anche io credo che la religiosità sia legata all’istruzione. ma credo che su alcuni temi il cristianesimo risulti strano ad un orientale. il 10% sarà più del 5% ma è sempre poco, considerando il mezzo secolo. da sempre mi ha colpito che il cristianesimo in 2000 anni ha avuto una diffusione lenta, poiché così è stato. dopo 7 secoli è arrivato l’islam che fino alle scoperte geografiche è stato un muro geografico. ma non siamo riusciti né a convertire molto gli islamici né a convertire i popoli dell’asia e dell’africa non islamici dopo le scoperte geografiche. per giustificare ciò non credo bastino le persecuzioni o comunque l’ostruzionismo delle classi dominanti. francamente se all’epoca non ci fosse stato costantino non so come sarebbe stata la storia europea, e mondiale. mi pare evidente che il cristianesmo ha fatto molto leva su due fattori, che sono l’appoggio delle classi dominanti/dirigenti e la situazione di povertà ed indigenza in cui spesso si trovavano i popoli cui si annunciava il vangelo. il primo fattore certo ce lo vuole e sul secondo certo l’aiuto ai bisognosi è concetto cristiano, ma sa un po’ di opportunismo. come se si fosse sempre puntato sugli aspetti più comodi o seducenti. segno che hanno sempre saputo che certe cose sarebbero risultate strane ai pagani. e sono le cose che ho detto nell’altro commento, quello lungo. è strano che il cristianesimo si sia diffuso dove chi governava garantiva libertà di culto o comunque faceva gestire le scuole ai cattolici. sa molto di inculturazione in cui cioè a qualcuno si insegna sin da piccolo la fede poi da lì si crea uno zoccolo duro oltre il quale però non sempre si va. come in corea. in occidente è bastato lutero, ed enrico VIII, che l’europa si spaccasse religiosamente parlando. ho l’impressione che su certi temi, forse anche altri rispetto a quelli che ho detto, il cristianesimo non si sia mai espresso nel modo migliore. altrimenti si sarebbe diffuso in modo maggiore e più rapido. senza certo tralasciare che da 2000 anni ci hanno provato in ogni modo ad ostacolarlo.
Perché i giapponesi si convertono poco? Essenzialmente per un motivo religioso-culturale. Le religioni del Giappone insegnano, come lo shinto, che l’uomo è uno dei tanti elementi della natura, nella quale si manifesta il Dio sconosciuto; il confucianesimo dà una visione statica della società….
Infine, la Corea del Sud è ormai un paese evoluto e anche ricco (si dice che “è in ritardo sul Giappone di soli vent’anni”), nel quale le antiche religioni non danno risposte ai problemi della vita moderna….
MI pare una contraddizione grande come una casa. visto che le religioni tradizionali son le stesse in Giappone e in Corea.
Le religioni tradizionali della Corea e del Giappone non sono le stesse: la religione tradizionale giapponese è lo Shintoismo, quella coreana è il Confucianesimo. Il quale Confucianesimo è religione o meglio filosofia religiosa originaria della Cina, e infatti in Cina il Cristianesimo cova sotto le ceneri (il sociologo Stark prevede che in futuro la Cina sarà la nazione con il più alto numero di cristiani al mondo).