«La verità è una relazione»? Datemi retta, quel Papa Francesco ne sa una più di me, scrive il diavolo
Mio caro Malacoda, sinceramente, per quanto possa essere sincero un diavolo, non capisco lo scandalo sulla “rivelazione” di papa Francesco che la verità non è “assoluta”. Certo l’ha detto («io non parlerei, nemmeno per chi crede, di verità “assoluta”») ma con ciò non ha affermato che sia “relativa”, ha confermato una cosa affatto diversa: che è in “relazione”. L’assoluto che entra in relazione non cambia la propria natura, cambia il mondo. Il tranello è linguistico, ma Francesco non è un ingenuo e avvisa il suo interlocutore: non pensare di usarmi pro domo tua, «bisogna intendersi bene sui termini», dire che «la verità è una relazione… non significa che la verità sia variabile e soggettiva, tutt’altro». A scanso di equivoci (ma l’equivoco è di chi equivoca) precisa: «Dio non è un’idea, sia pure altissima, frutto del pensiero dell’uomo. Dio è realtà con la “R” maiuscola… non dipende dal nostro pensiero».
Fosse per noi, il nostro pensiero, la nostra scarsa immaginazione di uomini – lascia intendere il Papa – Dio sarebbe rimasto “assoluto”, slegato, irraggiungibile. Si è invece preoccupato di noi, ha voluto farsi i fatti nostri, si è immischiato con la carne e il sangue della storia.
Ed è proprio questo che rovina i piani del diavolo: se l’assoluto si fa i fatti suoi, gli uomini possono farsi i loro, e noi possiamo farci su gli uomini. La novità del cristianesimo non è lo spirito, l’eterno. La novità del cristianesimo è la carne, la storia. L’opera di Dio è decisamente materiale fin dall’inizio (ha fatto le cose), solo quella del diavolo è interamente spirituale. Lo scrisse Chesterton a inizio del Novecento, e purtroppo per noi non è rimasta un’intuizione isolata.
Due secoli di presunto materialismo avevano portato il mondo a considerare Dio un’opzione spiritualistica, pia, sentimentale, disincarnata; e i cristiani che si occupavano di cose terrene come la politica, l’economia, la vita sociale come dei traditori della purezza del messaggio: pensassero all’anima, dicevano gli intellettuali engagé mentre teorizzavano che l’anima non esiste.
Poi – per quegli scherzi che la storia ci riserva quando pensiamo di averla ben indirizzata dove vogliamo noi – qualcuno rimise insieme i pezzi, e rifece delle due (il cielo e la terra, l’anima e il corpo, l’eterno e la storia, l’assoluto e il contingente) una cosa sola. Successe in un piccolo paese della Brianza: «La scuola di Venegono aveva superato la teologia scolastica delle astratte formulazioni sistematiche che faceva apparire la fede cristiana come un sistema di pensiero; ora invece erano le categorie di avvenimento e di incontro a costituire la base della riflessione. La fede cristiana non ha origine in evidenze teoretiche, ma in un avvenimento: la storia di Gesù Cristo; questo avvenimento diventa incontro e nell’incontro si dischiude la verità… è qui centrale la categoria di storia… l’idea di persona… e la razionalità diventa in modo nuovo una delle determinazioni essenziali della fede». Chi è il “relativista” che scrive così? Quel teorico assolutista dei princìpi non negoziabili di nome Joseph Ratzinger.
Riprenditi, è lo stesso che chiede di “allargare la ragione”. Anche oltre gli schemi di assoluto e relativo. Per noi è dura.
Tuo affezionatissimo zio Berlicche
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