Barack Obama, il peggiore. Ha dato ai suoi fan tutto quello che volevano, eppure l’America lo disprezza. Ecco perché
Gli americani sono pragmatici. Giudicano dai risultati. Si muovono per i soldi e per altri benefici misurabili. L’efficienza è per loro supremo criterio di scelta, il calcolo fra costi e benefici un’arte che è andata affinandosi nel tempo. Apprezzano i risultati sonanti, la certezza delle statistiche, non si baloccano troppo con le prese di posizione ideologiche, fumo filosofico buono per le svolazzanti menti europee rimaste incastrate in qualche altro secolo. Ai manifesti d’intenti preferiscono gli istogrammi; se ne fregano delle apparenze e vanno al sodo. Prendono decisioni sulla base dei dati, non di convincimenti indebitamente universalizzati, e non hanno idee tradizionali abbastanza solide da non poter essere rimpiazzate alla bisogna da surrogati più funzionali. Si potrebbe andare avanti per ore a ingrossare l’antologia dei luoghi comuni intorno alla leggenda del pragmatismo americano. Poi si dà uno sguardo al rapporto fra i risultati politici di un presidente e la sua popolarità e tutti i luoghi comuni si squagliano immediatamente.
Non ha firmato una legge in favore del matrimonio gay, ma più scaltramente ne ha vidimato in pectore lo spirito, limitandosi a “evolvere” nelle sue convinzioni matrimoniali mentre la macchina della giurisprudenza faceva rimbalzare ricorsi su fino alla Corte suprema. Il presidente sulla battaglia Lgbt non ci ha messo l’autografo ma ci ha messo il cappello, e non è poco in una disputa cresciuta nell’alveo lincolniano dei diritti civili da conquistare, figura postmoderna dello spirito dell’abolizionismo. Insomma, Obama ha fatto molto di quello che, a sentire i bene informati, gli americani chiedevano come un sol uomo alla fine della presidenza Bush. Eppure i sondaggi sulla popolarità relegano Obama all’ultimo posto della classifica dei presidenti americani dal secondo dopoguerra a oggi.
Un sondaggio della Quinnipac University (vedi qui sotto) dice che il 33 per cento degli americani pensa che Obama sia il peggiore presidente degli ultimi sessant’anni, anche peggio del suo odiatissimo predecessore, fermo al 28 per cento, largamente peggiore dell’infinitamente deprecabile Richard Nixon e dell’imbelle Jimmy Carter. Per rendere la percezione ancora più amara per Obama, il sondaggio rivela che il più amato fra i presidenti da Truman in poi è nientemeno che Ronald Reagan, più venerato di quanto Obama è odiato (35 per cento). Più staccato nella classifica John Fitzgerald Kennedy, con il 15 per cento dei consensi.
Assecondando lo spirito del tempo
Obama ha dato al popolo quello che il popolo chiedeva, sempre stando ai bene informati, ha guidato o assecondato – a seconda delle circostanze – lo Zeitgeist, con tutte le sbavature e le manchevolezze in cui necessariamente incorre chi armeggia con la realtà extramentale, ma tutto sommato il suo governo è andato nella direzione che si proponeva. Perché allora il giudizio popolare è tanto impietoso? Perché emerge quello che la Cnn chiama “Obama disconnect”, l’asimmetria fra le non poche prove che Obama potrebbe teoricamente esibire a suo vantaggio e l’impopolarità diffusa che invece ne è venuta fuori?
Federico Rampini su Repubblica conclude una dettagliata analisi del fenomeno lasciando intendere in una riga che in fondo la colpa è del capitalismo: l’economia si starà anche riprendendo, ma se ad arricchirsi oltremisura sono sempre e solo i ricchi che affamano la middle class – e non potrebbe essere altrimenti, perché il capitalismo è nato con la sindrome della diseguaglianza, lo dice Thomas Piketty in un libro che tutti hanno comprato e nessuno ha letto – che gusto c’è a crescere? Obama dovrebbe insomma rivoltare il sistema come un calzino, inaugurare un nuovo paradigma sociale ed economico, allora sì che si potrebbero riporre le basi per una nuova convivenza. E forse i sondaggi tornerebbero a sorridere.
Le belle visioni di una volta
Il giudizio equanime sull’operato presidenziale di norma arriva assieme alla distanza storica, ma l’“Obama disconnect” contiene già nel presente chiavi interpretative utili. Innanzitutto smonta l’idea del pragmatismo e del funzionalismo di andamento tecnocratico come vettore dominante della percezione politica degli americani. Reagan certamente ha dato contributi politici perimetrabili, e in questi tempi di inconcludente polarizzazione politica, come si dice, un altro luogo comune di sicuro successo consiste nell’evocare nostalgicamente i bei tempi andati in cui Reagan e il democratico speaker della Camera Tip O’Neill siglavano ragionevoli compromessi politici davanti a un drink. Sono giusto un filo meno citate le battaglie elettorali di Reagan prima di agguantare la Casa Bianca, montate su una piattaforma politica libertaria che al confronto l’odierno Tea Party sembra un’accozzaglia di figuranti in maschera, perché nella vulgata circola un’acuta allergia all’idea che le proposte politiche di natura identitaria possano avere presa sul popolo.
Reagan è rimasto scolpito nei cuori degli americani perché ambiva a interpretare un ideale. Su tasse, ruolo dello Stato, famiglia, vita, crescita economica, rapporto fra settore pubblico e privato, spesa pubblica, debito, politica estera, ruolo dell’America nel mondo e via dicendo il reaganismo si rifaceva a una concezione del mondo tendenzialmente organica. C’erano la tattica e il compromesso, eccome se c’erano, ma c’era anche la tensione ideale, quella che scalda i cuori e argina la dittatura del relativismo.
La patria declassata
Se l’America davvero preferisse il freddo problem solver al leader carismatico, persino apocalittico – e vale sia in senso democratico che repubblicano – due anni fa avrebbe votato a mani basse Mitt Romney, che aveva il portafogli, la mentalità, il physique du rôle e il sorriso finto ed efficiente dell’amministratore delegato della nazione da ristrutturare. Avrebbe potuto fare una perfetta due diligence e un nuovo business plan. Obama a quel punto era debole, ma era ancora “inspiring”. E l’America è pur sempre il “progetto della modernità”, come dice lo storico Stanley Hauerwas, unico esperimento insieme liberale e puritano che non nasce dall’opposizione con una cultura precedente ma interpreta la sua vocazione in senso assertivo, e questo esperimento non può che nutrirsi di ideali. I presidenti che vi rinunciano sono condannati a un serafico oblio, quelli che li evocano per poi abbandonarli, sottomettendoli alla logica della convenienza, guadagnano l’attivo disprezzo.
L’inquietudine della nuova era
Obama può essere considerato il curatore fallimentare delle “culture wars” americane su sessualità, famiglia e altri conflitti limitrofi trattati come materia di diritti civili, dunque verità di tipo self-evident confermata dalla lettera della Costituzione, ma questo non può non generare un’inquietudine in un popolo che ancora non appare pronto al perfetto e simultaneo appiattimento cerebrale sui dettami della cultura liberal. I sondaggi che lo vogliono peggiore presidente americano dal dopoguerra, a dispetto degli “accomplishment” da esibire come sintesi di una nuova era, non sono che il riflesso dell’inquietudine da disconnessione obamiana.
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16 commenti
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Un articolo scritto benissimo, da una penna molto fine. Su Obama non saprei dire, non dispongo di informazioni né conoscenze significative, ma non ho dubbi sul fatto che l’isolazionismo da un punto di vista militare-umanitario, nonché ideale, cioè dal punto di vista dell’esemplarità da sempre propria degli Stati Uniti, lo abbia fortemente penalizzato nei consensi e nei sondaggi, perché gli americani non sono così pragmatici come vogliono far credere. Altrimenti adopererebbero automobili molto più pratiche, e i bancomat invece delle carte di credito. E’ anche vero che se uno come Freccero dice ciò che ha detto su Obama, allora viene da pensare -almeno a me – che ci sia anche dell’altro
i miei devono avermi trovato in qche orfanotrofio americano e portato in Italia.
poi per non farmi soffrire avranno pensato di tenermi nascosta la verita’, cioe’ che i miei veri genitori sono 2 amerivpcani del colorado o del texas che avendo gia’ tante bocche da sfamare hanno deciso di affidarmi alle suore.
Resto alla concretezza delle cose fatte. I personaggi vanno e vengono, quello che conta è che sia stata introdotta una maggiore copertura sanitaria, che in molti stati si siano fatti passi avanti nel garantire i diritti civili, che sia stata favorita una maggiore equità sociale per combattere la povertà ecc. Il resto conta poco….
La riforma sanitaria, statalizzante come mai in usa, è paralizzata dai suoi stessi cavilli. Lede la libertà religiosa obbligando anche i cattolici a pagare l’aborto. quanto ai diritti civili, se è significato imporre a tutti il volere delle lobby gay, mi spiace, ma anche i presunti meriti vanno a ramengo.
In primo luogo quando si parla di diritti civili i meriti centrano poco. Ti ricordo poi che anche in Italia con i soldi dei contribuenti si pratica l’aborto nelle strutture pubbliche ma non per questo il credente può rifiutarsi di pagare le tasse.
Da noi la sanità è statalizzata, non è come in America, che il sistema si fonda su assicurazioni volontarie. Obama obbliga i cattolici a pagare assicurazioni per servizi che non erogano nelle loro cliniche. Comunque, anche noi dovremmo porci il problema delle tasse che pagano l’aborto. Su questo hai ragione.
Michele chiarisciti le idee, in America la sanità è statalizzata o no? Prima dici una cosa poi un’altra
Ehi cos’e’ tutta questa aggressivita’ ?
Ti remdi conto che e’ gia’ tanto ae siamo ancora vivi? Un po’ di dolcezza s’il te plait con Michel!
Sembra che per certuni – magari, antiTempidipendenti- dipendenti – attaccare mr. Obama sia un diversivo che comporta, per chi vi indulga, l’accusa di sadismo dopolavoristico. Esaltare Barack Hussein e farne la favola hollywoodistica che ci è stata raccontata, elevarlo al rango di icona per masse adoranti e media officianti l’ennesimo culto della personalità, non suscitava reazioni allarmate o infastidite. Invece, ora che il prodotto non funziona come il brand prometteva, tacciono tutti: e se qualcuno si azzarda a farlo notare, scatta l’accusa di lesa maestà dello strapotere dei media e di questa loro evanescente creatura.
La stessa operazione mediatica la stanno tentando ora per Bill De Biasio, lo straosannato sindaco di New York dalla moglie lesbica, definito in patria “il Nichi Vendola d’America”. Non a caso si trova benissimo con il vanesio Ignazio Marino.
Raider, se Obama su aborto e gay la pensava come gli amiconedipendenti, stai sicuro che spuntava, come per incanto, un sondaggio dove era considerato il miglior presidente dell’universo. Perchè la redazione non va da Marchionne per sapere come la pensa?
Infatti, mr. Obama ha fatto credere di pensarla come piaceva a cattolici e evangelici su aborto e gay e poi, una volta eletto presidente, gli ha dato il benservito. I media e i gruppi finanziari che li controllano hanno fatto di Obama il loro beniamino: hanno scelto il ragazzo-immagine del cambiamento: epidermide della giusta sfumatura, giovane, eloquio fluente, una storia romanzata da lui-meme per primo: e il gioco è fatto. Che volete di più? Il modo in cui ha salvato le banche amiche sue grandi elettrici, la disinvoltura con cui ha incasinato la polveriera medio-orientale, il disprezzo conclamato per le tradizioni religiose del Paese e della Presidenza stessa (per es., l’abolizione della preghiera del Presidente per il Thanksgiving Day: e mi fermo al folclore per tacer d’altro di più serio, in altre occasioni richiamato), perr Filomena è tutta roba che “conta poco.”
Per una valutazione degli esiti inconcludenti o nefasti di una presidenza salutata con grida di giubilo mediatico globale e benedetta dal Nobel, è abbastanza per trarne il bilancio disastroso di una figura anche personalmente ambigua (non si sa dove sia nato davvero; ha ricevuto una educazione americana upper class; il papà “povero” era un africano musulmano sbevazzone in viaggio-premio in America, dove se l’e spassata e poi, era tornato in Africa, senza distinguersi particolarmente quanto a dedizione alla causa dei fratelli neri; la madre, che si faceva ritrarre nuda in foto sbarazzine e apparteneva a una famiglia benestante con una spiccata antipatia per l’Amertica bianca cui apparteneva, sposò in seconde nozze un musulmano indonesiano: e con padre 1 e 2 di questa religione, i figli, anche se frequentino esclusivi college Ivy League, sono membri della ‘religione naturale’ dell’umanità che hanno dalla loro la tariqqya, l’autorizzazione e anzi, il dovere della dissimulazione per ingannare gli infedelii; per dar5si una copertura cristiana, Obama e signora frequentavano una Chiesa per neri il cui pastore teneva infiammati sermoni anti-bianchi, prontamente sconfessati a posteriori in prossimità delle elezioni; ecc..
Per Filomena, comunque, trutto questo sarà sempre qualcosa che “conta poco.” Se non sei ateo, che Presidente stai a fare? Se non sei anti-cristiano, che campi a fare?)
Era un pò di tempo che non usciva su Tempi un articolo contro Obama. Ora , colti da crisi da astinenza, hanno pensato di propinarci una una dose di controbama. Quindi non vale la pena di leggere l’articolo fatto solo per gli amiconidipendenti..
è una bella lotta fra bush junior ed Obama. dal 2001 l’america ne sta combinando di tutti i colori. assieme all’europa. tra l’altro forse hanno trovato il modo di far entrare l’ucraina in europa definitivamente. nonché di consegnare l’irak e la siria all’integralismo arabo. e di incasinare ancor più la palestina. alla faccia in ogni caso di cristiani ed ebrei. si impegnano gli americani, non c’è che dire!
Il vanesio Obama non si è rivelato per quello che è, quasi che lo abbiano eletto per il gusto scoprire che c’è di vero dietro l’immagine iconizzata secondo i lineamenti della political correctness: i miti che nascono all’inizio, non alla fine di una vicenda storica o politica, si chiamano bluff, manipolazione propagandistica della pubblica opinione, meno libera di quanto si pretenda, ‘vittima’ dei pregiudizi imposti dal politicamente corretto. Fra tutti, i cattolici proni alle direttive del mainstream più di quanto non lo siano nei confronti del Magistero della Chiesa fanno una figura che rivela loro, più che questo pagliaccio che li ha turlupinati e smascherati.
Caro Raider(ben tornato), come ben sai io ragiono in termini di cavalli per cui “Attanasio cavallo vanesio”, secondo me al di la dell’immagine mediatica, ha vinto la coppa per essere arrivato primo alla corsa ippica “diritto alla salute” e sta galoppando veloce verso il traguardo dei diritti civili. Forse non vedremo più il suo faccino vanesio ma la qualità di vita per gli altri cavalli ne esce rafforzata.