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Non rassicurate da Padoan, le scuole paritarie fanno pressing su Renzi

A Livorno «l’ideologismo e la miopia politica hanno avuto il sopravvento facendo compiere un grossolano errore». Macrì (fidae) ribadisce: «Serve un dispositivo normativo chiaro, inequivocabile»

Redazione
02/08/2015 - 1:00
Interni
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In vista dell’incontro che si terrà martedì 4 agosto a Palazzo Chigi tra governo e rappresentanti delle scuole paritarie, il presidente nazionale della Federazione delle scuola cattoliche italiane, annuncia che le scuole condannate dalla Cassazione a pagare l’Ici faranno ricorso, attacca il comune di Livorno («miope e ideologico») e ribadisce: «C’è bisogno di una norma che stabilisca una volta per tutte che le paritarie sono esenti da tasse su immobili, rifiuti e attività educativa». 
Don Macrì torna a ribadire ciò che ha detto a tempi.it. E lo dice rimarcando la necessità di «un dispositivo normativo chiaro, inequivocabile, che non si presti a fraintendimenti, a valutazioni arbitrarie dei diversi giudici di merito, che stabilisca una volte per tutte che le scuole paritarie senza finalità di lucro, facenti parte dell’unico sistema nazionale di istruzione, siano esenti dal pagamento di tasse sugli immobili, sui rifiuti, sulla attività educativa e didattica».
Ecco il testo integrale dell’intervista comparsa sul sito della Fidae.

Come valuta le recenti sentenze della Cassazione n. 14225 e n. 14226, depositate l’8 luglio 2015, che dichiarano legittima la richiesta del Comune di Livorno di far pagare l’ICI a due scuole cattoliche paritarie locali?
Non voglio entrare nel merito della sentenza sotto il profilo strettamente processuale e giuridico. Ci sarà un ricorso da parte delle due scuole coinvolte al proprio Giudice di merito, che auspichiamo porti alle stesse ragionevoli conclusioni del decreto interministeriale MIUR-MEF del 2012 avente come oggetto proprio la questione del pagamento dell’IMU da parte delle scuole paritarie senza finalità di lucro.
Mi limito invece a fare due considerazioni di carattere generale, cioè culturale, politico, di contesto.
La prima. Questa sentenza rimane dentro una cultura abbastanza diffusa in Italia, pregiudizialmente avversa alla scuola paritaria, nella quale convergono in maniera promiscua due “famiglie” ideologiche: una, “statalista”, l’altra “anticattolica”. Nonostante il mutare delle circostanze storiche e sociali, nonostante l’evolversi di una società che orgogliosamente e puntutamente si qualifica “laica” e “democratica” permane uno zoccolo duro e inossidabile, nostalgico di apparati burocratici statalisti, centralisti, egemoni, intollerante a ogni sorta di pluralismo, di iniziativa e partecipazione che provenga dal basso, di riconoscimento di una effettiva pratica di cittadinanza attiva ed autonoma. Si tratta di un coacervo di culture di diversa matrice, in conflitto tra loro su tutte le grandi questioni economiche, sociali, politiche, etiche del Paese, tuttavia compatte e coese su quella relativa alla scuola non statale, paritaria. Divergenti i loro profili, i loro interessi, i loro progetti, ma collegati da questa comune ossessione: no alla scuola paritaria.
La seconda considerazione. Un senso di stupore e disappunto nei confronti dell’amministrazione comunale di Livorno quella, per evitare di fare di ogni erba un fascio, che si è fatta promotrice dell’ingiunzione del pagamento ICI. Premesso che la scuola, qualsiasi scuola, al di là di ogni connotazione di “statale” o “paritaria”, purché sia di qualità (ed è questa l’unica qualifica che dovrebbe interessare tutti), è una risorsa per il territorio, un presidio importante di istruzione ed educazione, un nodo di aggregazione per i giovani e le loro famiglie, un ascensore sociale e un motore di sviluppo economico, tutto avrebbe dovuto fare questa amministrazione comunale fuorché mettere i bastoni tra le ruote e costringere queste due scuole a dismettere la loro attività, già in difficoltà per ragioni economiche, con una esosa imposizione fiscale. Questa amministrazione, avesse capito il valore dell’istruzione e dell’educazione e, quindi, della scuola, non solo non avrebbe dovuto aggiungere ulteriori difficoltà alla loro già precaria condizione economica ma avrebbe dovuto fare ponti d’oro per creare condizioni favorevoli per migliore qualitativamente la loro attività di pubblico servizio.
In tutto il mondo la scuola è vista come una risorsa indispensabile e strategica; su di essa gli Stati investono miliardi ben consapevoli che è il modo più sicuro per assicurarsi un futuro di prosperità. Solo l’amministrazione comunale di Livorno sembra guardare in un’altra direzione. L’ideologismo e la miopia politica hanno avuto il sopravvento facendo compiere un grossolano errore.

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Don Pierino De Giorgi

In memoria di don Pierino De Giorgi, “fratello maggiore” dell’Agesc

21 Aprile 2022

Quanto sta dicendo è molto forte; sono parole pesanti e dure come pietre.
Certamente, ma rispondono ad un ragionamento incontestabile, universalmente condiviso: quello che le ho appena finito di dire. In una società affamata di relazioni educative, di istruzione per tutti e per tutto l’arco della vita, una Istituzione pubblica (qual é appunto un Comune) in ragione del suo ruolo, della sua funzione, del mandato sociale e politico che la società le attribuisce dovrebbe essere il primo e più interessato soggetto a sostegno dell’educazione, dell’istruzione, della professionalizzazione dei suoi cittadini, soprattutto se in quel dato territorio ci sono aree di degrado sociale, di povertà, di disoccupazione giovanile, di marginalità, di crescente domanda educativa. L’iniziativa del Comune di Livorno ha  a mio modo di vedere una sola spiegazione: un preconcetto ideologico l’ha spinto a fare proprio quello che non avrebbe dovuto fare. Con linguaggio sportivo potrei dire che ha perso la partita (la faccia) per un banale autogol.

Ma non far pagare l’ICI a queste due scuole cattoliche non sarebbe stato concedere una sorta di privilegio che, in quanto tale, è inaccettabile?
Le due scuole delle quali stiamo parlando sono proprio due scuole cattoliche. Ma quello che mi sto sforzando di dire nella maniera più comprensibile non é affatto a sostegno della loro identità e qualificazione “cattolica”. Sto parlando semplicemente di due “scuole”  tout court e di due scuole “paritarie”. E’ per la ragione che sono “scuole”, quindi istituzioni di promozione culturale, sociale, umana che hanno titolo per non essere gravate dall’ICI; che sono scuole “paritarie” e, in quanto paritarie, non discriminabili rispetto a quelle omologhe “statali”. Le scuole paritarie sono istituzioni “pubbliche”, tant’è che nessuno può essere impedito ad iscriversi; svolgono una funzione “pubblica” e di “pubblico interesse” in quanto rispondo alla domanda formativa delle famiglie, domanda che é un diritto umano fondamentale garantito dalla Costituzione italiana come pure da i principali documenti del diritto internazionale, sottoscritti anche dall’Italia. La natura dell’ente gestore (non statale), che tanti pretestuosi problemi solleva il Italia, non cambia affatto la loro “natura” ed “identità” di essere “scuole”.
Inoltre, sono scuole che sono già penalizzate e discriminate in quanto non godono di finanziamento pubblico se non in una misura irrisoria e simbolica, non hanno finalità di lucro, praticano rette molto al di sotto del costo della scuola statale, sono tenute alla pubblicità del loro bilancio.
La conclusione di questo discorso é che l’esenzione dal pagamento dell’ICI non costituisce affatto la richiesta di un privilegio. Si tratta semplicemente di un atto di giustizia e di avvedutezza politica per il servizio pubblico e di interesse pubblico che svolgono.

Mi spieghi meglio perché lei le qualifica scuole “pubbliche”.
Una legge dello Stato italiano, la legge n. 62 del 2000, in maniera inequivocabile le qualifica scuole pubbliche, parte “integrante” e “costitutiva” dell’unico sistema nazionale di istruzione e formazione. Questo, in altre parole, significa piena legittimità e legittimazione a svolgere la loro funzione educativa, di pari dignità a quella svolta dalle omologhe scuole statali. Il persistente tentativo polemico, come si evince anche in questa occasione dell’ICI. di contrapporre le scuole statali alle paritarie. alla luce anche di questa legge è chiaramente un non senso. Esse in quanto parti di un unico sistema educativo nazionale concorrono (corrono-insieme)  in collaborazione con le scuole statali a garantire il diritto di istruzione ed educazione degli studenti e quindi il bene comune; la diversa  natura giuridica dell’ente gestore non intacca affatto la loro funzione pubblica e la loro natura di essere scuole.
Sarebbe molto più proficuo per tutti se gli organi di stampa si concentrassero sulla vera questione, che non è quella di essere scuola statale o scuola paritaria, ma di essere una “scuola di qualità” perché é solo la qualità che assolve di fatto il diritto-dovere di istruzione ed educazione degli studenti, perché é solo la qualità che diventa motore di sviluppo per il paese; é solo la qualità che dovrebbe dare titolo ad un finanziamento pubblico come pure ad essere esentati da qualsiasi carico fiscale. La polemica di contrapporre la scuola statale a quella paritaria, o di pretendere che solo la scuola statale abbia legittimazione a svolgere la sua funzione e ad essere finanziata dallo Stato è una polemica provinciale, anacronistica, lesiva di fondamentali diritti umani, lontana dalla Europa.

Ha accennato che le scuole paritarie percepiscono un finanziamento pubblico. Vuole quantificare l’importo e le modalità di erogazione?
Le scuole paritarie subiscono una discriminazione economica fin dalla nascita della nostra Repubblica. Sorvolo sulla storia e le ragioni di questa discriminazione tutta costruita pregiudizialmente su un unico comma della Costituzione (“senza oneri per lo Stato”), estrapolato dal suo contesto, che è un contesto di pieno riconoscimento della dignità della persona, dei suoi diritti fondamentali, e per di più  interpretato in senso rigorista e ben diversamente dal significato che gli aveva attribuito lo stesso proponente, un certo on. Corbino, nel corso del dibattito alla Costituente. Si tratta di una modalità “grezza” e settaria di leggere la Costituzione che nessuno studioso serio utilizza quando si appresta a analizzare e interpretare un testo, specialmente se complesso come é una costituzione.  Ma lasciando perdere questa questione e venendo alla sua domanda, oggi, dopo decenni di lotte e dopo la legge 62/2000, é previsto un finanziamento pubblico di appena 476 milioni di euro per un totale di circa 13.000 scuole e 1.200.000 alunni. Una cifra irrilevante sul piano economico, ma di grande significato simbolico per quello che esprime: la legittimità del finanziamento pubblico della scuola paritaria. Una cifra, che di anno in anno viene definita dalla legge finanziaria o di stabilità, quindi suscettibile di tutti gli umori del dibattito in parlamento e delle variabili compositive della maggioranza, quindi segnata fino all’ultimo dall’incertezza. A questo dato andrebbe poi aggiunto che le modalità di erogazione sono bizantine per il passaggio di mano tra diversi soggetti competenti e la tempistica é dilatata all’inverosimile con ritardi di almeno un anno e più.
Questa discriminazione sta mettendo la parola fine a molte scuole la cui attività risale in molti casi a due/tre/quattro/cinque secoli fa quindi ben molto prima di quanto ha iniziato a fare lo Stato nazionale. Un particolare storico che sarebbe bene rammentassero tutti coloro che sono ostili alla scuola paritaria. Come pure sarebbe bene rammentassero che queste scuole hanno un bagaglio di cultura pedagogica e didattica di altissimo profilo sedimentatosi nel corso del lunghissimo tempo della loro attività.

Ma qual è il rapporto dei costi tra scuola statale e paritaria?
Purtroppo nessuno è in grado di rispondere con precisione a questa domanda. Si possono citare soli dati approssimativi. E’ sorprendente ma é così. Nessuno in Italia sa a quanto effettivamente ammonta il costo del finanziamento pubblico per la scuola statale. Facendo riferimento al solo Bilancio del Ministero dell’Istruzione, ricavabile dalle singole leggi finanziarie, si può dire che il costo medio di un alunno di scuola statale é di circa 7000 euro all’anno. Ma come é noto oltre al MIUR ci sono altri soggetti pubblici che concorrono a finanziare l’istruzione pubblica ognuno ovviamente per le sue competenze. Ci sono i Comuni, le Province, le Regioni, il Ministero dei trasporti, il Ministero della Sanità, il Ministero dei beni culturali, l’Unione europea, i privati con le loro donazioni, le stesse famiglie degli alunni. Sommando tutte queste voci, di cui ripeto nessuno è in grado di dire, e questo in un Paese civile é assurdo, i 7000 euro di cui le ho parlato diventano molto e molto di più. Si tratta di un costo enorme a fronte spessissimo di un servizio scadente e di strutture fatiscenti o comunque inadeguate al servizio che svolgono. Viceversa il costo medio per lo Stato di un alunno di scuola non statale si aggira intorno ai 450 euro (sic).
Il raffronto pertanto é sbalorditivo. Perciò fondatamente si può dire che lo Stato con la scuola paritaria ha un risparmio annuo di diversi miliardi.
Ha mai visto i giornali affrontare la questione della scuola statale e paritaria da questo punto di vista? Mai. Eppure si tratta di denaro pubblico, prelevato dalle tasche dei cittadini con le tasse. Ogni cittadino perciò avrebbe diritto di conoscere queste cose ed esprimere una valutazione. Ma l’ideologismo, mascherato sotto diverse forme e diffuso a piene mani dalla stampa, dalle forze sindacali e politiche, dalle lobby e corporazioni, impedisce ogni sorta di trasparenza, anzi fa della disinformazione pura facendo intendere che la scuola paritaria é un costo indebito per lo Stato a danno della scuola statale. Siamo di fronte al paradosso più assoluto delle tre carte.

Su questo tema della parità scolastica qual è la posizione dell’Europa?
Anche in Europa esistono resistenze e pregiudizi. Non sono tutte rose e fiori. Ma nonostante questo e nonostante che il peso politico e decisionale maggiore lo detengano proprio le Nazioni a più  lunga e forte tradizione “laica” sono state approvate a larga maggioranza due importanti Risoluzioni, una del 1984 e un’altra del 2012, con le quali l’Europa unita ha richiamato a chiare lettere gli Stati perché non pratichino alcuna discriminazione tra scuola statale e scuola paritaria e ha minacciato che qualora venisse praticata sono suscettibili alle stesse sanzioni previste per coloro che violando i diritti umani fondamentali. In Olanda, Belgio, Germania, Francia, Spagna, ma addirittura anche in alcuni Paesi ex-comunisti da poco giunti al traguardo della democrazia il finanziamento pubblico delle scuole paritarie è una realtà consolidata e condivisa. E’ l’Italia invece che fatica a fare questa scelta nonostante la sua grande tradizione giuridica. Parole importanti e codificate nella Costituzione, come autonomia, sussidiarietà, libertà di insegnamento, libertà di scelta educativa, pluralismo creano inquietudine e timori dentro alcuni partiti, sindacati, corporazioni. Preferiscono affidarsi ad un sistema statalista, centralista, egemone. Nutrono sfiducia nella libertà dei soggetti singoli o collettivi. Accusano, dobbiamo amaramente constatare, un deficit di consapevolezza e di attenzione verso il grande valore, che riconosce la dignità di tutti, che é la democrazia, cioè la responsabilità e corresponsabilità diffusa.

“Per una scuola pubblica e della Costituzione” è uno dei tanti slogan comparso anche nelle recenti manifestazioni contro il progetto di riforma del Governo Renzi. Al riguardo quale é la sua opinione in quanto operatore di scuola paritaria?
La sorprenderà, ma io lo condivido pienamente perché qualsiasi scuola deve essere per davvero pubblica ed ispirata ai valori della Costituzione. Questo slogan tuttavia va purificato da quella interpretazione polemica e di parte che lo sottende. La scuola pubblica non é soltanto quella statale. Identificare semanticamente statale con pubblico è errore grave. Come é un errore grave pensare che la scuola statale sia la “sola” scuola pienamente legittimata dalla Costituzione. Anche la scuola paritaria ha le giuste connotazioni giuridiche e sociali per essere definita pubblica. Anche la scuola paritaria é una scuola che sta tutta “dentro” la Costituzione e pertanto “é” della Costituzione. La legge 62 del 2000, ma la stessa legislazione precedente, dà tutte le risposte per andare oltre questa vecchia e stanca polemica, perché qualora non fosse così, con l’ostilità che, in maniera trasversale a partiti, sindacati, parlamento, associazioni, stampa, ecc, la circonda, avremmo avuto già fior fiore di sentenze di incostituzionalità.
Tra i requisiti principali che la legge 62 richiede alla scuola paritaria c’è quello che il suo piano dell’offerta formativa si ispiri ai valori della Costituzione, rispetti le norme generali e i principi fondamentali, gli ordinamenti scolastici, la libertà di coscienza di ciascuno, sia aperta a tutti senza discriminazione di sesso, cultura, razza, religione. Si tratta di una scuola che veramente é espressione della società civile e finalizzata al bene comune. In qualche misura, appunto perché espressa dal basso, cioè dalla libera iniziativa dei cittadini e non dall’apparato burocratico e amministrativo, potremmo dire, enfatizzando un attimo l’idea, che é la scuola pubblica (del pubblico e per il pubblico) per eccellenza.

Quante sono le scuole paritarie cattoliche in Italia?
Nell’anno scolastico 2013/2014 le scuole dell’infanzia erano 6431 con oltre 400.000 bambini; le scuole primarie 1106 con 149.774 bambini; le scuole secondarie di I° grado 570 con 58.805 ragazzi; le scuole secondarie di secondo grado 656 con 55.506 ragazzi.
Una piattaforma abbastanza consistente. Tuttavia in forte sofferenza per molte ragioni non ultima quella del mancato finanziamento pubblico e quindi della insostenibilità dei costi di gestione. Qualora dovessero venire meno l’Italia perderebbe una grande esperienza culturale, pedagogica, didattica, organizzativa che ha contribuito nel corso degli ultimi cinque secoli a scrivere la storia della pedagogia e a promuovere il suo sviluppo economico e sociale.

Ma ritorniamo alla questione da cui siamo partiti. Lei ha fatto riferimento ad un dispositivo congiunto del MIUR e del MEF che solleverebbe dal pagamento dell’IMU le scuole paritarie. Mi potrebbe precisare meglio la questione.
A seguito di una direttiva di Bruxelles, sollecitata da alcuni gruppi politici italiani fortemente ostili alla scuola paritaria,  secondo la quale potevano essere esentate dal pagamento dell’IMU senza contravvenire gli aiuti di Stato e il regime di libera concorrenza solo quelle scuole non statali che prestavano la loro attività a “titolo gratuito” o a fronte di una “retta simbolica”, il Ministero delle Finanze e il Ministero dell’Istruzione, dopo un lungo periodo di confronto con le associazioni di categoria, sono arrivati a precisare nel 2012 il significato di “retta simbolica” e quindi la corretta applicazione della direttiva comunitaria. Hanno quindi dato queste indicazioni operative. Sono esentate dall’IMU tutte le scuole paritarie a condizione che abbiano i requisiti richiesti dalla legge per essere riconosciute paritarie, siano senza finalità di lucro, pratichino rette uguali o inferiori (e in ragione di questo verrebbero classificare come “rette simboliche”) al costo annuo degli alunni delle scuole statali. Costo quantificato secondo i parametri dei dati OCSE: per la scuola materna € 5.739,17, per la scuola primaria € 6.634,15, per la scuola secondaria di 1° grado € 6.835,85, per la scuola secondaria di “2° grado € 6.914,31. Su questi dati si ricordi però quanto le ho detto le ho puntualizzato prima perché sono dati approssimativi per difetto in quanto non tengono conto di tutte le voci di spesa di tutti i soggetti che concorrono al finanziamento dell’istruzione pubblica.

Per concludere. Cosa proponete?
Un dispositivo normativo chiaro, inequivocabile, che non si presti a fraintendimenti, a valutazioni arbitrarie dei diversi giudici di merito, che stabilisca una volte per tutte che le scuole paritarie senza finalità di lucro, facenti parte dell’unico sistema nazionale di istruzione, siano esenti dal pagamento di tasse sugli immobili, sui rifiuti, sulla attività educativa e didattica. Si tratta, e questo deve essere rimarcato a lettere cubitali, non della richiesta di un privilegio ma del riconoscimento di un diritto umano fondamentale, garantito dalla Costituzione (la libertà di scelta educativa delle famiglie), esercitato non per interesse personale, privato, ma per l’interesse del bene comune.

Tags: fidaeFrancesco MacrìICIimulivornoscuoleScuole Paritarie
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