Nomi e indirizzi della giovane droite che si sta prendendo la scena in Francia

Di Mauro Zanon
29 Settembre 2017
«Siamo la generazione senza tabù, la generazione senza sensi di colpa», afferma Alexandre Devecchio, uno dei giovani di questa banda che fa molto parlare di sé nella capitale

Marion le pen ansa

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Quando due anni fa Gaël Brustier, autore del saggio À demain Gramsci, disse che «la gauche aveva vinto nelle urne», ma «la destra aveva vinto nelle teste», nei salotti di Saint-Germain-des-Prés arricciarono il naso, e nella sede del Partito socialista francese (Ps) lo tacciarono di apostasia. Ma il politologo ed ex consigliere di Arnaud Montebourg, ministro dell’Economia di religione colbertista sotto la presidenza Hollande, stava soltanto cercando di aprire gli occhi al suo campo politico, che stava perdendo definitivamente la battaglia delle idee e non se ne stava rendendo conto. Una battaglia che era abituato a vincere nel Ventesimo secolo, e che ora, invece, non sembra più essere in grado di combattere.

Per capire come sia mutato il panorama intellettuale francese, e come la gauche, nonostante la vittoria di Emmanuel Macron, non sia più in situazione di egemonia culturale – lo disse, in un sussulto di realismo, anche il segretario del Ps, Jean-Christophe Cambadélis, durante un congresso di partito, ma i suoi compagni fecero finta di non aver sentito – basta dare un’occhiata all’identità e ai pensatori che oggi, a Parigi, animano il dibattito delle idee, con saggi, pamphlet, riviste e convegni su quella Francia profonda che non vuole perdere il suo «capitale di autoctonia» (Christophe Guilluy), la sua identità e il suo patrimonio culturale. Ariane Chemin, firma del Monde, li ha chiamati «nuovi conservatori senza complessi», perché hanno tutti meno di trent’anni, si definiscono fieramente “anti-moderni”, si ispirano al filosofo anti-capitalista Jean-Claude Michéa, ma anche all’intellettuale réac Eric Zemmour, e per combattere l’ideologia del progresso, dominante ma non maggioritaria nel paese, moltiplicano i loro interventi sul web e sulla carta stampata.

«Siamo la generazione senza tabù, la generazione senza sensi di colpa», afferma Alexandre Devecchio, uno dei giovani di questa banda che fa molto parlare di sé nella capitale francese. Da animatore del “FigaroVox”, la cliccatissima pagina di dibattiti sul sito del quotidiano conservatore, Devecchio accoglie ogni giorno intellettuali di ogni provenienza e orientamento, perché «bisogna finirla con il settarismo, è la morte del pensiero politico», come sottolinea Marianne Durano. Si va dal filosofo Alain Finkielkraut, che denuncia la sostituzione etno-culturale favorita dalle élite multiculti, allo storico Jacques Juillard che attacca gli intellettuali della gauche incapaci di aggiornarsi sul piano ideologico, passando per Chantal Delsol, che se la prende con quelle élite autolesioniste che continuano a evocare l’islamofobia come nuovo male della società, quando in realtà è l’occidentofobia a dilagare.

«L’immigrazione non è un Erasmus»
«Il “FigaroVox” è una delle passerelle, con Causeur, che hanno fatto saltare le dighe», dice Vincent Trémolet de Villers, responsabile della pagina. Il mensile Causeur, animato da Elisabeth Lévy, ha effettivamente lanciato molti di questi giovani che ora collaborano con quotidiani e settimanali di primo piano, come il Figaro e Valeurs actuelles, e fanno pesare nel dibattito intellettuale le proprie idee anti-moderne. Eugénie Bastié, 25 anni, è una di queste. Autrice del pamphlet Adieu mademoiselle, severa requisitoria contro le senonoraquandiste francesi, è stata soprannominata dai giornaloni della sinistra la «Eric Zemmour al femminile» e la «stella montante della réacosphère». Ma lei fa come se niente fosse, degli anatemi, dice, non se ne cura, e quando l’economista Jacques Attali, profeta della mondializzazione e dello sradicamento, le si presenta davanti durante una trasmissione televisiva, gli dice così: «Monsieur Attali, il vecchio mondo sta tornando e l’immigrazione non è un Erasmus».

Con Ingrid Riocreux, fustigatrice del pensiero unico nel paesaggio mediatico francese nel suo La Langue des médias, Solange Bied-Charreton, responsabile delle pagine di società a Valeurs actuelles, e Natacha Polony, intellettuale sovranista e fondatrice del “comité Orwell”, Eugénie Bastié figura tra le quattro «insubordinate al pensiero unico» cui Eléments, la rivista di Alain de Benoist, ha dedicato la copertina nel suo numero di maggio-giugno 2017. Tra queste ragazze disobbedienti, il giornale della “nouvelle droite” ha inserito anche Marion Maréchal-Le Pen, la nipote di casa Le Pen, che nonostante l’annuncio, fatto dopo la sconfitta della zia alle presidenziali di maggio, di volersi allontanare dalla politica, sta in realtà preparando la sua ridiscesa in campo in vista delle elezioni del 2022.

Come le altre réactionnaires che stanno facendo rizzare i capelli alla sinistra intellettuale parigina, anche Marion sembra aver letto molto bene Gramsci, e aver capito che la vittoria della battaglia delle idee è preliminare alla presa del potere politico. Tre settimane fa, con la sua benedizione, è uscito in edicola il nuovo mensile della destra identitaria, L’Incorrect, diretto dallo scrittore e giornalista cattolico Jacques de Guillebon, ex Causeur e plume di Marion quando quest’ultima era ancora nel partito frontista. «Qualcuno lo ha detto: “La strategia vincente risiede nell’alleanza della borghesia conservatrice e delle classi popolari. (…) La destra tradizionale e le classi popolari condividono una preoccupazione, quella della loro identità. (…) A partire da questa constatazione, si possono immaginare delle passerelle per andare verso una riconciliazione e fornire delle risposte comuni”. È questa passerella che L’Incorrect spera di rappresentare», ha scritto de Guillebon nel suo editoriale. C’è insomma la consapevolezza, tra questi giovani che vedono Marion come la miglior rappresentante dell’agognata “unione delle destre”, che essere in situazione di egemonia culturale è la condizione fondamentale per presentarsi alle presidenziali del 2022 con la speranza di contrapporre un’offerta credibile al macronismo.

Tutti pazzi per Michéa
Per Gaël Brustier, «Macron è l’intellettuale organico del nuovo capitalismo, che propone la narrazione ottimistica di una Francia che si adatta alla mondializzazione». Un’opinione condivisa dai ragazzi della “nouvelle vague” conservatrice, tutti innamorati del filosofo Michéa e dei suoi saggi critici verso la sinistra, che ha abbracciato il capitalismo finanziario e il nomadismo come stile di vita. «È il nostro filosofo contemporaneo preferito. L’anticapitalismo che si appoggia sulla tradizione. Ho l’impressione di essermi riconciliato con me stesso», ha dichiarato al Monde Kevin Victoire, 28 anni, cofondatore della rivista Le Comptoir. «Non si rifiuta di rispondere ai piccoli media, contrariamente ad altri intellettuali», spiega Matthieu Giroux, 30 anni, caporedattore della rivista letteraria Philitt. L’anarchismo conservatore di Michéa piace anche ai giornalisti di altre tre pubblicazioni che stanno facendo rumore a Parigi: Accattone, Raskar Kapac, Limite. Quest’ultima è una delle novità editoriali più interessanti di Francia. «Questa è una rivista di ecologia integrale, cattolica e decrescista», dicono i fondatori, tra cui Eugénie Bastié. Maxime Dalle, 27 anni, firma di Raskar Kapac, riassume tutto con questa formula: «L’inactuel, ça nous plaît».

@mauro_zanon

Foto Ansa

Articoli correlati

0 commenti

Non ci sono ancora commenti.