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Le imprese chiedono «più immigrazione o chiudiamo bottega»

Il governo lavora a un decreto che regoli flussi, rimpatri e 100 mila nuovi ingressi per fornire manodopera alle aziende. Ma quanta ne serve nel paese degli over 65, dei Neet e delle culle vuote?

Redazione
07/03/2023 - 5:40
Economia
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Il 9 marzo il consiglio dei ministri si riunirà a Cutro, dove il naufragio del peschereccio proveniente da Smirne è costato la vita ad almeno 70 persone. Sul tavolo, il dossier migranti, dalla guerra agli scafisti ai rimpatri, ma anche le richieste delle imprese italiane: il governo è infatti al lavoro per favorire l’immigrazione regolare, ha spiegato il ministro degli Affari esteri Antonio Tajani, confermando l’ipotesi di ridefinire i flussi con un meccanismo premiale (più ingressi dai paesi più capaci di contrasto all’immigrazione clandestina) e con l’idea di «far venire in Italia persone che hanno già un lavoro certo nel campo dell’agricoltura o dell’industria, formati a casa loro, con viaggi sicuri».

Poco importa se la Lega sta tentando la via parlamentare (il 9 marzo arriva in commissione Affari costituzionali anche la proposta di legge Iezzi-Molinari) per ripristinare alcune norme contenute dei decreti Salvini del 2018, ridurre i permessi e abrogare la convertibilità della protezione speciale in permesso di soggiorno per motivi di lavoro, «possiamo portarne decine di migliaia perché le nostre aziende hanno bisogno di manodopera», assicura il vicepremier.

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Di quanta manodopera stiamo parlando? Nei giorni scorsi il ministro dell’agricoltura Francesco Lollobrigida aveva ventilato «500.000 ingressi regolari disponibili» in due anni, tiro corretto in fretta da Matteo Piantedosi, titolare del Viminale, che prevede circa 100 mila visti per il 2023: più degli 82.705 predisposti dal dpcm flussi del 2022 (che deve ancora partire, il click day è previsto per il 27 marzo), ma insufficienti per le imprese: «Ne servirebbero almeno 205 mila, di lavoratori stranieri. Tanti ne hanno richiesti gli imprenditori in occasione del decreto flussi del 2021, quello da 69.700 ingressi: domande tre volte l’offerta», scrive Repubblica in un lungo servizio dedicato ieri ai lavoratori introvabili e alle difficoltà dei datori di lavoro “costretti”, nelle intenzioni del Viminale, a verificare prima di ogni assunzione l’indisponibilità dei residenti in Italia (leggi percettori del reddito di cittadinanza) a occupare quel determinato posto.

Alcuni dati significativi: «In agricoltura abbiamo bisogno di 100 mila lavoratori che non troviamo», dice Romano Magrini (Coldiretti) a Rep. «Non necessariamente stranieri, ma candidati italiani non ce ne sono». Assoturismo Confesercenti prevede invece «un buco di 50 mila lavoratori, per gestire i picchi di attività». Ancora: non si trovano quattro lavoratori su dieci, e 5,5 su dieci per le mansioni meno qualificate (coperte soprattutto da stranieri). E ancora: Bankitalia dice che per attuare il Pnrr servono 375 mila nuovi occupati, Fillea Cgil stima che solo nel comparto delle costruzioni serviranno 90 mila figure specialistiche quest’anno e 150 mila da qui al 2026. Il presidente di Anceferr Vito Miceli conferma e chiede un contratto per inserire subito i profughi in un percorso formativo in cantiere: alle “sole” imprese qualificate da RFI per l’esecuzione delle opere ferroviarie servono infatti un migliaio di lavoratori in più «profili altamente qualificati, dal carpentiere all’autista di mezzi ferroviari nei cantieri», che «hanno bisogno di periodi molto lunghi di formazione, anche di un anno».

L’immigrazione o la riserva Wwf

Di più: tutte le fotografie emerse dai centri di ricerca e associazioni di categoria fotografano un paese che inizia a toccare drammaticamente le conseguenze dell’inverno demografico. Un paese in cui 4 milioni di persone over 65 hanno bisogno di assistenza continuativa e 8,5 milioni di sostegno domiciliare, ma dove mancano 30 mila badanti e 3 mila infermieri nelle Rsa. Un paese in cui il ritmo di ricambio del personale nelle imprese del Nord Est è raddoppiato, ci vogliono cinque mesi per trovare chi assumere e da qui al 2030 verranno a mancare 50 mila lavoratori ogni anno e la demografia sta diventando “l’ossessione numero uno” degli imprenditori. Come spiega a Repubblica il demografo Gianpiero Dalla Zuanna:

«I figli del baby boom, molti con la licenza media, vanno in pensione e i giovani che dovrebbero rimpiazzarli sono pochi e quasi tutti diplomati. In una regione di manifattura significa non avere lavoratori sufficienti soprattutto per gli impieghi base».

A cui si aggiunge Enrico Carraro, presidente dell’omonimo gruppo industriale e leader di Confindustria Veneto:

«A meno che non vogliamo chiudere bottega e trasformarci in una riserva Wwf abbiamo bisogno di accogliere persone».

Una fame di lavoratori qualificati denunciata da tempo dalle piccole imprese in tutta Italia. Dati Unioncamere-Anpal, nel 2022 queste realtà hanno denunciato difficoltà a reperire 1.406.440 lavoratori, pari al 42,7 per cento delle assunzioni complessivamente previste. Se si restringe il campo al settore dell’artigianato, la quota sale al 50,2 per cento, pari a 263.980 lavoratori introvabili.

Dai migranti agli introvabili

Anche in Lombardia, nelle aree più industriose e permeate di cultura del lavoro, mancano lavoratori di tutta la filiera dell’edilizia, e alla “carenza quantitativa” di metalmeccanici, tornitori, saldatori,
maestranze del legno arredo fa il paio la “carenza qualitativa” di sarti, ricamatrici, cesellatori, orafi, botteghe sinonimo di eccellenza del made in Italy nel mondo che rischiano oggi l’estinzione. Dati Ufficio Studi dell’Unione Artigiani, tra Milano, Monza e hinterland ci sono attualmente 43mila posti vacanti, il 40 per cento delle circa 88mila imprese artigiane del territorio ha bisogno di assumere, sono pronti circa 15 mila contratti di apprendistato e 28 mila contratti per il personale esperto, si ricercano perfino amministrativi, figure digitali. Ma nessuno bussa alle loro porte. «Trovare personale adeguato è diventata l’impresa più difficile», ha confermato sul numero di Tempi di marzo Marco Accornero, segretario dell’Unione Artigiani della Provincia di Milano.

Lo ha fatto all’interno di un approfondimento (disponibile per gli abbonati di Tempi qui) dedicato a lavoro, paradossi e addendi ben descritti da Emanuele Massagli, presidente Adapt, che aggravano come mai in precedenza la situazione: il declino demografico e il deficit di competenze dei lavoratori italiani. «Non manca il lavoro, mancano i lavoratori, soprattutto i giovani», lamentano da Nord a Sud gli imprenditori e questo nonostante 1,6 milioni di dimissioni registrate nei primi nove mesi del 2022, 3 milioni di Neet (giovani tra i 15 e i 35 anni che non studiano o lavorano) e 855 mila giovani nella stessa fascia di età disoccupati a dicembre 2022. Senza lavoro, percorsi formativi efficaci alle spalle, figli manco per idea, un altro urgente dossier sul tavolo del governo.

Foto Ansa

Tags: inverno demograficoLavoroMatteo PiantedosiMigrantinatalità
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