Mezza Europa crea occupazione di qualità con l’apprendistato. Perché l’Italia è ferma agli spot con Fiorello?

Di Francesco Nespoli
18 Giugno 2014
Non è a colpi di pubblicità che aiuteremo i nostri giovani a trovare un lavoro, ma dimostrando loro che qualcosa si può fare. Inghilterra e Germania si stanno muovendo. Noi, invece, cosa stiamo aspettando?
#492691705 / gettyimages.com

L’apprendistato come canale privilegiato di accesso al mercato del lavoro per i giovani. Un obiettivo formalmente e frequentemente condiviso da chiunque detenga un ruolo di  responsabilità nel mondo dell’occupazione. Un obiettivo, tuttavia, ancora lontano, come testimoniano le ultime rilevazioni Isfol e Inps sul numero di contratti di apprendistato attivati ogni anno: meno 22.635 nel 2012 rispetto all’anno precedente. Ma non è tutto. Chiunque avesse riposto fiducia nell’attuazione del piano Garanzia Giovani come ultima occasione per vedere aumentare gli incontri tra i giovani in cerca di lavoro e l’apprendistato, sarà inevitabilmente costretto a ricredersi. Tra i nove strumenti presenti nel “menù” a disposizione delle Regioni per l’implementazione del programma, infatti, l’apprendistato si è aggiudicato l’ultimo posto nella classifica delle ripartizione delle risorse finanziarie (il 4 per cento su un totale di 1,4 miliardi di euro, come sottolineato da Francesca Barbieri sul Sole 24 Ore).

PUNTIAMO SOLO SUGLI STAGE. La motivazione addotta è alquanto contraddittoria: tolto l’apprendistato professionalizzante (escluso direttamente al tavolo con il ministero), gli apprendisti in primo e in terzo livello in Italia sono uno sparuto gruppo. Tanto vale lasciar perdere. Sono i tirocini, invece, a vedersi assegnate la maggior parte delle risorse. Si aggiunga pure la fresca notizia della firma presso il Mibac del decreto col quale sono stati stanziati fondi per 150 tirocini pagati 1000 euro al mese in importanti siti strategici e si otterrà un sufficiente catalogo di segnali che suonano come una programmatica rinuncia della politica, a tutti i livelli, nel promuovere lo scambio di qualità tra formazione e lavoro per un’occupazione di qualità. Ma puntare sui tirocini non significa altro che fotografare lo status quo del mercato del lavoro italiano, trascurando l’incidenza della qualità della formazione e riconciliandosi con i malumori dell’opinione pubblica semplicemente intervenendo sul versante economico. Peraltro, con criteri alquanto evanescenti. Molto più lungimirante sarebbe, invece, puntare su quelle tipologie di contratto con le quali il diritto del lavoro assicura un legame tra investimenti in capitale umano da parte delle imprese e l’occupazione. Come dimostrano, per esempio, i casi della Germania e della Scozia.

QUANTE OCCASIONI PERSE. La ragione del mancato decollo dell’apprendistato non si trova nella densità degli adempimenti burocratici richiesti. Né la maggiore onerosità è una spiegazione di per sé sufficiente. Le cause fondamentali sono, piuttosto, di natura culturale. Che l’apprendistato per la qualifica e il diploma e quelli di alta formazione e di ricerca siano sostanzialmente sconosciuti ai ragazzi come alle imprese, nonché misconosciuti dalla maggior parte dei contratti collettivi, è noto. Tuttavia, proprio quella della Garanzia Giovani avrebbe potuto essere un’importante opportunità per dare un primo vero impulso alla promozione dell’apprendistato, a tutti i livelli, sfruttando la razionalizzazione prevista dei servizi per l’impiego per ottenere una maggiore capillarità nella comunicazione dei vantaggi di questa forma di contratto. La comunicazione dell’apprendistato in Italia, invece, si è composta finora soltanto di pochi episodi isolati:

  • uno spot voluto dall’ex Ministro Fornero con Fiorello a fare da testimonial, circolato in radio e tv durante i primi mesi dello scorso anno ma dagli effetti tanto deludenti da essere stato descritto recentemente dallo stesso Ministro come “rimasto nel cassetto”;
  • un sito istituzionale, anch’esso ormai dimenticato, privo di interattività e che impallidisce al confronto con le migliori esperienze internazionali (si veda, su tutti, il portale del Apprenticeship National Service inglese e si avrà un eccellente esempio di cosa la comunicazione dell’apprendistato possa essere);
  • un video tutorial istituzionale (1750 visualizzazioni) destinato ai giovani, che illustra il funzionamento della Garanzia Giovani affiancando come fossero indistinti tirocinio e apprendistato e rischiando quindi di alimentare la confusione che già regna a riguardo;
  • un video istituzionale destinato alle aziende (4302 visualizzazioni), dove, oltre la figura quasi caricaturale dell’imprenditore, è da rilevare lo stridore tra la così descritta “occasione per le imprese per formare professionisti ed essere più competitive” e la scelta delle regioni di privilegiare i tirocini.

RACCONTIAMO STORIE. Quale che sia la fortuna che incontreranno i messaggi sinora lanciati, chi si occupa di piani di comunicazione istituzionali dovrebbe operare con la consapevolezza che la cultura non si cambia a suon di spot, né con agognate campagne di marketing virale, ma con la relazione e lo scambio di buone prassi. Insomma, la comunicazione dell’apprendistato ha bisogno di relazione e storie, storie che semplicemente raccontino che “si può fare” e come. L’apprendistato non è un prodotto da pubblicità, è un’esperienza di vita. Funziona se qualcuno ce la racconta e la testimonia. Un’operazione fatta di piccoli tasselli, forse quasi ininfluente nel brevissimo periodo sull’opinione pubblica, ma al contempo capace nell’immediato di ispirare e orientare la ricerca di identità individuale, sia quella di un imprenditore con la passione per il talento, sia quella di un giovane alle prese con la prima ricerca del lavoro. Si tratterebbe di un incentivo persuasorio che alla lunga potrebbe offrire un irrinunciabile sostegno alle riforme basate su sgravi, incentivazioni e deregolamentazione. Una visione di politica comunicativa di lungo raggio che punti a costruire progressivamente e pazientemente una cultura imprenditoriale e sindacale favorevole all’incontro sinergico tra formazione e lavoro, invece, è ancora da attendere. Sino a quando?

@FranzNespoli

(Francesco Nespoli è ricercatore del Centro Studi Adapt)

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9 commenti

  1. Cisco

    Ma io mi chiedo: se delle aziende vedono nell’apprendistato un’occasione per essere più competitive, perché non se lo fanno? Perché non utilizzano lo strumento dello stage o altri esistenti per farne una vera formazione? Se si impara facendo, come pensano che la scuola possa insegnare un mestiere? Un ragazzo di 18-19 anni e’ troppo vecchio per essere inserito in azienda a imparare un mestiere? Il problema e’ appunto culturale, la formazione viene considerata un costo e non un investimento. Faremo la fine del Burkina Faso.

    1. Piero

      Semplice. Perche’ la sinistra non ha mai digerito l’apprendistato, l’ “avviamento”, e roba del genere.
      Tutti a scuola a subire il lavaggio del cervello di prof. sessantottini con le okkupazioni da parte dei centri sociali.
      Allergici al lavoro.

  2. martino

    La risposta alla domanda e molto semplice: i soldi da reinvestire vengono bruciati nelle tangenti pagate per pagare le magioni della cricca dei corrotti di turno.
    Anche lo spot di Fiorello potrebbe essere inquadrato in questa prospettiva.
    Ergo la corruzione miete vittime da decine di anni.

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