Preferisco una certa anarchia a un potere forte e ordinato, così compiaciuto di sé da voler istruire il popolo perché sia all’altezza del suo principe. Lo Stato islamico che crocifigge i ladri e punisce duramente e subito chi vende cibo avariato, ha una bella scuola unica di Stato e una polizia che pattuglia alacremente le periferie per sventare scippi e ubriachezza, in fondo è – cambiate le insegne e sostituite Al Baghdadi con Ingroia – il sogno de il Fatto e di una certa parte della destra (a parte, e non è piccola cosa, la pena di morte per gli omosessuali). Leggere il dépliant propagandistico del Califfato mi ha fatto impressione. E i sondaggi di Pagnoncelli, concordi con quelli della Ghisleri, darebbero risultati entusiasti sulla popolarità del governo.
Noi vogliamo una roba così? Per questo sono d’accordo nel desiderare che la riforma costituzionale di cui si sta dotando l’Italia abbia una doppia uscita di sicurezza da questo rischio. Con la scusa della democrazia efficiente non vorrei che a rimetterci sia la libertà religiosa anzitutto, quella di costruire qualcosa senza il morso al polpaccio di uno che mette il naso in tutto, con la scusa che ha vinto le elezioni. Siamo sicuri di volere questa democrazia? Churchill ci insegue con la sua famosa frase per cui «la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte le altre sperimentate finora». Giusto. Però questo sistema ha consentito a Hitler di salire al potere in Germania e ad Hamas, che vuole annientare Israele, di affermarsi a Gaza.
Il fatto è che la democrazia è una costruzione formale che può essere strumento di bene o di male, se non è ancorata a un patto tra i cittadini che viene prima del gioco elettorale. Ed è quello che ci sono cose che non entrano nel potere di veto del premier e dei suoi apparati. Non bastano regole per giocare e vincere. Infatti chi vince poi potrebbe portarsi via il pallone, e trasformare la vittoria in una licenza di comprimere le libertà personali e quella di associazione. La Costituzione che un paese si dà serve a dare solidità alle libertà appena dette. Creando dei sistemi di sicurezza per cui, se un leader prende il governo, non può trasformarsi in despota. Si chiama bilanciamento dei poteri.
In Italia il problema della democrazia, si dice, è stato il contrario di quanto da me finora descritto con paura. Chi vince le elezioni, con le attuali farraginosità, infatti, non riesce a comandare. Lo ha sostenuto da sempre Berlusconi. Diventi presidente del Consiglio e non riesci a spostare un sasso: parlamento, sindacati, magistrati, Tar, corte costituzionale, burocrati lo impediscono. Da qui tutto questo ambaradan sulle riforme istituzionali, che sembrano la sola emergenza italiana.
Ma qual è il problema della riforma elettorale e di quella costituzionale che oggi si stanno approvando? Troppo potere a un uomo solo. Chi vince l’elezione prende tutto, si impossessa di tutto. E allora si scivolerebbe da una democrazia impotente a una potenza senza democrazia. Io dico: si metta in Costituzione la libertà educativa, garantita e intoccabile, qualunque sia chi vince. Tutti parlano di società plurale. Ma basta la scuola libera, l’università libera, non solo come dignità teorica, ma sostanziale. I grillini e Sel voteranno contro, vivono nel mito della scuola statale. Ma credo che su questo tema tutti gli altri possano concordare. È una libertà essenziale. E ci metterebbe al riparo da una futura sharia, rendendo questo articolo incancellabile come quello della forma repubblicana dello Stato.
Facciamo un’ipotesi, che è quella a dare la trama al romanzo Sottomissione di Michel Houellebecq: vince il partito islamico tra vent’anni in Italia in regolari elezioni. Sharia per tutti. Non mi sento tranquillo con l’Italicum di Renzi e la sua Costituzione. Se ci fosse quell’articoletto, semplice e marmoreo, sarei sereno. Ma non nel senso di Matteo.