Meeting, «Io, zio Federico e Giuletta, l’oscar della sua vita». Il grande Fellini raccontato dalla nipote
Ad accompagnare le note de La Strada, ci sarà una selezione di immagini del film, mentre l’introduzione della serata sarà a cura di Francesca Fellini (nella foto sopra insieme agli zii Federico Fellini e Giulietta Masina), unica erede del grande cineasta. «Sullo spettacolo vorrei lasciare la necessaria dose di suspense – racconta a Tempi Francesca – per non rovinare la sorpresa al pubblico. Posso solo anticipare che racconterà alcuni aneddoti sul film che di sicuro emozioneranno gli spettatori».
Francesca da anni si occupa del nome, dell’immagine, dell’opera del maestro Fellini e della sua firma. «Difendere l’artista Fellini è un Mestiere», si legge sul sito internet dedicato allo zio che aveva una predilezione particolare per questa bambina, nata dalla sorella Maddalena, dai capelli rossi e dagli occhi curiosi. Molte sono le foto che li ritraggono insieme, spesso accanto agli straordinari personaggi che circondavano il regista. Francesca ebbe modo di conoscere anche lo straordinario musicista Nino Rota, che per un ventennio fu amico e collaboratore dello zio. «Fellini adorava Nino e il loro è stato un matrimonio artistico e culturale dai mille stimoli. Federico chiamava Nino “il piccolo angelo” e anche io lo ricordo così, come un uomo che aveva un’aura incredibile, quando lo incontravi non percepivi il peso del suo fisico, era una creatura eterea con grandi e dolcissimi occhi. Non si arrabbiava mai, non alzava mai la voce e ha saputo creare per i film di Fellini colonne sonore indimenticabili».
Il rapporto con la musica
Il rapporto che Fellini aveva con la musica era davvero particolare. Tanto la amava all’interno dei suoi film, quanto ammetteva di sentirsene turbato fuori dal set: «Federico diceva sempre che riusciva a sopportare la musica solo all’interno del film, quando la viveva assieme a Nino. Lui invidiava il suo amico: “Ritengo che Rota sia un soggetto unico nel suo genere perché riesce a comporre musica mentre ascolta la radio a casa o ascolta un suonatore ambulante che tiene un concerto per strada. La sua è una trance meravigliosa che impedisce che i rumori di sottofondo lo distraggano dalla creazione di uno spartito musicale. Io non ci riesco, per me la musica è perfezione e la perfezione m’incupisce”». Nino e Federico sono stati complici e amici per un ventennio, sino alla morte del compositore nel 1979. E in questo lungo arco di tempo hanno dato vita a connubi indimenticabili tra musica e immagini. Per Fellini essere un grande direttore d’orchestra – com’era il suo amico Nino – voleva dire riuscire a trascinare lo spettatore anche contro la sua volontà».
Per raccontare meglio il controverso rapporto di odio e amore che legava Fellini alla musica, Francesca rivive alcune scene che da bambina rappresentavano la consuetudine: «Quando zio Federico e zia Giulietta venivano a trovarci a Rimini spesso si andava a mangiare fuori. E puntualmente comparivano all’interno del ristorante alcuni musicanti che, credendo di fare un omaggio al maestro, si mettevano a suonare Romagna mia, armati di chitarra e fisarmonica. Fellini cominciava a sudare freddo e velocemente allungava qualche moneta per farli andare via. Ma questi continuavano finché il proprietario gentilmente riusciva ad allontanarli». La spiegazione di questo atteggiamento per Francesca sta tutta nella genialità di Federico: «Si capisce bene nel cameo che interpreta nel film Il tassinaro di Alberto Sordi. Il tassista ha la radio accesa e Federico gli chiede di spegnerla perché gli crea confusione. E glielo ripete incessantemente. A casa dello zio nessuno ha mai sentito la radio accesa in sua presenza e quando Federico saliva in macchina come passeggero chiedeva subito di spegnere l’autoradio. Lo faceva perché per lui ogni momento di libertà era un’occasione per pensare alla scena di un film, per mettere a fuoco un soggetto, per immaginare un personaggio. Faceva la stessa cosa anche quando si trovava in compagnia di altre persone. C’erano momenti in cui si estraniava e seguiva i suoi pensieri. Ma non lo faceva per mancanza di rispetto, gli veniva naturale portare la sua mente in mille, contemporanee direzioni».
Tutto serve a qualcosa, nell’universo
Sfogliando l’album dei ricordi Francesca torna indietro con la memoria a quando, a soli otto anni, vide per la prima volta il capolavoro La Strada, pellicola premiata con l’Oscar per il miglior film straniero nel 1956 e definita da papa Francesco «il mio film preferito»: «Da subito mi sembrò una favola – racconta Francesca – e oggi, a distanza di anni, mi sembra ancora che sia così. Una favola universale, nelle immagini e nella musica, che non invecchia e al contrario può essere d’insegnamento al pubblico di ogni epoca. Per me questo film è l’atto d’amore che Federico fa al circo, un mondo che lo affascinava immensamente. Il maestro porta sul grande schermo i due pagliacci della tradizione circense occidentale, il clown bianco e l’Augusto». Giulietta Masina è Gelsomina, il malinconico clown bianco, compagna di una vita del maestro, che regala al pubblico una delle più intense interpretazioni femminili: «Di recente c’è stata una mostra dedicata a zia Giulietta, al Teatro dei Dioscuri a Roma. Di quella mostra mi ha colpito moltissimo il titolo: “Giulietta Masina – L’Oscar di Federico Fellini”. È stato davvero così. Sono stati una coppia imprescindibile nel privato e sul set ed è stato proprio il loro rapporto così profondo a permettere a Fellini di immaginare il personaggio di Gelsomina. Lei aveva un fare davvero affascinante, era una donna bambina dalla mimica facciale straordinaria, che ricorda da vicino uno dei cinque fratelli Marx, Harpo, il muto che suonava l’arpa e che piaceva particolarmente a Fellini. Ne La Strada Gelsomina parla moltissimo attraverso gli occhi, dai quali emergono i due lati che sono dentro ognuno di noi, quello gioioso e quello doloroso. A lei si contrappone il rude Zampanò (Anthony Quinn), crudele Augusto che non ha nessun rispetto per la sua compagna di strada fino alla tardiva presa di coscienza finale». Cruciale, poi, il personaggio del Matto (Richard Basehart), «il filosofo della favola, colui che ne decreta la morale e che racchiude nel suo personaggio il senso religioso del film attraverso due frasi cruciali. La prima rivolta a Gelsomina: “Anche ’sta testa da carciofo che hai serve a qualcosa”. E la seconda: “Tutto serve a qualcosa, nell’universo. Anche un sassolino”, frase che ha ispirato il titolo dello spettacolo che porteremo al Meeting».
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