Rimini. Aborto, eutanasia, produzione e progettazione eugenetica del figlio come se fosse un oggetto, matrimoni omosessuali. Ieri si è tenuto al Meeting l’incontro riservato ai cosiddetti “nuovi diritti”, alla ricerca di una strada per non «demonizzarli» ma per «affrontarli come una sfida posta dalla modernità», con la consapevolezza che «per capire quali sono i valori fondamentali di una società basta guardare le sue leggi», come affermato nell’introduzione da Andrea Simoncini, docente di Diritto Costituzionale. Insieme a lui, hanno parlato gli ospiti Orlando Carter Snead, docente americano presso l’università Notre Dame, e Tomaso Emilio Edipendio, giudice e assistente di studio alla Corte costituzionale.
SCETTICISMO DELLA CHIESA. Il docente americano ha subito precisato perché la Chiesa cattolica sia sempre stata diffidente nei confronti dei diritti umani e perché, alla fine, li abbia accettati con qualche riserva e scetticismo. «I diritti umani, strumento e linguaggio potentissimo, sono nati dopo le atrocità dei totalitarismi del XX secolo e sono stati concepiti per affermare la dignità dell’uomo, che nessuno Stato poteva violare». Il problema è che fondandosi su una concezione «positivista e illuminista dell’uomo» sono finiti con il «travisare e ridurre la realtà dell’essere umano».
ERRATA CONCEZIONE DELL’UOMO. Tutte le contraddizioni e le polemiche a cui questi nuovi diritti portano, secondo Carter Snead, sono dovute a una errata concezione dell’uomo: «I diritti umani vedono l’uomo come un soggetto solo, atomizzato, diviso dal resto della società, che sceglie con la volontà i suoi obiettivi e usa della realtà e degli altri uomini come di strumenti per realizzarli. Il massimo bene diventa così l’autonomia, che consente di cercare di realizzare i progetti che ci siamo dati da soli. I diritti, di conseguenza, diventano l’armatura di un uomo solitario che vede gli altri come nemici o, nel migliore dei casi, come strumenti».
I BAMBINI SCARTATI. Questa riduzione dell’uomo, implicita nei nuovi diritti, diventa disastrosa quando si va a toccare «la bioetica pubblica». Continua il docente americano, facendo l’esempio del piccolo Gammy: «Prendiamo la riproduzione assistita e la maternità surrogata. Il diritto del singolo ad avere un suo progetto trasforma il figlio in un mero oggetto del volere dei genitori, che possono pertanto accoglierlo o respingerlo in base agli standard qualitativi che raggiunge». E se, come nel caso di Gammy, il figlio risulta malato, «può essere scartato». Non per questo, secondo Carter Snead, bisogna «rifiutare il linguaggio dei diritti umani. È necessario però cambiare il concetto di uomo a cui si riferiscono secondo la sua verità: l’uomo cioè non è un atomo, ma nasce in società già legato ad altri uomini. Facendo parte della comune famiglia umana, tutti gli uomini hanno uguale dignità, non possono perciò essere ridotti a strumenti o oggetti, e non possono essere definiti “persone non umane”. Questa è la visione che bisogna riportare attuale nel dibattito pubblico».
L’INGANNO DEI NUOVI DIRITTI. Ma i nuovi diritti hanno caratteristiche “speciali” rispetto ai classici diritti umani, come aggiunge il giudice Epidendio. Prima di tutto «vengono riconosciuti dalle strutture giudiziarie e non da quelle politiche», in più ingannano. «Il linguaggio dei diritti parla al desiderio dell’uomo e promette di esaudirlo in modo apparentemente facile e senza costi. Ecco perché affascinano così tanto: chi non vorrebbe garantire il diritto a non soffrire, ad esempio? Tutti ci dicono che il diritto è mite, che non fa male, che non ha costi: ma non è così». Essendo un linguaggio individualista, «non si dice mai ad esempio che cosa comporta un diritto come quello al figlio. Cioè la trasformazione del bambino in un prodotto. Ecco la retorica dei nuovi diritti».
UNA SFIDA POSITIVA. Ma in un momento in cui i nuovi diritti «si moltiplicano come le scope di Topolino in Fantasia», che cosa si può fare per affrontare «la sfida più importante del Terzo millennio»? Sicuramente cercare di cambiare il dibattito pubblico «e portarlo a considerare ragionevolmente i costi quantitativi e qualitativi dei diritti e le loro conseguenze». Ma questo è un processo lungo. Come si può, chiede Simoncini ai suoi relatori, «accettare la sfida in modo positivo, senza demonizzare questi nuovi diritti, che sono espressione di desideri buoni ma che non possono garantire risposte adeguate»?
QUANDO «DARE BATTAGLIA» Questo è l’unico punto su cui i due relatori, almeno in parte, si dividono. Per il docente americano, infatti, «è necessario strutturare il diritto per riflettere la ricchezza della persona». Cambiare dunque le leggi perché, ad esempio, «siano coerenti con questa verità: che un bambino non è un prodotto ma una persona, un dono da accogliere in modo incondizionato. Il diritto rifletterà così la vera natura del vivere insieme».
Il giudice italiano, invece, fa una distinzione. «Bisogna sempre cercare di evitare l’arma dei divieti, perché quando un diritto viene rivendicato, l’imposizione di un limite sarebbe sempre vissuta come non affascinante». Bisogna piuttosto discutere «dei fondamenti e dei valori», stando però attenti «a non identificare la morale con il diritto: questa è una sfida per noi cattolici».
Se dunque, per quanto riguarda temi come «il matrimonio gay», «non bisogna preoccuparsi troppo» né cercare di impedirli con la legge, «perché è una dimensione in cui la testimonianza e l’esempio sono più forti di una battaglia giuridica», «la vera battaglia da fare subito è quando i diritti mostrano la loro faccia feroce e impediscono, ad esempio, l’uso di alcuni termini perché connotati dal genere». Qui, conclude Epidendio, «c’è una invasione della libertà e allora bisogna difendersi perché quando il diritto impedisce la libertà, diventa illegittimo. Altra cosa invece è una legislazione secolare – diritto, non morale – che non impedisce la mia libertà fino in fondo».