Marina Terragni, la spina nel fianco dei bio-banalizzatori

Di Caterina Giojelli
13 Giugno 2025
Bloccanti della pubertà, utero in affitto, denatalità. Dieci anni di battaglie femministe per “chiamare le cose con il loro nome”. Parla la giornalista che oggi a Caorle riceve il Premio Luigi Amicone 2025
Marina Terragni
Marina Terragni

Oggi, venerdì 13 giugno, la giornalista Marina Terragni sarà ospite del Festival di Tempi “Chiamare le cose con il loro nome” a Caorle (Ve). Interverrà alle 21 sul palco in piazza Vescovado sul tema “L’era della post-famiglia, tra generazione ansiosa e ansia di generare”. Con lei lo psicanalista e scrittore Claudio Risé. Al termine dell’incontro Marina Terragni riceverà il Premio Luigi Amicone – Premio Cultura Città di Caorle 2025. Di seguito l’intervista pubblicata sul numero di giugno di Tempi.

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Sono dieci anni che Marina Terragni interpella fratelli e sorelle progressisti: «Essere di sinistra vuole dire vendere diritti e dirittini al mercato del qui e ora»? «Non saper più chiamare le cose con il loro nome»? «Garantire democraticamente il libero accesso al libero mercato della carne umana»? Domande che dicono più di una biografia.

Firma libera (Corriere, Foglio), femminista radicale (RadFem), scrittrice, politica (dai primi Verdi alla direzione Pd), fondatrice del FeministPost, la sua nomina a garante per l’infanzia e l’adolescenza ha scatenato un’ondata di isteria: da Repubblica a Domani è stato tutto un dagli alla «pedina della Meloni», «giornalista transescludente», «Lei è una persona che ha deciso di odiare». «È l’ideologia che fa perdere la testa», dice oggi Terragni a Tempi.

Marina Terragni, volto della resistenza a bloccanti e utero in affitto

Tutto esplode con la battaglia contro i bloccanti della pubertà. «Per loro la minaccia sono io, per me la minaccia sono quelli che vogliono imbottire di ormoni bambine di nove anni. Otto su dieci sono femmine. Ma più che di disforia si dovrebbe parlare di “angoscia da sessuazione”. Il corpo cambia, e fa paura. Una detransitioner ha detto: “Non volevo diventare un uomo. Quello che volevo era non diventare donna”. E un’altra: “Si trattava di sfuggire da una casa in fiamme”». Nel mondo si inverte la rotta: test psicodiagnostici, protocolli clinici sorvegliati, gli ormoni non sono più la prima opzione obbligata.

«Me ne occupo da molto prima del rapporto Cass», rivendica. «Dottoressa Cass che ha dovuto girare con la scorta, il che dà l’idea degli interessi in gioco». Terragni è anche il volto della resistenza all’utero in affitto, la sinistra non le ha mai perdonato di aver sostenuto in Consiglio comunale a Milano (con Gigi Amicone) una linea alternativa alla trascrizione automatica dei figli della Gpa: l’adozione in casi particolari. «La Cassazione ci ha dato poi ragione». Anche in privato molti le danno ragione. «Ma nessuno è disposto a perdere il consenso della comunità Lgbtq. Dove non sono tutti schierati, ma nella logica del “cane non mangia cane” si tace».

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«Non è il corsificio la risposta»

Anche da garante, Terragni non concede alibi. I bambini oggi accedono alla pornografia prima che al corsivo. «Le piattaforme oggi promettono filtri e controlli. Ma hanno triturato carne umana per fare soldi. Jonathan Haidt lo ha raccontato bene, come i primi nativi digitali oggi ventenni: «“Non date lo smartphone ai bambini”, dicono. E i genitori? Vogliono ascoltarli?».

Terragni intravede un filo rosso fra adulti che hanno perso il senso del limite biologico e la “generazione ansiosa” di Haidt. «Vedo genitori che pretendono da scuola e psicologi, ma sembrano abdicare al loro ruolo. La struttura affettiva si costruisce nei primi mesi. Poi è inutile sperare nel miracolo di un’ora di “affettività”: non è il corsificio la risposta. Se tuo figlio insulta e picchia a scuola, e prende sei in condotta, non puoi fare ricorso. Il Tar ha dato torto a quei genitori. È un buon segnale. Se metti su famiglia, ti assumi delle responsabilità».

Dieci anni di guardia alla relazione madre-figlio

Anche sulla denatalità, Terragni non si accontenta della sociologia. Parla di una frattura più profonda: «Mancano case, stipendi, reti familiari, ma c’è anche un’altra dimensione. Un contro-istinto vitale, un tenere il piede sul freno troppo a lungo. Magari con l’illusione di congelare gli ovociti e riservarsi la possibilità. Che non arriva. È come se oggi mancasse la spinta, la speranza. C’è un istinto che lavora nella direzione opposta alla maternità».

Da oltre dieci anni Terragni fa la guardia al «tabernacolo della verità decisiva del due», la relazione madre-figlio, origine di ogni speranza. Di tutto questo parlerà alla festa di Tempi, a Caorle, questa sera, venerdì 13 giugno, alle 21, con Claudio Risé. Dove, per il coraggio di «chiamare le cose con il loro nome», riceverà il Premio Luigi Amicone 2025.

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