
Grande Marina Terragni, applauditela

Vincino aveva immortalato il momento: Giuliano Ferrara che la presenta alla platea, “Grande Marina Terragni applauditela”, mentre parte la sassaiola di pomodori. È il 2011. “Infiltrata” di sinistra all’Adunata dei liberi servi del Cavaliere convocata a Roma dal fondatore del Foglio, la giornalista del Corriere non usa giri di parole: per i giovani di Milano Berlusconi fresco di scoppola elettorale è «il vecchio, la muffa». Bordata di fischi e insulti dai Berluscones, fu subito vignetta. Vincino l’indovino.
Firma libera di Corriere e Foglio, scrittrice, studi filosofici, collaborazione con tante testate, libri, saggi, giornali, radio, tv, premi, politica (dai primi Verdi alla direzione nazionale del Pd), soprattutto RadFem, femminista radicale e curatrice del Feministpost, quando Terragni dice oggi al Giornale «sono un’acerrima nemica del no-debate» la ricordiamo spronare i compagni di allora. «Essere di sinistra vuole dire vendere diritti e dirittini al mercato del qui e ora», «zampettare allegri in una confortevole acquetta di rose», «eufemizzare tutto e non saper più chiamare le cose con il loro nome, una realtà diminuita e “corretta” ad libitum, come il caffè?».

Dirittini, domande radicali e sinistra calabraghista
Fare domande e raccogliere «uno sprezzante rifiuto al dialogo», quando non manganellate mediatiche e morali, mica pomodori: «La lotta allo sfruttamento e alla messa in commercio di corpi e relazioni non fa più parte dei valori non negoziabili? Vuole dire non avere più troppo a cuore l’umanità delle donne e dei bambini, o quanto meno girare la testa dall’altra parte?». Terragni si tiene stretta la libertà e il mestiere di giornalista: stare di guardia ai fatti, chiamare le cose con il loro nome.
Non ci dilunghiamo: maternità surrogata, identità di genere, trascrizioni alla nascita, sex work, transizione dei bambini, qui trovate tutto sul pacchetto del transumano di cui Terragni chiede da sempre conto alla politica calabraghista e sentimentale. Domande radicali (cioè sulla “radice” del nostro essere) che la giornalista pone in ogni suo scritto o intervento, scrutando in quella sarabanda infernale di carne, sangue, umori, gameti, desideri, sofferenze, soldi, leggi, diritti, facendo la guardia a quel punto, il tabernacolo della verità decisiva del due, il madre-figlio/a, in cui si tocca il fondamento della civiltà umana e l’origine di tutte le speranze.
Marina Terragni, la mangiabambini
Dopodiché, oltre ai giornalisti, ci sono gli addetti alle opinioni, o meglio, agli anatemi. E così scopriamo che non appena Marina Terragni è stata nominata garante per i diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, incarico di cui raramente (eufemismo) si sente parlare sui giornali, è diventata il pericolo pubblico numero uno. Una mangiatrans, mangiagay, mangiabambini. Una agente della Meloni nominata dai presidenti delle Camere, amica della ministra Eugenia Roccella, che l’ha voluta alla presidenza del Gender Equality Advisory Council del G7 nel 2024.
Spadafora chiama la sua nomina un «arretramento culturale». Cirinnà parla di «quadro raccapricciante di mero opportunismo politico» collegandola «all’ennesimo suicidio di un giovane quattordicenne a Caserta». “È contro i gay e non ha titoli”, titola Repubblica. Il Manifesto la chiama «giornalista transescludente», «ospite ricorrente del festival meloniano Atreju», l’attacca per l’iniziativa «dai toni “xenofobi» di riconoscere come reato specifico e inserirlo tra le aggravanti previste dal Codice Rosso il “taharrush gamea”.
Terragni come Musk, furore omolesbobintrasfobico
«Sulla stessa linea dei crociati anti-woke come Elon Musk e Donald Trump» (l’Unità), secondo Open, che come altri non teme querele, Terragni «fa parte di quella corrente del femminismo nota anche come Terf – femminismo radicale transescludente», da lei c’è da aspettarsi «un approccio conservatore, intriso di ideologia».
Ancora, dice Roberta Paregiani, portavoce del Mit (Movimento identità trans) che «le uniche volte in cui ha parlato di bambini è stato per dire che quelli trans non esistono», le famiglie Arcobaleno chiedono conto al governo di tanto «furore ideologico e omolesbobintrasfobico», «è una nomina in sintonia con le posizioni neocattoliche delle associazioni pro-life che sostengono il governo» chiosa Genderlens.
Terragni garante come «mio cugino»
C’è poi un terzo settore, quello dei trafficanti di opinioni, forse l’organizzazione non governativa più attiva nel mondo dei giornali e dei social. Domani assicura che «nelle chat di gruppo dei Garanti dell’infanzia e dell’adolescenza regionali» (sic) è tutto un «Ma chi è?», «Ma chi l’ha piazzata lì?», «Non riesco a capire cosa faccia nella vita». «Al Domani affida incredulità e sgomento anche Antonio Marziale, Garante per l’Infanzia e per l’adolescenza della Regione Calabria, già candidato al consiglio regionale con Fratelli d’Italia». Il quale snocciola: «Mi sento in imbarazzo, ma forse chi l’ha nominata dovrebbe vergognarsi di più», «Senza manifestazione di interesse posso nominare anche mio cugino», «Non so chi sia. Ho visto dai suoi profili social che si occupa più di femminismo che di tutela dei minori».
Al contrario gli insider di Fanpage la danno certa pedina del governo, «si è inoltre spesa molto contro la gestazione per altri, altro cavallo di battaglia del governo Meloni» e ha «più volte lodato Meloni, sottolineando che tutte le donne che vanno al potere sono di destra», «Quest’ultima nomina non fa che confermare l’intenzione del governo di costruire il proprio consenso sull’allarmismo». Chiudiamo con la diagnosi del dottor Jonathan Bazzi: «Lei è una persona che ha deciso di odiare», «Non ha nessuna competenza nel merito. Ha solo questo: anni e anni di accanimento quotidiano contro persone reali, famiglie reali, corpi reali, in nome di una manciata di fissazioni retrograde e violente».
Palle e pallottole di chi è a corto di argomenti
Dice Marina Terragni che la sua priorità da garante sarà «la salute mentale. Ho letto con orrore La generazione ansiosa di Jonathan Haidt: un grido d’allarme significativo. C’è un lavoro sterminato da fare», che tutte le competenze giuridiche e scientifiche verranno attivate e che per altre anticipazioni i colleghi possono consultare le raccomandazioni a cui ha lavorato nel rapporto Geac, temi che «hanno a che vedere con la condizione delle bambine e dei bambini nel mondo: conflitti armati, educazione, lavoro di cura e soprattutto Generazione Z. Certo: molto meno divertente rispetto allo show delle sparatorie preventive e delle balle spaziali che sono circolate in queste ore».
Lo abbiamo scritto parlando con Terragni molte volte: l’alternativa al chiamare le cose con il loro nome – mercato contratto, denaro, strappo, compravendita, diritto alla verità sulle proprie origini, diritto alla relazione con chi ti ha messo al mondo, ferita, imbroglio transumano, sterilizzazione, fallimento dell’approccio affirming eccetera – è la mancanza di argomenti. Il giochino è il solito, da questa parte un esercizio di ragione, di cuore e di cura nel motivare ciò che si fa e in cui si crede, dall’altro le sparate di palle e pallottole dei professionisti dell’informazione sulla troglodita meloniana di turno. Chissà come le avrebbe disegnate Vincino.
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