Manovra Salva Italia, siete pronti per la cura da cavallo?

Di Laura Borselli
16 Dicembre 2011
Una manovra monstre, fatta per il 70 per cento di tasse. Basterà? E soprattutto: come ne uscirà il paese? Per l’esperto di diritto tributario Morri e l’economista Sapelli «manca la crescita». Bortolussi: «Speriamo che il cavallo sopravviva». Pubblichiamo l'articolo che appare su Tempi 50/2011 in edicola da oggi

La benzina più cara d’Europa ce l’abbiamo noi. E se la detenzione del record non ci rendesse abbastanza orgogliosi, possiamo sempre sollazzarci con le tabelle interattive per calcolare l’età di pensionamento e l’importo della nuova Ici, già a disposizione sui siti dei maggiori quotidiani. A quasi due settimane dal suo disvelamento, il decreto Salva Italia del governo Monti ha cominciato a monopolizzare le conversazioni, in attesa di svuotare i portafogli. Perché la benzina sempre più cara è, è il caso di dirlo, solo la partenza. E comunque una partenza in quarta perché oggi la verde costa 10 centesimi in più e il diesel 13,6.

«E poi arriverà il resto», spiega a Tempi Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestre. Il centro studi dell’Associazione Artigiani e Piccole imprese si è messo di buona lena calcolatrice alla mano. Complessivamente, secondo i loro calcoli, la manovra Monti vale 62,9 miliardi di euro per il triennio 2012-2014, dove le maggiori entrate rappresentano circa il 70 per cento delle misure e i tagli alla spesa il 30 per cento. Sommata alle manovre estive di Berlusconi e Tremonti, costerà ad ogni famiglia italiana 8.266 euro in tre anni, pari a 2.755 euro all’anno. «I provvedimenti del precedente esecutivo pesano per 1.955 euro e 800 invece sono di manovra Monti. Una cifra enorme, molto più alta di quanto si poteva stimare con le cifre fornite all’inizio dal governo».

Il decreto contiene uno spettro di misure molto ampio e di portata diversa, dalla riforma delle pensioni all’aumento dell’addizionale Irpef, dal bonus Irap alle imprese che assumono donne e giovani alla tracciabilità fiscale per i pagamenti oltre i mille euro. Passando per il ritorno della famosa Ici (ora assorbita nell’Imu), inasprita dal rialzo del 60 per cento dell rendite catastali. Sui
 contenuti della manovra, che Monti ha già blindato definendoli poco emendabili, è molto probabile che il governo apponga la fiducia. Nel complesso il via libera definitivo, anche dal Senato, dovrebbe aversi prima di Natale, intorno al 22-23 dicembre.

In realtà un primo segnale di distensione il governo lo ha dato dicendosi disponibile a rivedere il blocco degli adeguamenti delle pensioni all’inflazione, che ora dovrebbero riguardare gli assegni che superano di tre volte il minimo. Dunque adeguamenti all’inflazione ripristinati per gli assegni fino a 1.400 euro, per gli altri scatterà il congelamento di due anni. «E per fortuna che siamo riusciti a evitarlo, perché sarebbe stato scandaloso», commenta Giulio Sapelli, ordinario di Storia economica alla Statale di Milano che ne ha anche per la nuova imposizione sulla casa: «L’Ici serviva ai Comuni e gli era stata tolta con una mossa avventata e demagogica. Rimetterla era doveroso, ma bisognava evitare di rivalutare le rendite catastali». E se sono noti i capisaldi della riforma delle pensioni (estensione a tutti del sistema contributivo dal 2012, raggiungimento della parità tra uomini e donne a 68 anni nel 2018 e l’abolizione per il 2018 delle pensioni di anzianità), ci sono altre piccole cose a cui si fa poco cenno ma che avranno un impatto molto significativo sulla vita degli italiani, a cominciare da quella dei piccoli risparmiatori.
Se questa è equità
«Per esempio – riprende Sapelli – il bollo sulle cosiddette rendite finanziarie». Il governo intende infatti estendere il bollo in conto titoli a qualsiasi investimento finanziario. Il prelievo dovrebbe essere dello 0,1 per cento per il 2012 e dello 0,15 per cento per il 2013, con un minimo di 34,2 euro e un massimo di 1.200. Si tratta, secondo Sapelli, «di un’imposta di bollo che colpisce proporzionalmente molto di più i piccoli risparmiatori che hanno in portafoglio Bot e Cct, mentre grava quasi per nulla per chi opera attraverso fondi miliardari. Sono imposte assolutamente non progressive e da che mondo e mondo le tasse sono eque se hanno una progressività». Tanti saluti alla tanto invocata equità? «Purtroppo è così perché è una manovra costituita in larga parte di tasse più che di tagli strutturali alla spesa». Non la pensa così Giuseppe Bortolussi, che pur dicendosi «molto preoccupato», difende la manovra in quanto «inevitabile» e rileva come qualcosa che guarda alla crescita c’è. È il caso del rafforzamento del Fondo di garanzia per le imprese con un credito di oltre 20 miliardi, delle agevolazioni fiscali per gli utili reinvestiti e dello sblocco di 3,8 miliardi per le opere infrastrutturali ritenute strategiche (tra cui Tav e Mose).

«Di fatto però – riprende Sapelli – in questa manovra mancano riforme strutturali come la vendita degli immobili dello Stato, l’abbassamento delle tasse sulle imprese e una vera caccia all’evasione». Perché non si può certo dire che la tracciabilità fiscale per i pagamenti oltre mille euro sia una lotta all’evasione. E se Sapelli invoca il ripristino degli “ispettori” voluti dall’ex ministro Visco e poi aboliti da Berlusconi, Bortolussi rileva che non è così che si stanano i grandi furbi. «Di fatto – interviene l’avocato Stefano Morri, esperto di diritto tributario – in Italia non è facile combattere l’evasione perché c’è un tessuto produttivo molto parcellizzato ed è difficile esercitare un controllo penetrante. Credo però che l’unico modo per combattere l’evasione sia abbassare le tasse. Convincere il cittadino a pagare perché il carico fiscale è equo e c’è un buon rapporto tra carico fiscale e servizi offerti dallo Stato e dagli Enti pubblici». Ed è qui, secondo Morri, che la manovra è pesantemente carente: «In tema di contenimento della spesa pubblica ed efficientizzazione dei servizi pubblici purtroppo non c’è nulla. Invece questa è ciò che il cittadino si aspetta urgentemente perché è stufo di vedere un sistema spaccato in due: da una parte il mondo privato che deve rispondere a criteri di efficienza e dall’altra quello pubblico dove dominano inefficienza e assenteismo. Questo è un fenomeno che l’italiano medio non sopporta più e che alimenta il qualunquismo e l’antipolitica».

Aspettando la crescita
Sul Corriere della Sera Angelo Panebianco ha messo in guardia dalla manovra in due tempi, che di fatto concentra sull’oggi una bella infornata di tasse e rimanda a un fantomatico “secondo tempo” gli interventi più decisi sulla crescita. Il rischio, ammonisce l’editorialista di via Solferino, è che a quel tanto atteso secondo tempo non si arrivi mai, visto che il governo Monti è figlio di circostanze eccezionali che gli consentono di godere di un appoggio parlamentare che la politica non potrà più concedergli quando, giustamente, tornerà a riappropriarsi del suo ruolo in vista delle elezioni. «Un rischio reale» secondo Sapelli, che rilancia: «È ora di finirla con le manovre in due tempi. Ci voleva una manovra che tenesse assieme i due aspetti, il contenimento e la crescita. La tanto agognata svolta non c’è stata, come del resto era prevedibile. Perché questo non è un governo tecnico, bensì un governo di pacificazione nazionale. C’era bisogno di far decantare una situazione di scontro troppo incancrenita e che faceva troppo male al paese».

Il senso complessivo della manovra sfugge anche a Morri. «Perché di certo a placare i mercati non basterà questo. Credo che il vero obiettivo sia dimostrare alla Germania di Angela Merkel che ora l’Italia fa sul serio e così convincere i suoi elettori che si può consentire alla Bce di comportarsi davvero da banca centrale e stampare moneta, facendo i quantitative easings che hanno fatto la Fed e la Bank of England per salvare il dollaro e la sterlina». E poi? «E poi bisogna mettere in campo soluzioni coraggiose e, quelle sì, strutturali». L’idea dell’avvocato Morri (come ha scritto anche su Tempi n. 46 del 23 novembre)
è di attuare «uno scambio tra patrimonio pubblico e debito pubblico. Mettere il patrimonio dello Stato (dalle caserme alle infrastrutture) in fondi di investimento gestiti da operatori specializzati che pian piano li collochino sul mercato. Questo consentirebbe di ridurre il debito della misura di questi asset che secondo qualcuno è pari a circa 500 miliardi. S’immagina che impatto potrebbe avere una cifra del genere sui conti dello Stato?».

Bortolussi allarga lo sguardo all’eurozona. «C’è una politica economica recessiva che tiene i tassi alti, per tenere bassa l’inflazione a scapito della disoccupazione. Oggi i 17 paesi che aderiscono all’euro hanno una disoccupazione al 9,9 per cento, in crescita. Le previsioni Ocse la danno al 10,3 per cento nel 2012. Così stando le cose non cresceremo mai». Domenica scorsa la Bce di Mario Draghi ha tagliato i tassi di un quarto di punto. Intanto l’Italia si appresta a ingoiare la cura Monti. «È quella che si dice una cura da cavallo – conclude Bortolussi. E bisogna sperare che il cavallo sopravviva».

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