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Lombardia, Veneto, Liguria. Il centrodestra ricomincia da tre

Lombardia, Veneto e Liguria mettono insieme il 40 per cento del Pil e sono “governi benchmark” su tutti i temi che dividono l’Italia. Quanto pesano nelle incomprensioni tra Berlusconi e Salvini?

Giuseppe Alberto Falci
25/02/2017 - 4:00
Politica
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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – “Ricomincio di tre” ricorda il titolo di un film, ma in questo caso il cinema c’entra poco. È, più semplicemente, l’incipit di un trailer che riguarda il centrodestra italiano in vista delle elezioni di fine 2017 o inizio 2018. Chi frequenta le stanze di Arcore, sottoscrive il titolo del trailer e afferma a Tempi che «“Ricomincio da tre” rappresenta il punto di partenza per riconquistare Palazzo Chigi». Ma chi sono i tre? Lombardia, Veneto e Liguria. Tre regioni del Nord guidate da tre superbig del forzaleghismo: Roberto Maroni, Luca Zaia e Giovanni Toti. Le stesse tre regioni del Nord, per usare un’espressione del governatore ligure, detengono il 40 per cento del Pil italiano. Al punto ormai da riunirsi mensilmente in una sorta di trilaterale – che ricorda i vertici europei e internazionali – per fissare la strategia comune sulla sanità, sull’economia e sull’immigrazione. Su quest’ultimo tema è bastato riunirsi attorno un tavolo, trovare una soluzione e firmare la cosiddetta Carta di Genova. Uno Stato dentro lo Stato. Ecco perché la coalizione di centrodestra, se ci sarà, non potrà prescindere da queste tre esperienze di governo che funzionano e fanno scuola nella politica italiana.

«Io, Roberto e Luca dialoghiamo», argomenta Toti che tra un appuntamento e l’altro trova un ritaglio per chiacchierare con Tempi del “modello Liguria”. «Siamo in perfetta sinergia, gli assessori alla Sanità si incontrano mensilmente. Il nostro è un modello vincente. Questo è il biglietto da visita che i grillini non hanno». La sintonia di Toti e di Zaia e Maroni, quando si tratterà di gettare le basi per il centrodestra 2.0, o se preferite per il destra-centro 2.0, risuonerà al tavolo con il Cavaliere, Matteo Salvini e Giorgia Meloni, e potrà far pesare i risultati di questi anni. “Il buon governo del Nord” è un refrain che affascina parlamentari azzurri come Paolo Romani e Mariastella Gelmini, ed è un vanto per il gotha di via Bellerio.

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Modelli consolidati
Il Veneto di Zaia svetta in tutte le classifiche, è stato designato “regione benchmark” nella sanità nazionale, ovvero punto di riferimento per l’erogazione dei servizi e la gestione delle risorse. “Luca” è il più amato fra tutti i governatori e secondo una fetta di leghisti sarebbe il profilo più adatto per la premiership. Un discorso non dissimile vale per la Lombardia di Maroni, alto dirigente del Carroccio che lavora sotto traccia alla riunificazione del fronte moderato ed è più che convinto che un centrodestra di governo debba avere le caratteristiche dell’esperienza lombarda, dove l’azione politica si coniuga con il pragmatismo e l’esperienza. La Liguria è la terza gamba che affianca da poco il duo Lombardia-Veneto. È la più giovane ma ha già inanellato una serie di risultati.

Spiega Toti: «Veneto e Lombardia sono modelli consolidati e la Liguria è un’esperienza nuova. Ma i successi a più di un anno dall’inizio del mandato si vedono già: stiamo rivoluzionando la politica regionale, abbiamo avviato una riforma della formazione professionale, normato la raccolta differenziata, cancellato mance e mancette indirizzando i fondi in maniera strategica. D’altro canto, siamo entrati con una percentuale pari al 35 per cento e adesso tutti i sondaggi ci danno un indice di gradimento pari al 41 per cento. Il buon governo paga».

Non è più la Lega di Bossi
Tuttavia, nei giorni in cui si ragiona se tornare o meno alle urne a scadenza naturale, la domanda che rimbalza da un capannello all’altro di Montecitorio è se questi modelli siano esportabili a livello nazionale. Non la pensa così Alessandro Campi, docente universitario e politologo, esperto della galassia del centrodestra. Intanto, spiega Campi, «queste tre regioni funzionano a prescindere dal centrodestra. Sono regioni strutturate. Il problema è che governano secondo uno schema classico Forza Italia-Lega, ma adesso c’è una variabile indipendente che si chiama Salvini». Secondo Campi, è necessario comprendere «la volontà e soprattuto l’ambizione di Salvini: non vorrei che assieme alla destra più radicale avesse abbracciato una linea irreversibile». Cioè? «Bisogna capire se l’alleanza sarà frenata dalla volontà e dalle ambizioni di Salvini, che sono crescenti sia sul piano personale sia su quello politico, mentre Berlusconi non ha intenzione di fare il passo indietro. È questo uno dei motivi che porta i cinquestelle ad avere davanti a sé il nulla. Ecco perché dubito che si possa realizzare lo schema regionale su base nazionale».

Il ragionamento di Campi si traduce in un disegno differente per il Carroccio targato Salvini: l’idea di correre in solitaria sganciandosi dalla destra moderata. «La Lega di Salvini è una cosa differente dalla Lega di Bossi. Quest’ultima, pur sempre secessionista, era un partito più di governo che di lotta. Nel ’94 e nel 2008 c’era un grado di pragmatismo che aveva la meglio sull’eterogeneità della coalizione». Esiste anche una Lega più moderata, capeggiata dai governatori della Lombardia e del Veneto: «Certo, c’è un asse Zaia-Maroni che hanno un atteggiamento più tattico e pragmatico, ma bisogna vedere quanta influenza avranno sul segretario». In questo quadro, annota Campi, il centrodestra se la dovrà vedere con due variabili di non poco conto: la legge elettorale e Salvini. «Il nuovo sistema di voto può essere dirimente per le scelte finali dei partiti e potrebbe alla fine costringere il centrodestra a riunirsi. Eppoi c’è il solito dilemma che accompagna il centrodestra: cosa farà Berlusconi? Da un lato ci sarà l’ostinazione dell’uomo che vorrà riscattarsi, dall’altro non si vorrà fare da parte per i suoi interessi. Dunque, saremo punto e accapo».

Verso la frammentazione
Anche Giovanni Orsina, politologo ed editorialista della Stampa, ritiene che il modello “ricomincio da tre” sia «figlio di una fase pre-salviniana e pre-lepenista». Secondo Orsina, «nelle regioni il modello funziona perché in un’amministrazione locale è più facile ridurre le distanze. La Lombardia mica discute se uscire o meno dall’euro. Il Veneto mica si divide sulla manovra correttiva di aprile. A livello regionale l’accordo lo puoi sempre trovare, ma a livello nazionale determinate fratture politiche risultano di difficile gestione». Con il passaggio da un sistema fortemente maggioritario a un proporzionale quasi puro, figlio delle sentenze della Consulta, il quadro potrebbe addirittura peggiorare. Perché, afferma Orsina, «la tendenza sarà alla frammentazione».

La leadership sarà l’altro fattore che segnerà le tappe dell’eventuale alleanza Forza Italia-Lega sul modello delle regioni del Nord. «Berlusconi – nota Orsina – è in forte crescita. Siccome le altre opzioni sono deteriorate, lui è l’usato sicuro».
Se sarà “ricomincio da tre”, chi la spunterà: il Cavaliere di Arcore o il Matteo del Carroccio?

@GiuseppeFalci

Foto Ansa

Tags: Giovanni TotiligurialombardiaLuca Zaiaroberto maroniSilvio Berlusconiveneto
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