Lo spazio per un conservatorismo non “gangster” c’è già

Di Matteo Forte
30 Luglio 2024
Il "Maga" trumpiano e il woke di Harris non sono due facce della stessa medaglia. Analogie e differenze tra l'Italia e gli Stati Uniti, e qualche appunto per evitare semplificazioni
Giorgia Meloni conservatorismo
La premier e leader di Fdi, Giorgia Meloni (foto Ansa)

Il “conservatorismo gangster” è un’efficace espressione comunicativa di Sharelle Jacobs, che tuttavia a mio giudizio sbaglia bersaglio. Può sbrigativamente dare l’immagine del passaggio dei repubblicani dai cowboy Reagan e Bush jr al più “aggressivo” Donald Trump. Però si sofferma molto sulla reazione di vitalità dell’ex presidente repubblicano di fronte all’attentato. E troppo poco sul tentativo di ucciderlo. La pistola del gangster ha sparato. Ma non è stato Trump a premere il grilletto.

L’allarme su un nuovo populismo conservatore caratterizzato dall’aggressività rimane molto alla superficie e non buca la crosta dei sommovimenti magmatici che attraversano le società occidentali del XXI secolo. Sommovimenti di cui la destra statunitense si fece in qualche modo interprete già prima dell’elezione di Trump, quando provocò, nel 2013, il blocco delle attività amministrative nel generale imbarazzo dell’establishment governativo, costretto a spiegare al G20 che «i finanziamenti per l’Fmi erano tenuti in ostaggio dagli oppositori repubblicani all’aborto, che volevano escludere i contraccettivi dall’Obamacare» (Adam Tooze, Lo schianto, Mondadori, 2018, p. 517).

Maga e woke non sono due facce della stessa medaglia

Che il “Maga” del Gop sia solo l’altra faccia del radicalismo “woke” dei dem è un giudizio parziale. Come lo è quello che vuole la destra del futuro inevitabilmente rappresentata dalla combattività e dalla prepotenza. È qui che divergono le analisi e le soluzioni di Raffaele Cattaneo da quelle mie e del gruppo di amici che ha deciso di investire nella costruzione del partito conservatore in Italia, sotto la leadership di Giorgia Meloni.

Del resto, a FdI si è rivolto in gran parte il popolo che in passato ha votato quel blocco di partiti, dalla Dc al Pdl e a Forza Italia, che – come correttamente ricorda ancora Cattaneo – hanno costituito per molti decenni la nostra originalità rispetto al mondo anglosassone. Si è rivolto lì, perché nella rinnovata proposta politica di Meloni intravvede lo spazio per esprimere quelli che sono sempre stati i contenuti della cultura popolare. Penso, a titolo d’esempio, alla proposta di legge sulla partecipazione dei lavoratori all’impresa di cui Lorenzo Malagola è relatore alla Camera, piuttosto che alle riforme garantiste di cui si sta facendo finalmente interprete Carlo Nordio o alle battaglie per la famiglia di Eugenia Roccella.

Non si può liquidare Trump come “conservatore gangster”

Con le dovute differenze, non si tratta di una dinamica così poi tanto diversa da quanto sta accadendo oltreoceano. Certo, Trump è un personaggio contraddittorio e volgare. Un miliardario che fa il capopopolo contro l’élite. Che ha sempre rivendicato il valore della sovranità popolare e poi ha accarezzato la pancia di quanti hanno preso d’assalto Capitol Hill, il tempio delle istituzioni democratiche. Eppure, la sua vicenda, inclusiva del primo mandato fatto di alta crescita, bassa disoccupazione, aumento dei redditi medi, Accordi di Abramo, fino alla nomina di Amy Coney Barrett alla Corte suprema, non si può liquidare come “conservatorismo gangster”. Come non si può ridurre il generale successo elettorale dei partiti conservatori a un disperato desiderio di forza da parte dei loro elettori.

Pensiero cattolico e conservatorismo

Per quanto Trump e gli altri leader di destra occidentali ne siano più o meno consapevoli, nei movimenti che portano a loro il consenso c’è molto di più. Altrimenti non si spiega la cosiddetta America profonda che vota il tycoon. Come ha chiarito Marco Respinti, presentando la traduzione italiana di Diritti e doveri. Saggio sullo spirito conservatore della Costituzione americana, scritto dal suo amico e maestro Russel Kirk (il principale intellettuale della destra repubblicana del Novecento), conservatrice è la stessa identità e vocazione statunitense. E incrocia un certo pensiero cattolico che ha colto nel “modello americano” un’esperienza che ha permesso di approfondire elementi dello stesso magistero, che hanno portato a formulazioni capitali come quella conciliare sulla libertà religiosa della Dignitatis humanae.

È il caso del gesuita John Courtney Murray, consulente di Paolo VI al Vaticano II e autore del celebre Noi crediamo in queste verità. Riflessioni cattoliche sul “principio americano”, in cui l’autore non oppone la fede alla modernità, ma ne ravvede i legami con un altro tipo di modernità. È anche il caso dell’ex luterano convertito al cattolicesimo padre Richard Neuhaus, la cui frequentazione con Joseph Ratzinger non è estranea al giudizio di Benedetto XVI sulla funzione «fondamentale e positiva» del modello americano del ruolo pubblico della fede cristiana, espresso nello storico viaggio del 2008 negli States.

L’opposto del giacobinismo francese

Un’influenza, quella di Neuhaus, che getta le basi ne Le strade della modernità: gli illuministi inglesi, francesi e americani della storica ebrea e neoconservatrice Gertrude Himmelfarb. Quest’autrice ha aiutato da un punto di vista accademico a determinare la consapevolezza di una fondazione delle istituzioni americane non “nonostante” la religione, ma “grazie” ad essa. Il contrario dell’esperienza giacobina nella Francia del 1789. Tale consapevolezza è stata ben espressa anche dall’allora cardinale Joseph Ratzinger nel dialogo con Marcello Pera e confluito nel libro a quattro mani Senza radici.

In questo volume l’ex prefetto della dottrina fede parlò di «due diversi esiti della civiltà dei lumi»: da un lato una società, come quella americana, «costruita in gran parte da gruppi che erano fuggiti dal sistema di chiese di Stato in Europa» e che vede proprio nello Stato «lo spazio libero per diverse comunità religiose» (p. 100); dall’altro lo Stato secolare che, con la Rivoluzione francese, «dichiara Dio come questione privata, che non fa parte della vita pubblica e della formazione democratica della volontà pubblica» (pp. 56-57).

La modernità e il “cambiamento d’epoca”

E in fondo, immersi in quello che continuiamo a definire con le parole di papa Francesco “un cambiamento d’epoca”, è ancora con i due diversi esiti della modernità che dobbiamo fare i conti. Il pensiero sbrigativamente definito contro-rivoluzionario di Edmund Burke, e che inaugura quello conservatore, cominciò a sostanziare quella diversità difendendo da un lato l’esperimento americano e contestando duramente quello giacobino. Con la modernità americana, infatti, gli ex coloni britannici tutelavano nel Nuovo Mondo quelle antiche libertà medievali contenute nella Magna Charta e che la stessa corona inglese stava invece conculcando in preda a derive assolutistiche.

Al contrario, la modernità giacobina pensava di costruire un mondo nuovo rompendo con la tradizione. La prima vede il progresso rinnovando nella continuità. La seconda vede tutto il male nel passato, perché il meglio è sempre nelle magnifiche e progressive sorti dell’umanità. Il positivismo è poi giunto in soccorso della modernità giacobina: se la questione del vero è solo privata e non ha cittadinanza nella vita pubblica, tutto quello che si può fare è utile e dunque si deve fare. E la persona è così alla mercé del potere. Pensiamo al concepito abortito, alla vita prodotta in laboratorio, all’anziano e al malato “scartati” e accompagnati al suicidio medicalmente assistito.

Il relativismo etico e il ruolo delle Big Tech in economia

Ma pensiamo anche ad alcuni aspetti negativi della globalizzazione, per come l’abbiamo conosciuta sino ad ora: dalla fondazione del Wto nel ‘95 si è potuto decidere di delocalizzare la produzione industriale da un continente all’altro solo in nome del profitto, cancellando migliaia di posti di lavoro e costringendo piccole imprese dell’indotto a chiudere – con conseguente impoverimento del ceto medio occidentale che si è via via radicalizzato nel voto. Pensiamo pure al ruolo giocato dalle Big tech, i nuovi poteri forti, come recita il titolo di un libro di successo firmato dal giornalista Franklin Foer. Per esse non è più fondamentale la libertà di informazione quale accrescimento della persona, quanto la libertà delle informazioni lasciate da chi naviga in rete; così la persona è ridotta a mero flusso di dati, ci ha ben spiegato Yuval Harari.

Non è un caso, dunque, che nel cambiamento d’epoca crescano insieme proprio sotto il cappello della modernità giacobina tanto un relativismo etico quanto un’economia completamente sganciata da un orientamento comunitario e personalista, per usare le espressioni della Caritas in veritate. Una modernità che trova i propri corifei sicuramente nelle forze di sinistra, ma ormai anche in quel centro che non coincide più con quello cattolico equidistante dalle ideologie totalitarie comunista e nazifascista, come nel XX secolo.

Il consenso al conservatorismo in Usa e Europa

Oggi il centro, il cui leader in Europa è Emmanuel Macron, è il luogo dell’indifferenza verso qualunque orientamento ideale, che sposa la tecnocrazia e irride all’allargamento della ragione all’ethos, per dirla con le parole di Benedetto XVI a Ratisbona. Le dichiarazioni di Marina Berlusconi all’indomani delle elezioni europee, che invitano a guardare a sinistra sul tema dei diritti, sembrano indicare anche in Italia quella via.

Buona parte del consenso ai conservatori in Usa e in Europa può dunque spiegarsi quale risposta, magari anche confusa e scomposta, alla percepita minaccia alla libertà di ciascuno derivante dallo «svuotamento dell’ethos e della cultura che consegue all’applicazione di questa ideologia egualitaria e a-valutativa» (cfr, La libertà religiosa per il bene di tutti, n. 62), in cui dominano solo le procedure, l’adesione a parametri standard e scompaiono le persone con la loro creatività, la loro fede e le loro convinzioni, come ha ben individuato un originale documento della Santa Sede dell’aprile 2019.

Se allora per i cattolici le ragioni ideali di un impegno rimangono tali e non prevalgono questioni di mera topografia rispetto allo scacchiere politico, aggettivi quali “centrista” o “moderato” non hanno più molto senso. Occorre piuttosto trovare la modalità più adeguata al contesto storico attuale per trafficare i nostri talenti, invece di pensare di preservarli sotterrandoli nel cortile di casa.

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