Tentar (un giudizio) non nuoce

Tra woke e Maga, l’alternativa popolare

Di Raffaele Cattaneo
27 Luglio 2024
Occorre costruire uno spazio moderato tra il conservatorismo “gangster” di Trump e il radicalismo liberal di Harris, attingendo dalla storia del popolarismo
La vicepresidente degli Stati Uniti Kamala Harris (Ansa)
La vicepresidente degli Stati Uniti Kamala Harris (Ansa)

Questa settimana Il Foglio ha ospitato un articolo di Sharelle Jacobs, editorialista del Telegraph, che sostiene una tesi tanto interessante quanto provocatoria. Ella vede in Trump il paradigma di un conservatorismo “gangster” che «sa quello che vuole, va a prenderlo senza fregarsene di qualunque cosa o di chiunque si trovi sulla sua strada. Un nuovo tipo di politica populista-conservatrice che persegue aggressivamente la prosperità e l’ordine, potrebbe essere l’inevitabile futuro della politica di destra nell’occidente in declino». La tesi espressa sintetizza quella polarizzazione su scala globale che più volte ho sottolineato negli articoli pubblicati su Tempi e che sembra inesorabilmente premiare le posizioni più estreme.

Il ritiro di Biden e l’entrata in gioco di Kamala Harris rafforzerà ulteriormente questa radicalizzazione delle posizioni. Tutti i commentatori, a partire dagli editoriali del New York Times, evidenziano come la sua discesa in campo non potrà che estremizzare la campagna elettorale per la presidenza americana. Non a caso Kamala Harris ha già dichiarato che il tema dell’aborto, da riconoscere come diritto universale, sarà uno dei punti centrali della sua sfida contro Trump. È facile prevedere che gli slogan della sinistra più massimalista, giocheranno su questo fronte per presentarsi come alternativa al trumpismo. Dunque, si profila uno scontro radicale tra culture “Woke” e “Maga”: due posizioni politiche antitetiche.

Trump e Harris. Esiste un’alternativa?

Ebbene, in un Occidente che appare sempre più vittima delle proprie paure, con un’identità offuscata e senza più punti saldi cui ancorarsi, che sta perdendo altresì il proprio ruolo di primazia sulla scena globale, la via per uscire dalle secche è davvero il conservatorismo “gangster”? Questo è il tema centrale per gli Stati Uniti, che oggi non possono più considerarsi leader incontrastati nel mondo, ma ovviamente anche per l’Europa, ancor più destinata ad una marginalizzazione economica, demografica e forse anche culturale.

Esiste un’alternativa? Io credo di sì, ed quello che io chiamo popolarismo, la cultura politica che storicamente ha plasmato il blocco conservatore in Italia e in Europa e che costituisce la nostra originalità. Ad eccezione dei Tories inglesi, infatti, in Germania, in Spagna, in Francia, in Italia, ecc. non è mai esistito un vero partito conservatore, perché lo spazio politico del centro destra è stato occupato prevalentemente da forze politiche di centro moderato, culturalmente di area popolare, come la Dc e Fi/Pdl nel nostro Paese, la Cdu/Csu tedesca, il Partido Popular spagnolo, l’Ump e poi Les Republicains francesi, ecc. Questo, peraltro, è stato a mio parere il principale contributo storico dei cattolici popolari in politica nel dopoguerra: un conservatorismo popolare, non gangster, equilibrato nei toni e nei contenuti, rispettoso delle istituzioni, teso all’incontro e al confronto con l’avversario politico, non allo scontro.

Il futuro della destra

Oggi può essere ancora questa l’alternativa per il centrodestra? Io credo di sì, soprattutto se l’Europa vuole mantenere la sua originalità. Certo, si tratta di una proposta che in Italia come in Europa deve ancora trovare il suo leader, ma che ha già mostrato una domanda potenziale e quindi uno spazio politico che potrebbe essere molto significativo. Lo voglio dire con le parole che qualche giorno fa ha utilizzato, alla presentazione dei palinsesti Mediaset, Piersilvio Berlusconi: «La prossima tornata elettorale potrebbe essere un’opportunità pazzesca di marketing politico. I moderati in Italia sono la maggioranza, ma oggi non hanno qualcuno in cui si riconoscono veramente, tanto è vero che la stessa Meloni sta prendendo voti dai moderati. Io non prevedo nulla, ma dico solo che ci può essere un’opportunità per qualunque nuova forza o candidato di centro moderato».

Questa, dichiarazione è una sfida culturale ancor prima che politica e lo ricorda anche un editoriale del direttore del Foglio, Claudio Cerasa, intitolato: “Una destra che ama la libertà più che alimentare il trumpismo lo deve combattere”. Citando anche in questo caso la famiglia Berlusconi, nello specifico Marina, Cerasa sostiene che il trumpismo non possa essere la risposta ad una destra che voglia interpretare il voto moderato e conservare la propria originalità. Ed insiste appuntando che «Donald Trump incarna la paura, l’isolazionismo, il nazionalismo, l’estremismo, il radicalismo, il complottismo e il protezionismo, mentre il fondatore del centrodestra italiano, Silvio Berlusconi, ha incarnato tutto l’opposto; l’apertura, l’ottimismo, il multilateralismo, l’europeismo, l’antinazionalismo, la difesa della globalizzazione, la battaglia contro gli estremismi a partire da quello xenofobo contro cui ha combattuto per buona parte della sua vita. […] La destra che può avere un futuro è una destra che farebbe bene ad osservare la campagna di Trump con distacco, con preoccupazione ed una certezza: chi ha amato il berlusconismo non può che essere per coerenza terrorizzato da tutto ciò che rappresenta il trumpismo agli occhi di chi ama un valore non negoziabile chiamato libertà».

Mettersi in cammino

Questa, a mio giudizio, è la sfida culturale che oggi attraversa la politica globale ma anche quella italiana. Riuscirà il popolarismo a rappresentare un’alternativa reale al populismo e riusciranno i popolari ad impugnare la battaglia culturale e politica per un conservatorismo che non sia nemico della libertà?

Questa è la sfida che abbiamo di fronte. È una partita che non possiamo giocare in difesa. C’è un popolo moderato che chiede risposte. Serve coraggio e speranza verso il futuro. Bisogna rimettersi in cammino anche quando in fondo al selciato sembra che non ci siano più sentieri da imboccare. È proprio lì, che bisogna iniziare a costruire nuove strade.

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