

Anche se la Conferenza di Parigi ha confermato la data del 24 dicembre per le elezioni presidenziali e politiche in Libia e ha minacciato sanzioni contro chi le dovesse ostacolare, non è del tutto certo che i termini verranno rispettati. Se la Commissione che vaglia le candidature dovesse respingerne qualcuna, sulla base di leggi recentemente approvate o degli accordi sottoscritti fra le fazioni, è probabile che le parti escluse riaprirebbero le ostilità all’indomani del voto. Per esempio molti ministri e lo stesso primo ministro Dbeibeh hanno intenzione di candidarsi o hanno già presentato la loro candidatura alla presidenza, nonostante gli accordi del novembre 2020 prevedessero che chi aveva ricoperto tali cariche non si sarebbe dovuto candidare a capo dello Stato.
Recentemente hanno dichiarato di avere presentato la loro candidatura Saif al-Islam Gheddafi – il figlio di Muammar Gheddafi che ha trascorso quasi cinque anni in una prigione gestita dalle milizie di Zintan dopo la caduta del regime paterno ed è stato rilasciato il 10 giugno 2017 nonostante l’esistenza di un mandato di cattura nei suoi confronti da parte della Corte penale internazionale – e Khalifa Haftar, comandante in capo dell’Esercito libico nazionale, uomo forte della Cirenaica e protagonista dell’offensiva che nella primavera del 2019 giunse a un passo dalla conquista di Tripoli, ma fu bloccata dall’intervento militare turco.
Oltre a loro si contano ad oggi almeno altri otto candidati potenziali o dichiarati. Aguila Saleh, presidente della Camera dei rappresentanti riparata a Tobruk nel 2014 allo scoppio della seconda guerra civile libica, è stato un alleato e un sostenitore delle offensive del generale Haftar ed è genericamente di area laica. Abdul Hamid Dbeibeh, l’attuale primo ministro, è originario di Misurata, dove si trova la sua principale base elettorale, e miete consensi fra le tribù dell’ovest. Può vantarsi di aver migliorato le condizioni di sicurezza, di aver aumentato i salari degli insegnanti e di avere sovvenzionato con fondi pubblici il matrimonio di centinaia di coppie in crisi economica. È considerato vicino ai Fratelli Musulmani.
Anche Fathi Bashagha è di Misurata e anche lui è vicino ai Fratelli Musulmani, ma quando il Forum per il dialogo politico libico doveva scegliere il primo ministro di transizione, ha fatto lista col laico Saleh ed è stato battuto da Dbeibeh. Ministro degli Interni fra l’ottobre 2018 e il marzo 2021, è sopravvissuto a due attentati. Ha avuto un ruolo importante in tutti gli episodi cruenti delle guerre civili libiche. Muhammad Khaled Abdullah al-Ghweil è un altro politico di Misurata (benché nativo di Tripoli) che concorre alla carica e che è stato sottosegretario del ministero della Pianificazione. Anche lui, come Bashagha, voleva diventare primo ministro di transizione ma è stato battuto da Dbeibeh.
Ali Zeidan è stato primo ministro per sedici mesi fra il 2012 e il 2014, ed è un oppositore di vecchia data al regime di Gheddafi, essendosi unito al Fronte nazionale di salvezza della Libia nel lontano 1980. È stato rapito due volte, nel 2013 e nel 2017. Othman Abdul Jalil, ex ministro della Pubblica Istruzione, è originario della città di Zindan. Si dichiara disposto a coalizzarsi con Fathi Bashagha e ostile al primo ministro Dbeibeh: dichiarazioni che sembrano preannunciare il suo posizionamento in caso di ballottaggio.
Aref Al-Nayed, nativo di Bengasi ed ex ambasciatore negli Emirati Arabi Uniti, è il candidato del partito Ihya Libya, ma soprattutto è visto come il candidato dei paesi del Golfo: è stato anche consigliere per la sicurezza nazionale nel governo di Tobruk dell’allora primo ministro Abdullah al-Thani. Una personalità che vive tuttora negli Emirati e sarebbe intenzionata a candidarsi è l’imprenditore Ismail al-Shtiwi, famoso fra i libici per essere stato il proprietario di fatto della più amata squadra di calcio di Tripoli, l’Al-Ahly Sports Club, sia durante che dopo il regime di Gheddafi, che lo costrinse all’esilio negli Emirati. Infine Fathi bin Shatwan, ex ministro del petrolio che abbandonò il regime di Gheddafi nei primi mesi della rivoluzione del 2011, e che oggi dirige il partito del Movimento per il progetto nazionale.
L’articolato sistema che regge la Libia in vista delle elezioni può in qualunque momento incepparsi e causare controversie elettorali. Per esempio la Camera dei rappresentanti ha recentemente approvato una legge che stabilisce che le elezioni parlamentari debbano tenersi 30 giorni dopo le presidenziali (mentre a Parigi si è insistito che presidenziali e parlamentari abbiano luogo nella stessa data). Nel frattempo l’Alto Consiglio (altro organo della transizione) ha annunciato che l’eventuale ballottaggio delle elezioni presidenziali si terrà 45 giorni dopo il primo turno. La confusione regna sovrana.
Foto Ansa
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