Dopo oltre otto anni di proposte, audizioni e discussioni, nel 2004 il Parlamento ha approvato la legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita, che ha posto fine a due decenni e mezzo di pratiche incontrollate di fecondazione artificiale, di crioconservazione e di sperimentazione sugli embrioni umani nel nostro paese. Dopo anni di incertezza, finalmente è stata creata la cornice di un nuovo quadro, che delimita il campo di quel terreno minato che sono gli interventi biomedici sulle coppie che non riescono a concepire un figlio. Un quadro, però, non vale per la cornice ma per quello che c’è dentro, e questo – il disegno (ovvero, il senso) della procreazione, del generare e dell’essere generati, del prendersi cura e dell’essere curati – deve essere ancora in larga misura dipinto. O, più precisamente, riscoperto, riportato alla luce del sole, come un affresco scomparso sotto diverse mani di intonaco che gli sono state gettate sopra nel corso del tempo.
A un anno di distanza, c’è chi vorrebbe distruggere questa cornice per togliere ogni argine al fiume in piena dei desideri di alcuni, dei calcoli di altri e degli interessi di altri ancora. Per tornare come prima, o quasi, e cancellare quegli spazi ove sia possibile la ripresa di una cultura della vita, della famiglia, della medicina e della ricerca scientifica che ha radici profonde in Europa e nel nostro paese. Non difendiamo la cornice per la cornice (per quanto possa valere, una cornice conta sempre meno del dipinto d’autore), ma la cornice come sostegno e tutela di ciò che abbiamo più a cuore: l’educazione ad uno sguardo rispettoso e valorizzatore di tutta la realtà della vita della donna e dell’uomo, dei figli e dei genitori, del compito della famiglia per la persona e la società, della professione medica, della appassionante ricerca di nuove terapie per le malattie sinora inguaribili.
SE PREVALE IL PIU’ FORTE
Come ricorda San Paolo, la legge non salva niente e nessuno. Tutt’al più, condanna qualcuno. La sua funzione, dice l’Apostolo, è quella di un “pedagogo”, un istitutore che crea le condizioni affinché uno possa imparare qualcosa dalla vita, dalla realtà tutta, che è l’unica maestra degli uomini (i cristiani riconoscono che la realtà è Cristo – cf. Col 2, 17 – ma il magistero della realtà è per tutti). Senza un poco d’ordine, una disciplina, gli allievi di una classe non apprenderebbero nulla: ognuno si dedicherebbe a fare ciò che ha in mente, dimenticando il compito cui è stato chiamato e rendendo impossibile una attenzione e un rispetto reciproco. Nel Far West è di casa il potere (che ha una sola legge, quella del più forte), non l’attenzione e il rispetto per la realtà. Ma, da sola, la disciplina non serve a imparare nulla nella vita. Il maestro non coincide con l’istitutore, anche se il primo ha bisogno del secondo per educare, cioè introdurre alla realtà.
Secondo la tradizione della Chiesa e la civiltà occidentale, il compito della legge civile «consiste, infatti, nel garantire un’ordinata convivenza sociale» e «assicurare per tutti i membri della società il rispetto di alcuni diritti fondamentali, che appartengono nativamente alla persona e che qualsiasi legge positiva deve riconoscere e garantire. Primo e fondamentale tra tutti è l’inviolabile diritto alla vita di ogni essere umano innocente» (Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, n. 71). Rispettare la vita di ogni uomo non è (ancora) amare la vita di ognuno, avere a cuore il suo destino come il proprio. Ma senza rispetto per l’esserci dell’altro non può esistere amore all’altro, e neppure a noi stessi. Quello che la legge 40 riconosce e garantisce è una regola di ragione, non di fede: non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te (la “regola d’oro” dell’etica laica). La tradizione ebraico-cristiana non abolisce questa regola, ma va ben oltre: «Ama il prossimo tuo come te stesso» (Lv 19, 18; Lc 10, 27). Il “prossimo” è chi ha la nostra stessa origine e il nostro stesso destino. Per questo, la legge sulla procreazione medicalmente assistita non è una legge cattolica, ma laica, perché radicata nella più elementare e universale regola della laicità: il rispetto reciproco.
Avere a cuore il destino di ogni embrione implica avere a cuore il nostro destino, quello dei nostri figli e dei nostri amici. Senza una legge che imponga il rispetto, educare all’amore sarebbe assai più arduo. La legge 40 è solo lo strumento per mettere tutti – laici e cattolici – nelle condizioni di ripartire rispetto alla questione della procreazione, della cura e della ricerca. Difendiamo la legge non perché essa rappresenta l’ideale (ben diverso è l’ideale cristiano di maternità e di paternità e di medicina!), ma in quanto è oggi, nel nostro paese, il solo strumento per aprire lo spazio ad un lavoro educativo sul senso della generazione umana e sul compito della medicina rispetto ad essa.
IL COMPITO DELLA CHIESA
Quale è dunque il compito della Chiesa, dei cristiani, di fronte ad una scelta che la società italiana è chiamata a compiere di fronte alla questione della procreazione medicalmente assistita e della ricerca biomedica? La Chiesa è un fenomeno storico, situato nel tempo, la cui unica ragion d’essere è di rappresentare per tutti e in ogni tempo la possibilità di incontrare il significato della propria vita e del mondo: Gesù Cristo, nella cui persona vivente consiste il “Vangelo della vita”. La Chiesa esiste per annunciare il senso della vita, non per tacerlo. E il Vangelo ha qualcosa da dire anche sulla paternità e sulla maternità, sull’amore ai figli, sulla cura dei malati, sulla gioia e sulla drammaticità dell’essere genitori o medici. Accogliere, difendere e promuovere la vita dell’uomo, dal concepimento alla sua morte, è un compito cui la Chiesa non può sottrarsi, come ha ricordato dieci anni fa Giovanni Paolo II nella enciclica Evangelium vitae. In una situazione in cui si alzano voci prepotenti e minacciose contro la famiglia e l’esistenza stessa dell’uomo sin dal suo inizio, spacciando per progresso scientifico e libertà civili l’esercizio di un potere ideologicamente costruito contro i più deboli e gli indifesi tra gli uomini, la Chiesa non può stare in silenzio e inoperosa. Non lo è stata di fronte alle tragedie delle guerre, del terrorismo, delle catastrofi che hanno colpito l’umanità. Risuona in questo frangente la verità della domanda di Eliot: «è la Chiesa che ha abbandonato l’umanità o è l’umanità che ha abbandonato la Chiesa?» (Cori da “La Rocca”).
L’opera della Chiesa è l’educazione: introdurre alla realtà, che è Cristo. Se venisse meno a quest’opera, essa non servirebbe più l’uomo, lo abbandonerebbe. Una posizione così vertiginosa non è facile da comprendere nemmeno per noi cristiani. è possibile dire questo, e vivere nella pace di questa certezza, solo attraverso un abbraccio umano di cui si fa esperienza nella propria vita: quello di Cristo che ci abbraccia attraverso la Chiesa e ci educa nella comunità cristiana ad affermare sempre la dignità infinita di tutta la vita umana e la positività del reale.
* Docente di Neurobiologia e Genetica umana all’Università Cattolica di Milano