
In questi strani tempi di pandemia è diventato normale “riunirsi” davanti allo schermo di un computer con amici e parenti. Anche oggi, tuttavia, rimane raro sentire che più di trenta persone, in maggioranza giovani, si siano ritrovate, un sabato sera, ad ascoltare la presentazione di un libro scritto, a quattro mani, da un alto prelato cattolico ed un politico.
Il prelato in questione è il cardinale Camillo Ruini, già presidente della Cei, ed il politico è il senatore Gaetano Quagliariello, entrambi autori di Un’altra libertà. Contro i nuovi profeti del paradiso in terra (Rubettino 2020), libro di cui l’Associazione Vivere Salendo ha organizzato quella che, a causa dell’isolamento collettivo, è stata la prima presentazione pubblica, come ha voluto sottolineare lo stesso Quagliariello, intervenuto per approfondire i temi del libro con i partecipanti.
Il libro, frutto del consolidato rapporto tra i due autori, ha nel cardinale il vero protagonista e nel suo pensiero – che il senatore considera un sistema compiuto, il “ruinismo” – la necessaria chiave per illuminare il rapporto tra la dottrina cattolica e l’agire politico.
Punto centrale delle riflessioni è la libertà e la fondamentale necessità di individuarne il limite, non solo per chi, spinto da ragioni di fede, ritiene, in maniera erasmiana, che vi sia un confine che separa terra e cielo, ma anche per chi, pur non credente, si riconosce nel pensiero liberale.
In Italia, anche in ambito cattolico, il liberalismo ha sempre fatto parte di una corrente politica debole e minoritaria e tale è rimasto anche nel secondo dopoguerra. Nel 1989, tuttavia, con il crollo del Muro e, conseguentemente, delle certezze della sinistra, vi fu una rapida conversione di massa a tale dottrina politica, che fece prevalere, però, la corrente giacobina, che conservava (e conserva tutt’ora) una radice tipicamente totalitaria. Quella mentalità totalitaria che pretendeva di creare il “paradiso in terra” si è così trasferita dal terreno sociale al terreno antropologico: non si trattava più, quindi, di utopia dell’uguaglianza ma di utopia dell’autodeterminazione. Libertà senza limiti, quindi pure senza radici.
Il progresso civile è diventato la conquista di sempre nuovi diritti individuali che, a loro volta, fondano ora la pretesa di avere ancora altri diritti, sempre nuovi e sempre diversi, con lo scopo ultimo di superare i limiti dell’umano e di arrivare al post-umano. L’uomo ritiene, così, di poter autodeterminare ogni aspetto della vita, propria ed altrui: più che “dalla culla alla bara”, il motto ora è “prima della culla e dopo la bara”. Come preconizzato da Augusto Del Noce, la sinistra, perso l’ancoraggio al marxismo, si è trasformata in un grande partito radicale di massa e la mentalità del controllo totale si è trasferita sul piano antropologico.
Diventa indispensabile, così, scoprire un’altra libertà: non è vero che esiste solo la libertà ideologica dell’uomo monade, individuo senza legami, non è vero che la libertà non ha limiti, non è vero che la libertà deve recidere le radici di una persona, di una famiglia, di un popolo. Anzi. La libertà ha bisogno di limiti proprio per non trasformarsi in un’utopia totalitaria.
Lo capiscono bene tutti quei liberali che si accorgono di come il futuro sia aperto e non si possa programmare anticipatamente e in ogni suo aspetto. Ciò è qualcosa di fondamentale per chi ama la libertà: con Popper possiamo dire che il futuro non è chiuso, non è possibile far svanire l’imprevisto. Serve un nuovo sforzo di pensiero per non sottostare alla falsa pretesa di predeterminare ogni aspetto della vita, come invece vorrebbero “i nuovi profeti del paradiso in terra”.
Tale scontro di concezioni si inserisce in una serie di cambiamenti socio-politici che hanno caratterizzato e mutato gli ultimi anni, spesso, purtroppo, anche in maniera inosservata e senza un adeguato confronto culturale nella società civile e nella politica. Le recenti involuzioni legislative e – troppo frequentemente – anche giurisprudenziali sono passate in modo silente, come fossero mere pratiche amministrative, senza che ci sia stato alcun vero dibattito. Ci siamo spostati, adesso, su una china discendente sulla quale non sappiamo dove ci fermeremo, sappiamo però che la presunzione fatale è già arrivata fino al punto di voler stabilire qual è il bene di un altro, a prescindere dalla sua volontà, come accaduto con Eluana Englaro e, più recentemente, con Charlie Gard, Alfie Evans e le altre vittime innocenti della finta autodeterminazione.
Queste tematiche sono le più importanti del secolo che stiamo vivendo, perché mettono in discussione l’origine dell’uomo, e quanto accaduto in questi due mesi ne è conferma indiretta: il coronavirus ha “ammazzato” l’ideologia di poter tutto determinare, propagandata dal partito radicale di massa, e l’uomo che, illudendosi, si credeva infallibile, ha perso in un secondo tutte le sue certezze. È necessario tornare a fare i conti con la nostra fallibilità e la nostra fragilità, che portano a riscoprire il nesso strutturale che la persona ha con l’altro, la tradizione e la comunità. Questo nesso deve tornare ad essere una realtà favorita dalle leggi e la stessa tecnologia deve contribuire a favorire l’esistenza di strutture sociali e relazioni che difendano la persona e le sue fragilità.
Quanto è accaduto, se ci sarà la forza di comprenderlo e proporre analisi non affette da alcun complesso di inferiorità, potrebbe essere una grande occasione per rilanciare l’alleanza fra il pensiero cattolico ed il pensiero liberale e concepire, in tal modo, un’altra libertà, una libertà non senza limiti ma più giusta per l’uomo.
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