La preghiera del mattino

La grande partita africana tra Cina e Occidente. Con l’Italia al centro

Di Lodovico Festa
01 Agosto 2023
Rassegna ragionata dal web su: il golpe in Niger e altre conseguenze dell’avventurismo franco-americano nel Continente nero, la strategia di conquista di Xi Jinping, la chance del Piano Mattei
Foto di gruppo dei partecipanti alla Conferenza internazionale su Sviluppo e Migrazioni convocata a Roma dal governo italiano il 23 luglio scorso. In prima fila, al centro, Antonio Tajani, Giorgia Meloni, Matteo Salvini
Foto di gruppo dei partecipanti alla Conferenza internazionale su Sviluppo e Migrazioni convocata a Roma dal governo italiano il 23 luglio scorso. In prima fila, al centro, Antonio Tajani, Giorgia Meloni, Matteo Salvini (foto Ansa)

Sulla Nuova Bussola quotidiana Gianandrea Gaiani scrive: «“Noi valutiamo la guerra libica una minaccia per il nostro paese e per la regione che si prolungherà negli anni a venire… Avevamo messo in guardia l’Occidente dal distruggere lo Stato libico… Avevamo detto all’Occidente di non perdere di vista la realtà e di tenere conto della società libica. L’Unione africana aveva proposto una soluzione che facesse uscire di scena Gheddafi preservando lo Stato e l’unità nazionale, ma non siamo stati ascoltati e oggi la Libia è come la Somalia, come aveva previsto l’Unione africana”. Mohamed Bazoum, il presidente del Niger rimosso da un golpe militare il 27 luglio, rilasciò queste dichiarazioni nel corso di una lunga intervista pubblicata da Analisi Difesa e concessa all’autore di questo articolo a Niamey nel giugno 2014, quando ricopriva l’incarico di ministro degli Esteri».

La geniale idea di Nicolas Sarkozy e del fantastico trio Barack ObamaJohn KerryHillary Clinton di destabilizzare il Nord Africa affidandosi alla Turchia come potenza “pacificatrice” continua a dare i suoi frutti aiutando Pechino (ormai all’unisono con Mosca) ad affermare la sua egemonia sul Continente nero. Oggi un buon contributo a consolidare l’arretramento occidentale avviato nel 2011 lo dà l’arrogante microimperialismo macroniano, con il suo ministro degli Interni Gérald Darmanin che ha usato la questione immigrazione per mettere in difficoltà Roma, provocando poi i noti incendi a Parigi, e con il partito francese italiano dal cuore stellantisiano che ha cercato di impedire a Giorgia Meloni di intervenire nella strategica Tunisia. Di nuovo c’è invece che le incertezze di Washington forse sono arrivate a un punto fermo e che ciò potrebbe consentire una svolta.

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Su Startmag Luigi Chiarello scrive: «E mentre l’Europa “compassionevole” accarezza il ventre africano con aiuti umanitari, la Cina si presenta ai governanti col portafogli pieno di investimenti diretti. Pechino non dà loro la canna per pescare, ma (acquisendo concessioni) va a pescare in Africa coi suoi pescatori. Non genera occupati, ma regala ai popoli l’illusione di far business. Il risultato è che 26 delle 54 nazioni africane non hanno votato la risoluzione Onu di condanna dell’invasione russa in Ucraina».

La Cina di Deng Xiaoping cercava lo sviluppo economico senza egemonismo, Washington si è accorta che Xi Jinping aveva cambiato linea qualche anno dopo di quando questo è avvenuto, dopo la crisi finanziaria e da debito statuale tra il 2008 e il 2011. Ora tocca rimediare a questa “distrazione” con molto affanno.

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Sul Sussidiario Giulio Sapelli dice: «Puntando sull’Eni, sulle relazioni commerciali, sulle migliaia di nostri piccoli imprenditori che sono in Tunisia, in Marocco, in Egitto, che sono stati in Libia. Gran parte dei quadri dell’esercito e dell’aviazione congolesi parla italiano perché avevamo avuto dall’Onu l’incarico di addestrarli. Il prestigio che l’Italia ha in Africa è ancora immenso, nonostante i fascisti e il generale Graziani. Quello che abbiamo fatto nel secondo dopoguerra grazie a Mattei e ai nostri piccoli e medi imprenditori ha una importanza che dura tuttora».

Queste le chance italiane descritte come sempre con attenzione da Sapelli.

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Su Formiche Francesco De Palo scrive: «Ma il passaggio più rilevante Tajani lo ha dedicato alla concorrenza sino-europea in Africa quando ha osservato che gli interessi cinesi in Africa sono molto forti “ed è chiaro che c’è una competizione con Pechino, ma noi europei siamo preferiti dagli africani, a patto che organizziamo la nostra presenza nel continente”. Per questa ragione ha indicato la strada da percorrere investendo sulla cooperazione allo sviluppo a cui va affiancata l’internazionalizzazione delle imprese tramite Sace e Simest, ovvero l’essenza stessa del Piano Mattei su cui il presidente del Consiglio Giorgia Meloni punta moltissimo lungo l’asse migranti-investimenti-energia. Tajani ha ricordato che il Piano Mattei è stato concepito dalla consapevolezza di “creare le condizioni affinché il nostro paese possa competere seriamente con queste due potenze”. L’Africa non è soltanto deserto e villaggi, ha aggiunto, ma anche innovazione e donne e uomini di alta qualità. “Occorre investire anche in joint venture, in attività estrattive e culturali. I dati dell’interscambio sono importanti ma devono spingerci a fare di più”. Di qui nasce il Piano Mattei per Tajani, ovvero al fine di “utilizzare tutto il nostro sistema imprenditoriale nei diversi settori ed andare ad investire nel continente”».

Ecco una attenta descrizione della linea “africana” del governo Meloni: una linea che Il presidente della Commissione esteri del Senato americano, il senatore Bob Menendez, ha definito «impressive». Naturalmente l’amministrazione Biden ha i soliti problemi interni/esteri nel definire una precisa strategia (vedi i travagliati rapporti con Israele, Arabia Saudita, Turchia) e deve tener conto anche del nervosismo francese. Però è impossibile non registrare l’intesa di fondo sulle politiche mediterranee-mediorentali-africane che si sta determinando tra Washington e Roma.

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