La Corte europea condanna la Norvegia per i bambini sottratti alle famiglie
La disinvoltura con cui il sistema legale e dei servizi sociali norvegese sottrae figli a genitori in difficoltà non è più soltanto una congettura oggetto di controversia fra famiglie interessate, autorità, media e rappresentanze diplomatiche (alcuni bambini tolti ai loro genitori sono figli di coppie straniere o di nazionalità mista): il 10 settembre la Gran camera della Corte europea dei diritti umani ha sentenziato che la Norvegia ha violato i diritti della signora Strand Lobben quando nel 2008 i servizi sociali, ai quali la signora si era rivolta in cerca di supporto, le avevano sottratto un neonato dell’età di tre mesi con una relazione che dichiarava la sua mancanza di capacità parentali.
LA VITTORIA DI STRAND LOBBEN
Il bambino era stato collocato in una casa famiglia e la madre era stata autorizzata a sole otto ore di visita all’anno. Dopo un certo periodo il bambino era stato dichiarato adottabile. In primo grado la quinta sezione della Corte europea dei diritti umani non aveva riscontrato nessuna violazione dell’articolo 8 della Convenzione europea sui diritti umani che protegge il diritto alla vita familiare. Tuttavia nell’ottobre dello scorso anno la Gran camera, che rappresenta la Corte d’appello europea, aveva accettato di rivedere il caso. Si è così arrivati alla sentenza del 10 settembre, che condanna la Norvegia per il modo con cui le sue corti di giustizia hanno gestito i ricorsi della signora Strand Lobben presso i tribunali del suo paese.
In una concurring opinion (approvazione della sentenza con motivazione differente da quella principale) 6 dei 17 giudici della Corte d’appello hanno affermato che «le autorità nel caso presente hanno mancato fin dall’inizio di perseguire l’obiettivo di riunire il figlio con sua madre, ma hanno immediatamente stabilito che dovesse crescere in una casa famiglia. Questo presupposto sottinteso è il filo rosso che unisce tutti gli stadi delle procedure seguite, a cominciare dal decreto di allontanamento dalla madre».
IL DOLORE DELLA FAMIGLIA BODNARIU
È la prima volta dal 1996 che la Norvegia viene condannata dalla Corte europea per violazioni relative alla separazione di figli dalle famiglie di origine, ma altri sei ricorsi contro lo Stato norvegese da parte di famiglie di varie nazionalità per violazione dei diritti dei bambini e dei genitori alla vita familiare (articoli 8 e 9 della Convenzione europea sui diritti umani) sono pendenti presso la Corte europea dei diritti umani.
Inoltre l’anno scorso l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha preso l’iniziativa straordinaria di inviare una delegazione in Norvegia al fine di stendere un rapporto sulle modalità operative del Barnevernet, l’agenzia norvegese per la protezione dell’infanzia. Il rapporto, emesso alla fine del giugno 2018, critica la frequenza e la natura degli “interventi di emergenza” del Barnevernet e manifesta preoccupazione per il genere di ragioni addotte per le separazioni e il tempo estremamente ridotto delle visite consentite ai genitori naturali. A spingere il Consiglio d’Europa a realizzare la sua inchiesta e il suo rapporto è stata la risonanza internazionale del caso Bodnariu, una famiglia rumeno-norvegese alla quale nel 2015 sono stati tolti tutti e cinque i figli che avevano per sospetti di indottrinamento religioso: Marius e Ruth Bodnariu sono cristiani pentecostali. Uno dei casi riguardati la Norvegia pendenti presso la Corte europea è proprio questo.
LO SCANDALO PEDOPORNOGRAFIA
Il 2018 non è stato un bell’anno per il Barnevernet. Nel mese di aprile uno degli psichiatri della Commissione di esperti dell’infanzia, supervisore delle decisioni prese dal Barnevernet e delle perizie indipendenti relativamente all’allontanamento di bambini dalle loro famiglie, è stato condannato a 22 mesi di carcere per detenzione di materiale pedopornografico a sfondo sadico. In alcuni casi costui aveva bocciato le perizie indipendenti che contraddicevano i decreti di allontanamento decisi dal
Barnevernet. La vicenda ha naturalmente scatenato un gran numero di ricorsi da parte di famiglie che chiedono la revisione dei casi di allontanamento di bambini dalle loro famiglie nei quali lo psichiatra (il cui nome non è stato reso noto per le leggi sulla privacy norvegesi) è stato parte giudicante.
Sempre nel 2018, ma nel mese di dicembre, la Polonia ha concesso asilo politico alla signora Silje Garmo, primo cittadino norvegese dalla fine della Seconda guerra mondiale accolto in un altro paese europeo a causa di una persecuzione in patria. La 37enne norvegese ha chiesto e ottenuto asilo in Polonia per sé e per la sua seconda figlia di 2 anni dopo essere stata presa di mira dal Barnevernet, che nel frattempo ha allontanato da lei la prima figlia 14enne a causa dello «stile caotico di vita» della madre, una sua presunta «sindrome da affaticamento cronico» e abuso di antidolorifici.
Ad assistere la signora Strand Lobben nel suo vittorioso appello è stato l’avvocato francese Grégory Thuan Dit Dieudonne, che così ha commentato l’esito giudiziario della vicenda: «Da anni gli attivisti per i diritti umani mettono in evidenza le pratiche distruttive del Barnevernet. Questa sentenza è un passo nella giusta direzione in materia di diritti genitoriali in Norvegia e altrove. Anche se una sentenza favorevole non permetterà di recuperare i preziosi dieci anni di vita che questa famiglia ha perso per opera dello stato norvegese».
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