
La femminista norvegese Christina Ellingsen rischia tre anni di carcere, la procura ha aperto un’indagine per “incitamento all’odio”. Che cosa ha fatto Ellingsen, leader della Women’s Declaration International (Wdi), per rischiare la galera?
Ha fatto quello che sta costando la carriera e la libertà a donne e femministe di ogni risma e paese: ha detto la verità, e cioè che i maschi non possono essere lesbiche.
«Sei un uomo. Non puoi essere una madre»
E l’ha detta non solo su Twitter, ma soprattutto in televisione rivolgendosi a Christine Marie Jentoft, consulente della potente lobby Lgbt+ norvegese per la diversità sessuale e di genere (Fri): «Tu sei un uomo. Non puoi essere una madre» , «normalizzare l’idea che gli uomini possano essere madri è una forma definita di discriminazione contro le donne».
Il fatto è che questo Jentof è un maschio biologico che si definisce una femmina lesbica e una “madre in guerra” (qui la sua storia personale, nella quale denuncia l’odio selvaggio di femministe radicali, cristiani ed estremisti di destra che, invece di accettare «la sua identità di donna lesbica», «credono che io sia un uomo etero»). Cosa che ha portato Ellingsen a twittare senza mezzi termini lo scorso ottobre: «Perché [la FRI] insegna ai giovani che i maschi possono essere lesbiche? Non è una terapia di conversione?». E ancora, «In che modo aiuta le giovani lesbiche quando anche i maschi (come Jentof, che si picca di supportarle) affermano di essere lesbiche?».
Amnesty accusa la femminista di “molestie”
I tweet hanno mandato su tutte le furie Jentof (la femminista ha confermato a Reduxx che è stato lui a denunciarla per incitamento all’odio), ma soprattutto Amnesty International Norway, che ha accusato Ellingsen di aver molestato Jentof, sostenendo in tv che fosse un maschio.
Tutto normale no? Come quando Jentoft (che a differenza di Ellingsen vanta una “doppia protezione”, per motivi di identità di genere e per motivi di orientamento sessuale) invitava i bambini omosessuali a venire ad abbracciare la “mamma”:
«Cari bambini queer di tutte le età. So che non tutti abbiamo dei genitori che ci amano. Ma grazie a un video di Facebook voglio informarvi che in realtà sono una mamma certificata. Quindi, se avete bisogno e desiderate un vero abbraccio da una mamma ™ , sarò felice di accontentarti».
Dire la verità è “incitamento all’odio”
Ricapitoliamo: un uomo può sostenere e “impunemente” che i maschi possono essere femmine, lesbiche e madri, insegnare ai giovani che tutto questo è perfettamente logico, razionale e normale, ma se una donna gli dà del matto finisce accusata di molestie da un’organizzazione che difende i diritti umani e rischia il carcere per incitamento all’odio.
Accade in Norvegia, dove lo scorso anno è sta inclusa «l'”identità di genere” tra i possibili oggetti di crimini d’odio. È lo stesso proposito del ddl Zan, attualmente ripresentato al Senato. Se lo Zan diventasse legge, anche qui dire che un uomo non può essere madre o che l’utero in affitto è un abominio sarebbe perseguito come reato», sottolinea Marina Terragni raccontando sul FeministPost l’incredibile vicenda di Ellingsen.
Norvegia, dove si avverano i ddl Zan
È dalla fine degli anni Novanta che la Norvegia si vanta dell’aver fatto dello scambio tra i sessi un’arte: complice la Fri, apripista in Europa della liberazione delle parafilie sessuali dalle diagnosi di disturbi mentali, pionieri della considerazione di sadomasochismo e feticismo quali varianti dell’eccitazione sessuale. Qui dal 2016 i bambini che hanno più di 6 anni possono cambiare sesso sui documenti legali. Qui, nonostante la Fri si stia battendo per una riformulazione gender neutral, nelle normative sui diritti dei bambini la parola “madre” ha ceduto il posto a “donna che ha partorito”. A questo proposito, cinque anni fa il governo ha annunciato un progetto estremamente ambizioso in materia: arrivare entro il 2032 alla eliminazione di tutti i riferimenti al sesso biologico, soppiantandoli con “indicatori gender neutral”.
E ora cosa succederà a Ellingsen? Nel 2021 un cittadino norvegese è stato condannato a 21 giorni di carcere e a una multa di 15 mila corone norvegesi (oltre alle 3 mila di spese legali, qui la storia pubblicata da Nrk) «per essere stato giudicato colpevole di “insulto” e “disorientamento sessuale” di un uomo trans-identificato su Facebook – sottolinea ancora Terragni -. Oggi tutti possono liberamente dirsi “donna”, tranne le donne. Per una donna dire “io sono una donna” e “un uomo non può essere madre” è diventata una pratica politica in sé».