Il coach licenziato perché pregava torna in campo, prega e si licenzia
Un cerchio che si chiude, finalmente. Nell’America che sostiene entusiasticamente chi afferma che gli uomini possano avere il ciclo mestruale e che 2+2 non faccia 4, perché il rigore dei numeri è palesemente discriminatorio in quanto privilegia chi si prepara in aritmetica e non in gender studies, a un allenatore di football americano ci sono voluti sette anni per vedersi riconoscere il diritto di pregare. Pregare in campo, da solo, in un angolo, senza costringere nessun altro a farlo.
Pregare in campo è costituzionale, dice la Corte Suprema
Ci è voluta la Corte Suprema, uno degli ultimi baluardi di buon senso in una nazione distrutta dal lassismo, dal politicamente corretto, dalla follia buonista, quella che (è successo a Chicago) non riuscendo a frenare una sorta di epidemia di furti d’auto fa causa a due case automobilistiche perché non hanno predisposto adeguate misure di protezione contro i furti medesimi. Un’America che si è arresa, ma non del tutto, e la sentenza della Corte Suprema lo conferma. La vicenda l’avrete già letta su Tempi: era il 2015 quando Joe Kennedy, all’epoca 46enne, era stato visto inginocchiarsi al centro del campo e recitare una breve preghiera al termine di ogni partita della squadra della Bremerton High School di Seattle. Da solo, nel punto dello stadio teoricamente più lontano dal pubblico.
In realtà, Kennedy lo faceva dal 2008 e nessuno se n’era fatto un problema, ma il guaio era accaduto – l’ironia… – quando un coach avversario si era congratulato con i dirigenti scolastici della Bremerton per non aver mosso alcuna obiezione al gesto. Per forza: nessuno di loro si era accorto di nulla per quegli otto anni, e anche questo indica quanto poco invasiva fosse la pratica. Venuta a conoscenza del fatto, l’amministrazione, per ingraziarsi i Democratici e i media, lo aveva prima invitato a smettere, cosa che Kennedy aveva fatto ma solo per qualche partita, poi lo aveva sospeso a tempo indeterminato (con stipendio pieno, peraltro equivalente a soli 7.000 euro annui) per avere violato, nella sua funzione di pubblico ufficiale, la separazione tra religione e stato.
La preghiera dopo la partita
Gli avvocati di Kennedy si erano subito opposti con un’argomentazione semplice che alla fine, dopo questi lunghissimi sette anni, si è rivelata vincente: la preghiera avveniva dopo la partita, in un momento in cui la sua responsabilità sui giocatori, e dunque il suo ruolo di dipendente pubblico, venivano meno. «A partita finita del resto c’era chi nello staff telefonava per prenotare un ristorante o leggeva le email o salutava parenti e amici, mentre i giocatori si sparpagliavano a fare cose simili». Sul fatto che poi unirsi a Kennedy in preghiera fosse potenzialmente considerato utile dai giocatori per ottenere più minuti in campo basta dire che dopo un po’ ai ragazzi della Bremerton High School se n’erano aggiunti alcuni delle squadre avversarie, che per ovvi motivi, a partita già conclusa, non avevano alcun interesse a farlo.
In più, Kennedy era un viceallenatore, non il capo, e quindi le sue possibilità di influenzare le scelte tecniche erano pressoché inesistenti. Eppure, guai a porsi di traverso ai fondamentalisti, incapaci di digerire il fatto che qualcuno pregasse per conto proprio e fosse un esempio con la sua orgogliosa modestia: il credo moderno è quello del virtue signaling, cioé dell’ostentazione di banalità sventolate come virtù (ne avete letto a proposito della campagna propagandistica della ATM milanese), e quindi al rogo chi non solo non sbandiera ma si fa i fatti suoi, se i fatti suoi sono contrari alla religione politicamente corretta.
Ma la battaglia antirazzista di Kaepernick piaceva a tutti
Peccato solo che per sostenere questa battaglia di civiltà ci siano voluti sette anni: a fine 2022, finalmente, la Corte Suprema aveva votato 6-3 in favore di Kennedy, assegnandogli anche 1,7 milioni di dollari di risarcimento. Tra i tre membri contrari Sonia Sotomayor, il cui percorso del resto non faceva presupporre altro, visto il suo impegno ideologico a sostegno di tutto il castello propagandistico del politicamente corretto. Interessante il fatto, evidenziato con successo dai legali di Kennedy, che proprio nelle settimane in cui erano iniziate le preghiere, Colin Kaepernick, quarterback dei San Francisco 49ers della NFL (il massimo campionato di football), aveva intrapreso la sua battaglia contro il presunto razzismo delle istituzioni, e le violenze della Polizia, inginocchiandosi al momento dell’inno nazionale.
Kaepernick non era un pubblico ufficiale, ovviamente, ma era evidente come il medesimo gesto fosse stato accolto in maniera radicalmente diversa dai media, perlopiù critici con il coach e perlopiù invaghiti dal quarterback, che in spregio alla polizia aveva persino fatto il riscaldamento indossando calzini che raffiguravano un agente con sembianze di un maiale.
Le dimissioni di Kennedy (e un futuro in politica?)
E ora? Beh, vittoria concreta e vittoria morale, per Kennedy: che sabato scorso si è inginocchiato, rispettando le regole che l’indispettita dirigenza scolastica gli aveva imposto, cioè che non ci fosse alcun giocatore nel raggio di 12 metri. Pochi giorni dopo, però, si è licenziato: in questi anni infatti, oltre ad ottenere un master per darsi maggiori possibilità di trovare lavoro, si era trasferito in Florida con la famiglia, per assistere il padre della moglie, e il suo ritorno a Seattle era stato solo temporaneo.
«Credo che sarò più libero di continuare a difendere la libertà di parola e culto prevista dalla nostra costituzione se agirò al di fuori del sistema scolastico. Continuerò a lavorare per aiutare la gente a capire e apprezzare questa storica sentenza della Corte», ha detto. Possibile anche un coinvolgimento politico: nel 2016 Kennedy aveva partecipato a un comizio di Donald Trump e di recente, con la moglie, a una cena con Ron DeSantis, avversario di Trump per la candidatura repubblicana, ma alla richiesta dell’attuale Governatore della Florida di appoggio in campagna elettorale ha risposto di avere comunque preferenza per Trump.
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