Il coach di football licenziato perché pregava e la libertà religiosa in America

Di Roberto Gotta
01 Maggio 2022
Il caso di Joseph Kennedy, che a fine partita si inginocchiava in campo per ringraziare Dio ed è stato cacciato dalla squadra del liceo, arriva alla Corte Suprema. «E se si fosse inginocchiato contro il razzismo?»
football kennedy

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Licenziato per aver pregato, da solo, in mezzo a un campo da football, a partita finita. In poche parole, è quanto successo a Joseph Kennedy: nel 2015, ma la vicenda è emersa in tutto il suo vigore pochi giorni fa, quando è arrivata alla Corte Suprema la controversia tra Kennedy e il distretto scolastico di Bremerton, 50 chilometri a ovest di Seattle, dunque spicchio nordoccidentale degli Stati Uniti. La prima scintilla di quella che, negli anni successivi, è diventata una sorta di caccia alle streghe nel nome, paradossalmente, dell’inclusività, termine composto da nebbia e fumo ma costantemente in bocca a quelli che la interpretano a senso unico.

Fede religiosa e libertà di espressione di culto

Kennedy, assunto dalla Bremerton High School nel 2008, già dal primo campionato era solito inginocchiarsi tutto solo in mezzo al campo, a fine partita, e pregare, decisione presa dopo aver visto il film Facing the Giants, che racconta la storia di una squadra di liceo che sfida le avversità facendo affidamento su una forte fede religiosa. Dopo sette anni, però, qualcuno ha protestato: l’allenatore di una squadra avversaria, che ha accusato Kennedy di aver invitato alcuni dei suoi giocatori a seguire il suo esempio.

Illuminatissimi e posseduti dal politicamente corretto – che nel Nordovest è una piaga più ancora che nel resto degli Usa – gli amministratori del liceo chiesero al coach di porre fine alla pratica, per poi sospenderlo senza stipendio quando videro che aveva ripreso, sempre tutto solo. Non gli rinnovarono il contratto per il 2016 e lì partì la causa, nella quale Kennedy sostiene di essere stato privato dei diritti riconosciuti dal Primo Emendamento della Costituzione, quello cioè che impedisce allo Stato nelle sue varie forme – e la Bremerton High School è un liceo pubblico – di regolamentare la libertà di espressione e di culto.

Il “problema” dei giocatori che pregavano con Kennedy

La formulazione dell’emendamento, però, impedisce anche la creazione di una religione ufficiale e qualsiasi pratica per favorirne una su altre, e il dilemma è proprio in questo: secondo Kennedy il suo diritto alla libera espressione religiosa sarebbe stato violato, ma nei tre gradi di giudizio precedenti l’appello alla Corte Suprema è stato invece decretato che permettendogli di pregare, e soprattutto di chiedere la partecipazione di alcuni giocatori, lo Stato stesso, di cui Kennedy nella sua funzione era un rappresentante, stabiliva preferenze. Risoluzione bizzarra, volendo, perché non è che coinvolgendo atleti della propria e di altre squadre Kennedy impedisse ad alcun seguace di diverse religioni di fare altrettanto, e non era colpa sua se nessuno faceva lo stesso.

È vero, però, che era subentrato un altro particolare: molto presto infatti i giocatori, in numero sempre crescente, si erano uniti al loro coach e almeno una madre aveva sostenuto che il proprio delicatissimo pargolo fosse stato indirettamente costretto a unirsi al coach per non deluderlo, e per non essere magari discriminato al momento delle scelte tecniche e agonistiche. «Secondo me è molto semplice – Kennedy ha detto un giorno alla CBS – Parliamo di una persona che si inginocchia da sola sulla linea di metà campo, e non mi sembra che sia così complicato. Non volevo causare problemi né polemiche, volevo solo fare l’allenatore e, alla fine della partita, dire una preghiera di ringraziamento».

E se si fosse inginocchiato contro il razzismo?

Il verdetto della Corte Suprema verrà reso noto nei prossimi giorni, con una previsione iniziale favorevole a Kennedy anche perché la maggioranza dei suoi membri è tendenzialmente conservatrice, e a difesa di Kennedy – ex Marine – sono intervenuti anche alcuni attuali giocatori NFL, compreso il quarterback dei Minnesota Vikings, Kirk Cousins, che hanno detto «se Joe Kennedy si fosse inginocchiato per protestare contro il razzismo quasi di sicuro nessuno avrebbe sostenuto che il suo gesto rifletteva quello dello Stato. Anzi, ci sarebbe stata la corsa a definirlo un gesto di espressione privata da proteggere a tutti i costi».

Bingo: pur senza nominarlo, il gruppetto ha tirato in ballo Colin Kaepernick e la sua protesta, ritenuta sacrosanta e mai messa in discussione dai media sbavanti. Vero che l’ex quarterback dei San Francisco 49ers non era un dipendente pubblico, ma i difensori di Kennedy sostengono che «pure l’inginocchiamento, come la preghiera di Kennedy, è coraggioso secondo alcuni e offensivo secondo altri» e va valutato nella stessa maniera. Altri atleti, però, ritengono che la particolare influenza che un coach di liceo ha sugli adolescenti a lui affidati permetta di distinguere questa da tutte le altre situazioni.

Foto di Lucas Andrade su Unsplash

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