Israele-Palestina. Abu Mazen si accorda con Hamas e cerca di forzare la mano a Israele e Stati Uniti
Abu Mazen, presidente dell’Autorità nazionale palestinese, ieri per la prima volta ha riconosciuto l’olocausto come «il più odioso crimine contro l’umanità avvenuto nell’era moderna». Parole che non hanno convinto però Benjamin Netanyahu. Il premier israeliano ha risposto ad Abu Mazen invitandolo «a rompere i rapporti con Hamas», «anziché compiacere la comunità internazionale».
Dopo nove mesi di trattative stagnanti, governo israeliano e Anp sono giunti a una nuova rottura proprio a causa dell’accordo di settimana scorsa fra Hamas, l’organizzazione terroristica che controlla la striscia di Gaza, e Fatah, che governa in Cisgiordania. Secondo il giornalista palestinese Khaled Abu Toameh, ieri intervistato da Il Giornale, la mossa a sorpresa di Abu Mazen è solo un tentativo per forzare la mano a Israele.
UN RICATTO. «Abu Mazen porterà Hamas a Ramallah, o Hamas lascerà entrare Fatah a Gaza?». Questa per Toameh è una domanda retorica. Ovviamente la risposta è negativa. «Si tratta soltanto di strette di mano, baci e abbracci», spiega al Giornale. «Abu Mazen ha arrestato migliaia di membri di Hamas e Hamas vede Fatah come un nido di traditori». Il vero scopo di Abu Mazen è che Israele decida di venire incontro alle sue richieste, piuttosto che varare un improbabile governo unitario con Hamas. «Tutte le trattative – spiega Tomaeh – fino a oggi, hanno avuto l’unico scopo di ottenere concessioni senza concedere nulla». Con la sua mossa, secondo il giornalista palestinese, il presidente dell’Anp dice: «Tenetemi o farò cose terribili, datemi cosa voglio o il processo di pace è finito».
PRIGIONIERI E NON PACE. E cosa vuole Abu Mazen? Secondo Tomaeh «i prigionieri sono il vero scopo delle sue trattative». Non i colloqui di pace. Infatti «quando Netanyahu ha rifiutato di rilasciare gli ultimi 26 ha deciso le mosse più estreme», come l’accordo con Hamas. «La popolazione vuole questo, e non il processo di pace», asserisce il giornalista palestinese. Abu Mazen non accetta la richiesta di Israele di riconoscerlo come Stato del popolo ebraico, secondo Tomaeh, perché «ha paura»: «Si attira l’odio dei profughi di terza e quarta generazione». Per questo si accontenta di ottenere i prigionieri detenuti in Israele e per farlo ha accettato di stringere la mano con chi si oppone al riconoscimento dello stato ebraico, all’accettazione degli accordi e alla rinuncia alla violenza, condizioni fondamentali degli accordi di pace voluti dall’amministrazione Obama.
RISCHIO APARTHEID. Nel frattempo gli Stati Uniti con il segretario di Stato, John Kerry, cercano di mettere un freno alla politica colonialista di Israele e di riportare Abu Mazen alla ragione. E per la prima volta in assoluto, sottolinea Haaretz, Kerry, parlando settimana scorsa alla commissione Trilateral, ha evocato l’apartheid sudafricana per definire l’ipotetico scenario che si configurerebbe qualora i colloqui di pace dovessero fallire. Secondo Kerry, la soluzione dei due Stati è l’unica vera alternativa, infatti «uno Stato unitario finisce per essere uno Stato in cui vige l’apartheid, con cittadini di seconda classe, oppure uno Stato che nega a Israele la capacità di essere uno Stato ebraico».
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