Suheila vive in un container e lo ritiene un enorme passo avanti rispetto a pochi mesi fa, quando doveva dormire per terra. Un tempo che sembra ormai lontanissimo, anche se dista solo sette mesi, casa sua era Mosul, la città irachena conquistata a giugno dallo Stato islamico. Oggi invece è lo Sports Club Center di Ankawa, quartiere di Erbil, capitale del Kurdistan. «Grazie, grazie», dice con la sua voce da anziana a chi le dà notizia del cambio di domicilio. «Questo è davvero un grande passo avanti e sono grata. Ma in generale, ovviamente, questa non è più vita. Abbiamo perso tutto e la cosa peggiore è che non sappiamo quando e se saremo in grado di tornare nella nostra terra natia».
«NESSUNO È ARRABBIATO CON DIO». Come riportato dalla sezione americana di Aiuto alla Chiesa che soffre, Suheila è scappata due volte: prima da Mosul, poi da Qaraqosh, dove aveva temporaneamente trovato riparo. «Prima siamo andati a Qaraqosh. Ma quando lo Stato islamico è avanzato ad agosto, siamo dovuti scappare di nuovo. Ora ci troviamo qui ad Ankawa da quattro mesi ma nessuno è arrabbiato con Dio: fortunatamente siamo ancora tutti vivi».
RICOMINCIA LA SCUOLA. Ora le cose cominciano a cambiare. Più di settemila bambini hanno ripreso la scuola e delle attività vengono organizzate durante il pomeriggio. Anche gli adulti «riprendono in mano le loro vite. Molti hanno trovato lavoro a Erbil», continua padre Daniel. Tanti invece vogliono andarsene dall’Iraq, «ma sono anche molti quelli che vogliono tornare alle loro case nella piana di Ninive».