Iran. In piazza la generazione che ha conosciuto soltanto il regime
Al grido «Morte al dittatore» centinaia di migliaia, forse milioni, di iraniani stanno minacciando ormai da una settimana la stabilità di un regime oppressivo e teocratico che da 43 anni guida e controlla la Repubblica nata dalla Rivoluzione islamica contro lo shah Mohammad Reza Palhavi nel 1979. Gli aggiornamenti si susseguono continuamente con almeno 80 città, tra cui la capitale Teheran, teatro di manifestazioni senza un regia precisa e senza leader costate ormai quasi decine morti: 17 secondo i bilanci ufficiali, oltre 30 secondo l’Ong Iran Human Rights (Ihr). Tra le vittime adolescenti, donne e anche esponenti delle forze di sicurezza come i temutissimi basij, il corpo ideologico parte dei Guardiani della rivoluzione incaricato di mantenere la sicurezza interna, ad ogni costo.
La morte di Mahsa Amini per mano della polizia religiosa
La capitale Teheran, e centri urbani di particolare importanza come Shiraz, Mashhad, Qazvin e Garmsar sono stati tutti teatro di proteste. Nonostante molti osservatori siano cauti nel definire quanto sta accadendo una “rivoluzione”, la portata e la forza delle proteste di questi giorni potrebbe rappresentare un punto di svolta per il futuro non solo del governo guidato dall’ultra conservatore Ebrahm Raisi, ma anche per la leadership della guida suprema, l’83enne Alì Khamenei, il successore di Ruhollah Khomeini. Ormai anziano e malato, Khamenei dal 1989 “veglia” sulla tenuta degli ideali rivoluzionari e dei suoi simboli, tra cui quel nijab, il velo scuro che copre la nuca delle donne iraniane.
Proprio un nijab è costato la vita alla 22enne Mahsa Amini, la giovane curda originaria di Sedeq, arrestata a Teheran lo scorso 13 settembre dalla polizia morale per aver “indossato il velo in modo inappropriato”, e morta il 16 settembre in un ospedale della capitale iraniana dopo essere entrata in coma. La Gasht-e Ershad (letteralmente Pattuglie della guida) ha derubicato la morte della giovane ad un attacco cardiaco, ma la famiglia di Mahsa ha negato che la ragazza soffrisse di patologie e lasciando intendere che la giovane sarebbe entratra in coma per le percosse ricevute durante l’arresto e il successivo trasferimento in caserma.
Proteste e repressioni dal Kurdistan all’Iran
Il decesso di Mahsa per una cosa considerata futile da gran parte dei giovani iraniani ha prima scatenato un’ondata di indignazione generale e con le prime repressioni violente nel Kurdistan, epicentro delle proteste, ha spinto migliaia di persone ha organizzare proteste che ormai non hanno più una connotazione geografica o etnica, ma di massa. Rispetto ad altre ondate di protesta, come quelle del 2019 sostanzialmente contro la crisi economica, costate 1.500 morti, quelle in corso sono differenti per una serie di ragioni: le prime a scendere in piazza sono state le donne; la modalità di protesta è la dissacrazione del velo, simbolo del regime teocratico; i manifestanti non sono “pacifici”, ma cercano di colpire per quanto più possibile il braccio di questa oppressione ovvero le forze di sicurezza.
Ormai non si contano più i video di assalti contro stazioni di polizia e i membri delle forze di sicurezza, tra cui appunto i basij. Il network con sede a Londra “Iran International” legato ai dissidenti all’estero, ha diffuso resoconti di manifestazioni e soprattutto di assalti contro le forze dell’ordine. Il 21 settembre, nella piazza Tajrish di Teheran, i manifestanti sono scesi in strada con lo slogan “Morte al dittatore” e nella zona di Narmak hanno intonato slogan antigovernativi e dato fuoco ai bidoni della spazzatura.
Morti e feriti tra manifestanti e forze di sicurezza
I video diffusi da Mashhad mostrano che i manifestanti in questa città stanno usando bombe molotov per contrastare la repressione delle forze di sicurezza. Ad Abadan, città al confine con l’Iraq e sede della più grande raffineria del Paese, i manifestanti e le donne che si sono tolte il velo hanno circondato e picchiato un agente di polizia. I media iraniani, non fanno quasi menzione delle proteste e dei bilanci effettivi dei civli uccisi o feriti, ma non nascondono gli attacchi alle forze di sicurezza. L’agenzia di stampa semiufficiale legata ai Guardiani della rivoluzione iraniana, Fars, ha affermato che tre paramilitari basij “mobilitati per affrontare i rivoltosi” sono stati uccisi con armi da taglio rispettivamente nelle città di Tabriz (nordovest dell’Iran), Qazvin (nella parte centrale dell’Iran) e Mashhad (nel nordest del Paese).
Un altro esponente delle forze di sicurezza è stato ucciso il 20 settembre durante le proteste nella città di Shiraz, a circa 650 chilometri dalla capitale Teheran. Un funzionario della provincia di Mazandaran, sulla sponda meridionale del Mar Caspio, ha affermato ai media iraniani che almeno 76 membri delle forze di sicurezza sono rimasti feriti nella provincia durante i disordini, mentre il comandante della polizia del Kurdistan ha annunciato che più di 100 esponenti delle forze di sicurezza sono rimasti feriti.
Il regime limita le comunicazioni
La repressione delle proteste è stata brutale e sistematica, con le orze di sicurezza che hanno utilizzato tattiche ben collaudate nelle precedenti rivolte antigovernative. I video che scorrono sui social media mostrano i manifestanti che affrontano grandi schieramenti di agenti di polizia antisommossa, che li hanno presi di mira con colpi di arma da fuoco e cannoni ad acqua e li hanno picchiati con i manganelli. Secondo l’ong Hengaw, le repressioni più violente sono avvenute nella regione del Kurdistan: 17 morti, 733 feriti e oltre 600 arresti. Secondo l’Ong Ihr, undici persone sono rimaste uccise il 20 settembre nella città di Amol, nella provincia settentrionale di Mazandaran, sul Mar Caspio, e sei a Babol nella stessa provincia.
Come già avvenuto nel 2019, le autorità iraniane hanno limitato le comunicazioni, rendendo difficile organizzare le manifestazioni e condividere informazioni su internet. In questi giorni, infatti, le manifestazioni hanno avuto una eco internazionale dopo molti giovani iraniani hanno usato i social media per diffondere anche all’estero i video delle proteste, in cui sono state bruciate immagini della guida suprema, ayatollah Ali Khamenei, e del defunto generale dei Guardiani della rivoluzione, Qassem Soleimani, il pianificatore della grande espansione iraniana in Siria, Yemen e Iraq ucciso da un drone americano all’aeroporto di Baghdad il 3 gennaio 2020. Molte giovani hanno inoltre diffuso video in cui bruciano il velo o in cui si tagliano i capelli per condannare la morte di Mahsa Amini.
Calciatori e hacker
Il direttore della ricerca di NetBlocks, Isik Mater, ha affermato che WhatsApp è stata la prima piattaforma ad essere presa di mira nella giornata del 21 settembre, seguita poco dopo da Instagram. «Questo è stato seguito in poche ore da una diffusa chiusura di Internet con un forte impatto sulle reti mobili», ha riferito Mater all’emittente Abc. Infatti, a dare ulteriore slancio all’ondata di proteste contro il regime è stata anche la solidarietà mostrata da alcuni personaggi famosi, come l’ex giocatore della Bundesliga Ali Karimi, ben 11 milioni di follower su Instagram, che in un post ha dichiarato: «Non sto cercando alcun incarico politico o potere. Sto solo cercando la pace, il comfort e il benessere di tutti gli iraniani, in tutta la nostra grande e vasta terra».
Il noto giocatore di calcio iraniano ha condiviso decine di post con video e immagini delle proteste, facendo luce sulla repressione da parte delle autorità. La chiusura di siti e social media ha provocato anche la “reazione dall’estero” con il collettivo Anonymous, il gruppo di hacker più famoso del mondo, che lo scorso 22 settembre ha lanciato un attacco informatico contro l’emittente televisiva pubblica dell’Iran, la Banca centrale, il sito del governo, la presidenza della Repubblica e della guida suprema iraniana.
Il regime organizza contromanifestazioni
Provenendo da una “rivoluzione”, gli apparati del regime iraniano stanno preparando la loro contromossa propagandistica, come già accaduto in altre ondate di manifestazioni avvenute in questi anni in Iran. Le autorità religiose sciite e i vari apparati del regime stanno organizzando una vasta serie di contromanifestazioni per condannare i recenti disordini e soprattutto per spaventare la popolazione che dissente. Il 23 settembre il Consiglio di coordinamento della propaganda islamica della provincia di Teheran ha organizzato una marcia per la capitale dopo la pregiera del venerdì. Il quotidiano filo-governativo “Kayhan” ha dato ampio spazio all’organizzazione delle manifestazioni a favore del governo in programma domani.
«La volontà del popolo iraniano è questa: non risparmiare i criminali», si legge in un editoriale pubblicato sul quotidiano. Per scoraggiare ulteriormente nuove manifestazioni, i temuti Guardiani della rivoluzione iraniana, hanno diramato un comunicato in cui chiedono alla magistratura di perseguire “coloro che diffondono notizie false e voci”. Nella dichiarazione, i pasdaran hanno espresso solidarietà alla famiglia e ai parenti della giovane curda, ma hanno lanciato un avvertimento: «Abbiamo chiesto alla magistratura di identificare coloro che diffondono notizie false e voci false sui social media così come per strada e che mettono in pericolo l’incolumità psicologica della società e di affrontarli con decisione».
Il momento economicamente difficile dell’Iran
I disordini giungono in momento particolarmente difficile per l’Iran. L’economia è in crisi cronica dal 2018, anno dell’uscita degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare iraniano, e della conseguente reimposizione delle sanzioni. Il tasso di inflazione annuale ha raggiunto in luglio il record del 54 per cento, e la crescita resta bassa per un Paese considerato in via di sviluppo (3,4 per cento nel 2022) a fronte di due anni di recessione devastante nel 2018 (-5,4 per cento) e 2019 (-7,6 per cento). L’età media su una popolazione di 83 milioni di abitanti è di soli 31 anni e ha un tasso di disoccupazione da oltre dieci anni sopra il 10 per cento che per i giovani tocca, secondo stime dell’International Labour Organization (Ilo) intorno al 27, 21 per cento (dato del 2021).
I timori per la salute di Khamenei
Molti dei giovani iraniani che stanno scendendo in piazza non hanno vissuto né la Rivoluzione di Khomeini, né la guerra con l’Iraq (1980-1988) che ha formato i quadri di gran parte dell’establishment del Paese rafforzando le basi ideologiche e patriottiche che hanno sostanzialmente consentito al regime di resistere per tutti questi anni. Nel frattempo il Paese resta bloccato nelle negoziazioni per il rilancio dell’accordo sul nucleare che consentirebbe all’industria petrolifera di sfruttare gli alti prezzi del greggio e del gas.
Altro timore è l’eventuale aggravamento delle condizioni di salute di Khamenei, che ha recentemente cancellato tutti gli incontri e limitato le apparizioni pubbliche a causa dell’aggravarsi delle sue condizioni di salute. Il 16 settembre il New York Times ha riferito che la guida suprema avrebbe subito una delicata operazione chirurgica per una ostruzione intestinale. Kahemenei è riapparso brevemente in pubblico il 17 settembre per celebrare l’osservanza religiosa sciita dell’Arbaeen, ma il dibattito sulla sua successione e sulle sue modalità e conseguenze è ormai divenuto quotidiano sia in Iran che all’estero.
Foto Ansa
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