
Io lo so perché vogliono far fuori la bestia Matteo Salvini

Articolo tratto dal numero di febbraio 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.
Scusate se non sono fesso: non è che non vediamo i limiti di Matteo Salvini. Sopra di tutti, il farsi Denim, l’uomo che non deve chiedere mai. Un contare solo su se stesso e darla a intendere come faceva il Brecht poeta di Stalin, «dopo di me? Niente degno di nota». Non mi piace chi augura la galera. Non mi piace chi va in giro per citofoni scortato dalle telecamere. Non mi piace chi va per il mondo come se fosse sempre allo stadio da capo curva e perciò ci deve sempre lanciare l’ola con un video o con un post. Detta questa ovvietà, davvero gli vogliamo dare dell’uomo nero? “La Bestia”? Ma non fatemi ridere. La Bestia. Pessima definizione divenuta vulgata giornalistica dopo che l’Elefante è tornato a ciurlare nel manico in compagnia dei magnifici Francesco Merlo, Suca Suca e Gnammi Gnammi.
L’odio? Le sardine? Il razzismo? Le solite balle raccontate miliardi di volte. Prendete quello che hanno fatto a Berlusconi. E i popoli dei fax, e i girotondi, e le dame bianche e le minchie viola. Con i Repubblica–Corriere a rappresentare sempre la stessa resistenza del sotto e sopra bosco romano a ogni riforma dello Stato. Berlusconi aveva preso più voti di tutti i partiti di tutta la storia repubblicana. Ma infine avrebbe potuto cambiare qualcosa venendo da Milano. Perciò andava ucciso, in collaborazione con tutte le chiattone del mondo che non si fila nessuno, ma che hanno ganzi in Paradiso. Porco. Ladro. Mafioso. Solo la Chiesa a un certo punto aveva capito che Berlusconi era un campione. E meno male che è passato lui, meno male che per vent’anni ha retto il colpo. Meno male che ha avuto tutti quei soldi per affrontare processi che avrebbero sterminato parecchie generazioni di leader politici.
Ora, siccome l’acqua non la puoi fermare, ucciso politicamente Berlusconi (e Formigoni), devi uccidere il carisma fisico di Salvini. L’unico buon commento alla vittoria di Bonaccini è che lo Stato profondo romano – le sue curie, le sue corti, le sue direzioni nei ministeri, i suoi bankitalia – ha ancora un bastione a Bologna. E così può andare avanti a misurare l’Italia sul modello centralista che tiene in saccoccia il Pil del Nord e impedisce l’emancipazione del sud. Questo è il giochino che deve finire. Ma che non può finire finché il complesso dei poteri di ancien régime, che si coprono le pudenda alla sifilide con la famosa Costituzione più bella del mondo, sussiste nel gioco a far fuori ogni liberatore che viene dal Nord.
Ennesima riprova di quanto stiamo dicendo? Non la mostro io. La mostra Industria felix magazine, trimestrale, rivista su cui a gennaio è comparsa una maxi inchiesta partita da un’analisi dei bilanci di 140 mila società di capitali scelte sulla base di indicatori elementari (almeno 1 milione di fatturato e 10 addetti nel 2007) allo scopo di verificare quali e quante di esse si fossero poi mostrate resilienti rispetto alla crisi. Conclusione dell’indagine nella suggestiva sintesi del direttore Michele Montemurro: se dovessimo misurare l’Italia in base alla crescita ininterrotta delle imprese negli ultimi undici anni, soltanto tre regioni occuperebbero più della metà della superficie totale del paese. E sono le regioni che chiedono l’autonomia differenziata: Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna.
Avete capito dove è stato un po’ pirla Salvini? Nel credere sul serio ai cinquestelle e a non prendere decisioni di andarsene dal governo prima di capire come avrebbe continuato nel solco delle tre uniche boccate d’ossigeno che l’Italia aveva sperimentato nel suo breve governo da ministro degli Interni: il blocco dell’immigrazione clandestina, la pace fiscale, la flat tax al 15 per cento.
Dopo di che, per me può suonare tutti i citofoni che vuole (ma basta celebrare la galera e mai più stare con i manettari che graffiano con le famose unghie di Taide). Bisogna solo battere Roma, la rovina dell’Italia. Pardon, rovina finché la capitale sarà una condanna anzitutto per i suoi cittadini. Dovrà scorrere sangue perché un giorno l’Italia rialzi la testa. In questo senso, dalle sardine alla Cei, tra i tanti pensieri per aiutare gli ultimi, sembra che non pensino mai a come si fa ad aiutare gli ultimi se si tagliano i rami di chi sostiene tutti, dai primi agli ultimi. E chi sostiene tutti? La libertà. Materia su cui la sinistra non ha niente da insegnare. Mentre i Salvini, Meloni, Berlusconi, non hanno niente da perdere.
Foto Ansa
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