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Un’intervista da leggere. Quella di Alberto Macchi, fratello di Lidia

La riapertura del caso non ha, per ora, dato risultati, se non quello di gettare fango sul movimento di Comunione e liberazione. Le parole di Alberto mettono a posto le cose

Redazione
23/03/2016 - 10:51
Interni
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La Stampa ha intervistato Alberto Macchi, fratello di Lidia, la ragazza uccisa il 5 gennaio 1987 a Cittiglio (Va) e di cui abbiamo riportato tempo fa una sua splendida lettera in cui raccontava il suo incontro con il movimento di Comunione e Liberazione. A ventinove anni dal delitto, il caso è ancora irrisolto anche se, solo pochi mesi fa, è stato arrestato un sospetto, Stefano Binda. Ma il caso, anziché dipanarsi e andare verso una conclusione, si è ingarbugliato. Le prove portate dalla Procura non paiono così solide, come inizialmente si era dato ad intendere, e Binda si proclama innocente. I sospetti si sono poi allargati anche a un sacerdote, amico di Binda, don Giuseppe Sotgiu che, fanno intendere gli inquirenti, coprirebbe il presunto assassino. La sua salma è stata riesumata ieri alla ricerca di qualche prova del dna del killer.
Fin qui, la cronaca semplificata della vicenda che, in verità, sui giornali è stata caricata di particolari e ipotesi giornalistiche al limite del romanzesco. Sotto traccia – ma nemmeno troppo “sotto” – traspare dai resoconti dei quotidiani un giudizio fortemente polemico nei confronti del movimento di don Giussani, a più riprese presentato come una sorta di mafia in cui vigono inconfessabili segreti e calcolati depistaggi. «C’è tanta omertà ancora oggi. Neanche a Palermo è così», scrive, ad esempio, la
Stampa fornendo un parallelo strampalato, in primis perché la stessa famiglia Macchi appartiene a Cl (il padre e la madre di Lidia sono entrati nel movimento dopo la morte della figlia. Un fatto che dovrebbe far riflettere i denigratori dei ciellini).
L’intervista concessa da Alberto rimette le cose un po’ a posto in una storia che s’è molto incancrenita. La riportiamo di seguito per intero.

Alberto, cosa ha pensato dopo l’arresto di Binda, ex compagno di liceo di sua sorella?
Non so neanche se è stato lui. Io non sono colpevolista a tutti i costi, finché non dimostrano che lui è il colpevole.

Tempi a Caorle per il Premio Luigi Amicone 2023 - Chiamare le cose con il loro nome Tempi a Caorle per il Premio Luigi Amicone 2023 - Chiamare le cose con il loro nome Tempi a Caorle per il Premio Luigi Amicone 2023 - Chiamare le cose con il loro nome
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Ma c’è la lettera anonima, “In morte di un’amica” arrivata a casa vostra il giorno dei funerali, attribuita a lui da una perizia…
Se un perito dice che l’ha scritta Binda, due ragioni dovrebbe darle. Potrebbe anche sbagliare il perito.

Come ha fatto Patrizia – amica di Lidia e a quel tempo innamorata di Stefano – a riconoscere dopo quasi 30 anni la sua grafia?
In realtà Patrizia ha detto che qualche dubbio su Binda lo ha sempre avuto (ai magistrati ha detto di averne parlato con un fidanzato e poi con il marito, ndr). Raccontò che una volta erano vicino casa nostra, in macchina, e lui le disse di fermarsi perché voleva buttare un sacchetto al parco Mantegazza (oggi messo sotto sequestro per cercare l’arma del delitto, ndr).

Quindi secondo lei Binda potrebbe essere innocente?
Il comportamento strano non fa di lui l’assassino. Io ho una mente scientifica, o trovano delle prove o io non metterei in gabbia qualcuno senza esserne sicuro. Magari Binda non confessa perché non è stato lui. Se non c’è niente, possiamo anche mettere la parola fine a questa storia.

Non volete la verità?
Certo, infatti ci siamo rimessi di nuovo in gioco quando si sono aperti altri spiragli investigativi e abbiamo acconsentito alla riesumazione del cadavere per cercare tracce di Dna. Ma la nostra ragione di vita non è trovare l’assassino di Lidia.

Che rapporti aveva Binda con Lidia e la sua famiglia?
Mi sorella Stefania, che è quasi coetanea di Lidia, dice che non lo frequentava da un anno e mezzo. E anche Binda dice che non la vedeva più tanto da tre anni. Nessuno, nemmeno Paola Bonari (l’amica che Lidia andò a trovare la sera dell’omicidio all’ospedale di Cittiglio, ndr) sapevano che Binda si drogava. Io so come funzionano le dinamiche tra gli amici dentro Cl. Può anche succedere che non ti vedi a lungo.

Come subito dopo il delitto, si torna a parlare di coperture, depistaggi e anche di omertà dentro Cl. Cosa pensa?
Trovo il termine “omertà” offensivo. Nell’ambito di Cl c’è sempre stata una grande riservatezza che non vuol dire sapere e non dire nulla, ma non accusare qualcuno senza motivo.

Il capo della Mobile di allora, Giorgio Paolillo, dice che i ragazzi di Cl arrivavano agli interrogatori con versioni concordate ed erano coordinati tutti dallo stesso avvocato.
Non volevano rischiare di farsi fuori tra amici a suon di dichiarazioni. Anche io mi chiedo se sia più giusto mettere in pericolo tutti e andare gli uni contro gli altri, anche tra amici, oppure essere prudenti se non si è sicuri di quello che si dice.

C’è un’altra figura in questa storia che appare e riappare. È don Giuseppe Sotgiu, amico di Binda, primo tra gli indagati nel 1987 e in questi mesi più volte interrogato. I pm lo considerano reticente e sospettano un favoreggiamento. Il giorno dell’omicidio andò anche lui a trovare Paola in ospedale e casa sua, a Brebbia, stesso paese di Binda, dista dieci minuti di macchina dal luogo del ritrovamento del cadavere.
Sì, ci sono una serie di coincidenze, ma pare avesse un alibi. Sotgiu e Lidia si conoscevano sempre per via di Cl.

Interrogato, Sotgiu ha detto di non ricordare di essere venuto a cena a casa vostra proprio con Binda dopo l’omicidio. E ha dichiarato di non avervi visto alla sua ordinazione sacerdotale a Torino.
Mi madre è molto sicura di entrambe le cose. Anche io ero piccolo, ma ricordo quel viaggio a Torino. Mi hanno detto infatti che dopo l’incidente probatorio, i magistrati volevano indagarlo per reticenza.

Ha detto che secondo lui quella non è la scrittura di Binda.
Infatti ha detto che gli ricordava di più lo stile di Roberto Bechis (uno degli amici di Cl che ha ritrovato il corpo di Lidia e che oggi vive in Cina, ndr). Certo è strano: invece di dire il nome di un altro di cui non sei sicuro, potresti restare in silenzio.

Lidia aveva nella borsa una composizione in cui parlava di «amore impossibile». Si sono fatte tante ipotesi (un sacerdote, un uomo sposato, un omosessuale), anche che fosse una preghiera a Dio. Che idea vi siete fatti voi?
A noi risulta che Lidia fosse innamorata di un altro ragazzo di Cl. Si chiama Angelo Sala, è un memores domini (un laico consacrato, ndr) e vive a New York.

Foto Ansa

Tags: Comunione e Liberazionelidia macchiLuigi Giussani
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