Mud, una festa nata da una domanda
Troppo spesso sentiamo notizie con protagonisti studenti che vivono in maniera tragica un mondo universitario apparentemente incapace di stare di fronte al loro bisogno di senso. Dal 20 al 22 marzo, centinaia di ragazzi hanno dato vita al Mud, Milano University District, in Piazza Leonardo Da Vinci in Città Studi. Un evento nato dalla speranza che ci sia una risposta a questo bisogno. Questo articolo tenta di raccontare la ricchezza dei tre giorni in cui si è tenuto l’evento.
Una piazza riempita da incontri e mostre nella cui realizzazione si sono implicati più di trecento studenti del Politecnico e della Statale di Milano, appartenenti al Clu (Comunione e Liberazione Universitari): da chi spiegava le mostre a chi gestiva le luci e l’audio del palco, da chi si è occupato delle infinite questioni burocratiche a chi si è preoccupato di pulire e gestire i rifiuti. Il tutto è partito da alcuni di loro che, dopo l’alluvione in Emilia-Romagna e la guerra in Ucraina, eventi che sembravano raccontare solo un’umanità afflitta o disumanizzata, si sono chiesti: cosa permette di rimanere umani? Cosa rende l’uomo “uomo”? Questa domanda, che ha dato il titolo alla prima edizione dell’evento, è stata poi declinata in vari ambiti, in particolare tre: lo studio, il lavoro, le fatiche e i dolori grandi o piccoli. Da questi tre ambiti sono nate le tre esposizioni del Mud, nella cui realizzazione sono emersi i temi trattati successivamente nelle serate e negli incontri.
Ansia e monotonia
Nella prima, “Studiare è fare un uomo”, si è partiti dai testi di Mariella Carlotti (“Io studio, per cosa?”) e di Marco Bersanelli (“Solo lo stupore conosce”) per fissare lo sguardo sull’attrattiva da cui parte lo studio, chiedendosi se è possibile mantenere uno scopo adeguato alle fatiche che questo richiede, indagando il ruolo del maestro e della compagnia in questa sfida. C’è un fatto esplicativo per capire il riscontro degli altri studenti davanti a questa esposizione: il primo giorno una ragazza, Carlotta, è rimasta colpita a tal punto da questo desiderio di vivere pienamente la vita universitaria tanto da aprirsi con chi le stava spiegando la mostra (perfette sconosciute fino ad un attimo prima) raccontando di soffrire d’ansia per lo studio; finita la spiegazione era così contenta da promettere che sarebbe tornata portando famiglia e amici. E si potrebbero raccontare tanti altri aneddoti come questo: studenti, ma anche professori, rilanciati da un desiderio posto davanti a loro da un altro, ma subito avvertito come proprio.
Per accompagnarsi in questo lavoro è stato preparato da alcuni ragazzi della Statale uno spettacolo teatrale intitolato “Cerco solo un sussurro, in un mondo che grida”. Questo momento è stato pensato con lo scopo di evidenziare l’esigenza di una vita universitaria non determinata esclusivamente dall’ansia per le cose da fare e dalla noia per la monotonia del quotidiano. A testimonianza che questa vita è possibile sono stati invitati Marco Bersanelli – docente di Astrofisica e Meccanica all’Università degli Studi di Milano – e Caterina Pizio – professoressa di Matematica e Fisica presso il liceo Sacro Cuore di Milano – che hanno raccontato le loro vite in relazione alle domande della mostra.
Il mestiere di vivere
La realizzazione della seconda esposizione “Tra un po’ non avrai più vent’anni e la vita diventa un mestiere”, è stata guidata dall’esigenza degli studenti di misurarsi con il proprio futuro da lavoratori. La mostra ha ripercorso le vite di tre grandi imprenditori accomunati da una concezione del lavoro non come qualcosa di disumanizzante, bensì come ambito fondamentale per la realizzazione della persona: Michele Ferrero, Francois Michelin e Vittorio Tadei.
Molti sono rimasti colpiti da una posizione così diversa da quella che abitualmente si percepisce in università dove gli studenti sembrano dover essere preparati esclusivamente ad ottenere la performance migliore. Alcuni adulti che hanno ascoltato i ragazzi spiegare la mostra hanno persino chiesto di presentarla nelle loro aziende. Per andare più a fondo in questo confronto sono stati chiamati Alberto Sportoletti, Amministratore Delegato e Partner di Sernet SpA e Docente di Management e Scelte Strategiche all’Università di Milano Bicocca; Ugo Comaschi, dipendente presso Fastweb e membro di “AAA Lavoro”; e Giuseppe Mantovani, Capo stalla presso un’azienda agricola zootecnica nel cremonese: tre figure del mondo del lavoro, diverse tra loro per ambito di pertinenza, salario e prestigio della carica. Questo incontro è stato pensato con il fine di mostrare la possibilità di vivere il proprio lavoro, qualunque esso sia, in modo aderente alle esigenze più profondamente umane di ognuno.
La strada di McCarthy
L’ultima mostra, “Una strada nella vita”, è nata dal bisogno di stare davanti al dolore senza venire schiacciati da esso. Per affrontare questo tema l’esposizione è ruotata intorno al libro di Cormac McCarthy “La strada” presentandosi come una provocazione: come stare di fronte a tutto il male che ci circonda, da quello che sentiamo nei telegiornali a quello nel proprio quotidiano? Come stare con i propri amici davanti a questo dolore? Qual è la speranza ultima che abbiamo nel dramma? A queste provocazioni è seguita la proposta di una strada umana possibile in mezzo alle sofferenze, testimoniata in modo concreto da certe persone e certe realtà, come quella di Kayròs, associazione fondata da don Claudio Burgio per aiutare minorenni in difficoltà, brevemente presentata alla fine del percorso espositivo.
La cosa più commovente per chi ascoltava la presentazione della mostra (ma anche per chi la spiegava) è stata scoprire di non essere soli davanti alle domande che il dolore inevitabilmente porta con sé. Una studentessa turca alla fine della spiegazione ha detto: “Spesso pensi di essere da sola nel dolore, di aver solo tu queste domande, invece sono cose che viviamo tutti”. Per approfondire i temi della mostra ci sono stati due incontri: il primo con don Claudio Burgio, prima citato; il secondo con Davide De Santis, fondatore della Mongolfiera, associazione che si occupa di aiutare famiglie con figli afflitti da disabilità.
Una risposta vissuta
Il Mud si è concluso con una festa con musica dal vivo, ma si può dire che tutti i tre giorni siano stati una grande festa: la riscoperta della possibilità che l’Università sia casa per le proprie domande e luogo fertile per una crescita veramente umana. Alla domanda “Cosa rende l’uomo ‘uomo’?” non è stata data una risposta teorica, ma offerta la possibilità, anche solo per un istante, per chiunque passasse per la piazza in quei giorni, di una risposta vissuta: a rendere l’uomo “uomo” è la stessa irresistibile e misteriosa passione alla vita che ha permesso a questi studenti la realizzazione di un evento come il Mud.
Rimane da farsi solo un augurio: che questa festa possa non finire dopo questi tre giorni, che possa non finire mai.
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Paolo D’Errico è studente di Architettura al Politecnico di Milano
Giovanni Marzegalli è studente di Filosofia presso la Statale di Milano
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