Lettere al direttore

Volete un’indicazione di voto? Mai a sinistra

I giornalisti nella sede del PD prima della conferenza stampa per discutere i risultati delle amministrative a Roma, 13 giugno 2022
I giornalisti nella sede del PD prima della conferenza stampa per discutere i risultati delle amministrative a Roma, 13 giugno 2022

Ho sentito anche io che è caduto il governo e ci saranno elezioni all’inizio dell’anno scolastico. Politicamente so di essere semianalfabeta, proprio nel senso che sono fermo alle tabelline; cioè a quando il grandissimo padre Scalfi, amico fraterno di don Giussani (che scherzosamente lo chiamava “il superiore” perché abitava nel monolocale sopra il suo nell’accogliente casa delle suorine di Via Martinengo) e altrettanto fraterno amico del popolo russo, avvicinandosi il tempo delle campagne elettorali, agli amici che chiedevano consigli, con voce tonante gridava: «Mai con i comunisti e con i loro solidali, mai a sinistra» e oggi aggiungerei: “anche se arruolano Giuliano Ferrara”.

Siccome mi si può consigliare di stare zitto, utilizzerò parole di altri raccolte in questi giorni. A darmi la sveglia è il titolo a caratteri cubitali del giornale La Verità del 27/07/2022: “Generazione rovinata da Speranza & C” e sullo stesso numero un accorato ma convincente intervento di Massimo Gandolfini che finisce dando sfogo ad una giusta rabbia con queste parole: «La posta in gioco è davvero alta, si tratta di scegliere (nella fattispecie si parla della gravissima questione della teoria gender a scuola, nda) fra chi sostiene l’ideologia gender con l’artificio di negarla, e chi la riconosce contrastandola ogni giorno dal parlamento alle scuole». E conclude: «Dunque oggi più che mai vale il dire o noi o loro!».

Vengo al dunque avendo chiare solo alcune cose: so che il mio voto non servirà a nulla perché non potrà cambiare nulla (mi sono accorto anche io che “la cosa pubblica” è in mano al sottobosco parlamentare, che noi conosciamo con il nome di burocrazia). Burocrazia non è una figura retorica ma una persona in carne ed ossa comodamente seduta dietro una scrivania… oltretutto ben remunerata… e i posti sono già tutti occupati! Una seconda cosa chiara è che l’astensione non ha mai insegnato nulla ai politici perché, purtroppo, la cosiddetta “volontà popolare” è, per loro, solo appunto una “cosiddetta”!

E allora cosa fare? Il tallone di Achille è nel loro bisogno sfrenato di visibilità quindi io vado a votare perché, fino a quando non arriveranno i cinesi, resta un mio diritto garantito dalla Costituzione. Non vi siete accorti che ai cosiddetti uomini politici interessa solo la visibilità mediatica? E questo loro bisogno che bisogna offendere con l’astensione totale dei roboanti comizi che ci vorrebbero affliggere fino alla vigilia del voto. Non ditemi che questo è impossibile. Allora sarebbe la fine. Però fateci un pensierino perché, grazie ad un’astensione totale con indici di ascolto pari a zero, per un paio di settimane, vuoi vedere che qualcosa tenderà a muoversi? Un’altra volta cercherò di dare una svegliatina ai “nostri” perché l’occasione mi pare ghiotta!

Don Antonio Villa, Tarcento

Il nostro don Villa: chiaro, essenziale, cristallino. Volete un’indicazione di voto? Mai a sinistra.

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Leggo l’intervista all’on. Massimiliano Salini e non mi spiego la frase conclusiva («le stranezze si verificano quando poi si aprono i dibattiti in Italia e sembra esserci la corsa a chi la spara più grossa, una cosa che piace al popolo ma che poi, quando chi la spara più grossa ha il potere per le mani, diventa un pericolo pubblico»).

L’on. Salini – mi domando – fa per caso riferimento a sparate come quella di ragguardevole calibro del 22 luglio 2021? La ricordo: «L’appello a non vaccinarsi è un appello a morire sostanzialmente – non ti vaccini, ti ammali, muori – oppure fai morire – non ti vaccini, ti ammali, contagi lui lei muore -, questo è».

L’on. Salini, poi, si dice contrario a certe «critiche un po’ vecchie riguardo alle politiche europee», «argomenti staccati dalla realtà, fondati sulla mancata consapevolezza della situazione in cui versa il bilancio italiano». E io mi domando: l’attuale Unione Europea – non chiamiamola Europa, sono due cose ben diverse, chiamiamola Unione Europea – esiste solo per controllare il bilancio italiano? E l’Italia sta nell’attuale Ue – non chiamiamola Europa, sono due cose diverse – solo per farsi controllare il bilancio e farsi dare i compiti dalla maestra?

Concludo dando ragione all’on. Salini su di un punto: continuano a circolare critiche un po’ vecchie, è vero. Ad esempio quella contro la rigidità del sistema Ue-euro. Idee talmente vecchie che, pur in in un contesto diversissimo, circolavano già nel 1950: «Nel recente Consiglio europeo tenutosi in Roma fu accolta l’idea di rendere più elastico lo statuto e più variata la graduazione degli impegni» (discorso al Senato del Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, 15 novembre 1950).

Non è detto che un’idea o una critica siano sbagliate perché “vecchie”. Quel giorno De Gasperi si pronunciò contro «qualche cosa che limiti le nostre forze reali, che diminuisca, comprima e deprima il nostro sentimento nazionale italiano» e disse: «la base di tutte le cooperazioni è la nazione, in un consorzio di nazioni libere».

Consorzio di nazioni libere: mi sembra un’idea ragionevole, ancora oggi.

Paolo Facciotto via email

Io capisco che l’Unione Europea possa stare sulle balle, si figuri, non deve venire a dircelo a noi, sono trent’anni che sbattiamo la testa contro il superleviatano burocratico europeo. Ma si devono fare anche i conti con la realtà.

Salini – che non è certo un europeista sprovveduto, legga qui la sua intervista in cui, discutendo di auto elettriche, parlava di scelta «ideologica neosovietica» – stava facendo riferimento a quelle critiche col pilota automatico che spesso si sentono anche da noi. Invece bisogna entrare nel merito e riconoscere cosa c’è di buono e cosa no.

E tenere conto del fatto che, come ha certificato l’ufficio studi della Bank of America, «negli ultimi due anni e mezzo, l’era del Covid, il nostro è il Paese che ha ricevuto più aiuti (in percentuale sul Pil) per sostenere e rilanciare l’economia. Fra ristori del governo, impegni internazionali, Pnrr, stanziamenti della Bce, sul nostro Paese sono piovuti 1.379,3 miliardi, pari al 68,9% del Pil 2021, ripartiti fra 972,6 miliardi di stimoli statali ed europei, e 406,7 di stimoli monetari, cioè quantitative easing, Pepp (il rafforzamento del Qe varato nel 2020) e Tltro per le banche».

In altre parole: siamo un paese in mutande, vediamo di non farci togliere anche quelle.

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Con riferimento alla recente maturità, il cui esito ha confermato parecchi dubbi circa efficacia e utilità, credo che il più scottante problema sul futuro della scuola si configuri come problema di formazione culturale. Il momento difficile rende problematico il concetto di educazione e di formazione personale. È da qui che bisogna ripartire, e impostare una riforma, se si vuole affrontare seriamente il problema del ruolo della scuola.

La scuola è, o meglio dovrebbe essere, luogo in cui si realizza la trasmissione di un patrimonio culturale ampio, di una concreta trasmissione del “sapere”, di una varietà di conoscenze, non ristrette alle specifiche discipline , capace di rendere ciascun studente critico e al tempo stesso maturo nell’affronto della realtà.

Il dramma del nostro sistema scolastico è di non riuscire più a dare punti di riferimento capaci di orientare la vita individuale e sociale dei giovani. E ciò finisce per determinare negli alunni pressapochismo culturale e indifferenza.

La scuola deve dare senso all’insieme degli apprendimenti, organizzati attorno ad un progetto culturale, poggiato sulla promozione in ciascun studente della “singolarizzazione del suo esistere”, ciò che forma in ognuno autosufficienza e razionalità.

Giancarlo Tettamanti via email

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