La preghiera del mattino
In questo degrado anche il “giornale partito” farà la fine dei giornali di partito?
Sulla Nuova Bussola quotidiana Ruben Razzante scrive: «Clamorosi retroscena raccontati dall’ex pm di Mani pulite Gherardo Colombo nel libro di Carra sono la riprova di quanto fosse perverso il rapporto tra giustizia, politica e informazione in quegli anni. Che ci fosse un meccanismo collaudato di finanziamenti occulti alla politica non v’è dubbio, ma è altrettanto innegabile che ci furono molti abusi nella gestione delle inchieste e che la sinistra fu in molti casi graziata, mentre la persecuzione giudiziaria riguardò soprattutto Democrazia cristiana e Partito socialista. Ma la questione della trattativa andata a monte la dice lunga sulle ragioni ispiratrici delle inchieste. Se i politici del vecchio pentapartito si fossero fatti da parte dopo le prime accuse del pool, non ci sarebbero state manette, processi, condanne e si sarebbe realizzato un ricambio politico con l’avvento della sinistra al potere. La trattativa fallì solo perché i politici non cedettero e resistettero asserragliati nei Palazzi, fino a quando comunque capitolarono perché gran parte di essi finirono nel tritacarne mediatico-giudiziario. Tornano alla mente le parole scritte da Sergio Moroni all’allora presidente della Camera, Giorgio Napolitano, prima di spararsi: “Non mi è estranea la convinzione che forze oscure coltivino disegni che nulla hanno a che fare con il rinnovamento e la pulizia”. Dunque la furia giacobina di quelle toghe ha distrutto la Prima Repubblica con l’intento di costruirne un’altra governata da altre forze politiche. Un golpe mediatico-giudiziario che avrebbe meritato ben altro esito e che, in ogni caso, non è riuscito ad abbattere chi, come Silvio Berlusconi, si oppose fin da subito a quelle logiche. Se però a dire queste cose oggi è addirittura uno dei carnefici dell’epoca significa davvero che la verità su Tangentopoli non era quella raccontata in quegli anni dai media».
Gherardo Colombo racconta come il pool milanese cosiddetto di Mani pulite propose al sistema politico che reggeva la Prima Repubblica uno scambio tra una confessione e una resa di questo sistema, al fine di evitare conseguenze giudiziarie per i suoi esponenti. È evidente in questa ricostruzione il ruolo incostituzionale che viene ad assumere un settore della magistratura che, invece di fare il proprio lavoro di perseguire i reati, si mette a indicare soluzioni politiche, e contando sul seguito popolare riesce anche a impedire al Parlamento, titolare delle scelte politiche in uno Stato democratico, di esercitare il proprio lavoro. Naturalmente una via come quella percorsa dai pm milanesi sarebbe stata impossibile senza un accordo con parte del sistema politico stesso (innanzi tutto gran parte del Partito comunista e della sinistra Dc). Ed è ugualmente evidente come questo stravolgimento degli equilibri nello Stato non potesse che provocare un ampio degrado della nostra democrazia.
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Su Dagospia si riprende un’intervista al Fatto quotidiano di Massimo Cacciari dove si dice: «Sciaguratamente si è scelto di contrastare Berlusconi sul piano giudiziario e morale invece che su quello politico».
Nella fase successiva al 1992-’93, quando larghi settori della società italiana puntarono sulla vittoria di Silvio Berlusconi nelle elezioni del 1994 per contrastare la disgregazione della nostra democrazia iniziata nel 1992, si sarebbe potuto rimettere in moto un processo di risanamento della nostra politica, se solo establishment e sinistra avessero scelto, come ricorda giustamente Cacciari, la via della battaglia sui contenuti contro Berlusconi. Invece scelsero la via dell’uso delle indagini penali e degli scandali per delegittimarlo, fino ad arrivare, tra il 2008 e il 2011, all’iniziativa di Giorgio Napolitano che, ritenendo di poter governare la democrazia italiana dall’alto, di fatto la consegnò a un’influenza “da fuori” che svuotò ulteriormente la razionalità del nostro sistema politico, finendo per produrre un movimento di protesta senza proposta, i grillini, che nel 2018 arrivarono al 32 per cento.
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Su Formiche Fernando Proietti dice: «È sotto gli occhi di tutti che in Italia, per effetto della scomparsa dei partiti di massa, la personalizzazione della politica ha provocato un anche uno scadimento del sistema dei media tradizionali (e non). Tant’è che sono stati abbandonati in massa dai propri lettori. Il caso più emblematico di questo tracollo è il quotidiano di Eugenio Scalfari, la Repubblica. Bollato a torto o a ragione come un “giornale partito” (di centrosinistra, erede dell’esperienza laica e radicale del Mondo e dell’Espresso), una volta arrivata a conclusione la leadership politico-culturale del suo fondatore il quotidiano, oggi di proprietà degli eredi Agnelli, rischia, appunto – per diffusione e influenza –, di fare la fine dei giornali storici di partito: l’Unità, il Popolo, l’Avanti, la Voce Repubblicana».
Come spiega con finezza un osservatore di qualità come Proietti, il degrado della democrazia italiana ha provocato un declassamento generale della società italiana, a partire dalla stampa più autorevole che ha finito per diventare essenzialmente propagandistica (talvolta istericamente propagandistica), non essendo più in grado di offrire analisi razionali di quel che avviene nella nostra società.
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Su Dagospia si scrive: «Nella partita per i posti in commissione vigilanza Rai, Giuseppe Conte si è mosso con grande abilità. Peppiniello ha lavorato su due tavoli: da un lato ha stretto un accordo con il Partito democratico per impedire a Maria Elena Boschi di diventare presidente. Dall’altro ha intavolato una trattativa con i meloniani dialoganti, molto vicini a Giampaolo Rossi, per piazzare la sua “cocca” Barbara Floridia alla presidenza della commissione».
Sono, poi, evidenti anche i processi di ulteriore degrado del sistema politico italiano in atto in questi giorni, che si manifestano con le grottesche vicende del duo Carlo Calenda-Matteo Renzi o con lo stile woodyalleniano, da dittatrice del libero stato di Bananas, che Elly Schlein sta imponendo al Pd. E tentativi non mancano per disgregare anche il destra-centro oggi al governo. In questo clima, che peggiorerà se non si mette mano a vere riforme necessariamente anche costituzionali del nostro sistema politico, avventurieri privi di reali vincoli di principio o di rapporti sociali strutturati, oggi forse condizionati solo da Pechino, come Giuseppe Conte (e il suo guru Beppe Grillo) possono trovare un largo spazio, come dimostra anche la vicenda “vigilanza Rai”.
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