La preghiera del mattino
«Il partito di centro lo sta facendo la Meloni», dice uno che il centro lo conosce bene
Su Affaritaliani Giulio Sapelli dice: «Mi sembra che abbiano fatto i miracoli. Il ministro Urso è una persona di grandissima competenza, di grande esperienza internazionale; Giorgetti è in continuità con Draghi. Vedo questo governo in continuità, più che in rottura, con la precedente esperienza. Io poi ho delle mie idee, più radicali, sulla politica economica: non voglio un’economia di Stato, ma piuttosto la voglio pubblica, i cosiddetti common goods, che sono tutt’altra cosa. Mi sembra che il governo stia andando in quella direzione sia con Ilva che con Priolo».
Non mi sembra sbagliato il giudizio di Sapelli sul governo Meloni, sul mix realizzato tra l’affrontare l’emergenza e il delineare un programma di legislatura, tra il tener conto dei rapporti di forza nell’Unione Europea ed evitare la totale subalternità espressa nel passato da tecnici superloffi tipo Mario Monti.
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Sulla Zuppa di Porro Nicola Porro scrive: «Il centrodestra candida alla presidenza della regione Lazio l’ormai ex capo della Croce rossa italiana Francesco Rocca. Lo ammetto, non lo conoscevo. Ma da come oggi lo trattano i giornali, ho già capito che mi sta simpatico. Repubblica, infatti, ricorda che a 19 anni fu condannato a 2 anni e 3 mesi di reclusione per spaccio di droga. Mi sta simpatico perché una destra che candida “uno spacciatore” che ha pagato il suo conto con la giustizia, è una destra che può capire meglio le questioni della droga, della giustizia, delle condanne e del fatto che si possa cambiare nella vita. Non mi dispiace questa idea del condannato per droga alla Regione Lazio, anche perché nel frattempo ha fatto miliardi di cose: ha lavorato in Regione, ha diretto cliniche, è stato a capo della Croce rossa».
Ecco un giudizio del mio vecchio amico Porro particolarmente interessante perché smaschera il disperato (ancor più dopo i casi Soumahoro e il Qatargate) moralismo peloso di Repubblica, mette in evidenza le nuove caratteristiche di una destra non più forcaiola e fa riflettere su come il superamento dell’illegalità e della corruzione richieda meno moralismo e più moralità della politica, compresa un’attitudine antropologicamente ragionevole al perdono.
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Su Fanpage Valerio Renzi scrive: «Subito dopo tocca ad Elly Schlein che parla di una manovra economica del governo “contro i poveri e non contro la povertà”, una legge marcatamente “di classe, una manovra ideologica che redistribuisce la ricchezza verso l’alto”. La candidata alla segreteria chiede ai suoi interlocutori “concretezza”, “dobbiamo dire al governo tutte e tutti insieme: giù le mani dal reddito di cittadinanza”».
Fanpage racconta di un incontro pubblico nella sede nazionale di Arci promosso dalla rete di attivisti Up – Attiviamoci e dall’associazione Nonna Roma – che nella capitale si occupa di mutualismo e di sostegno a nuove e vecchie povertà – nel quale si sono confrontati il segretario di Sinistra italiana Nicola Fratoianni, la parlamentare e candidata alla segreteria del Partito democratico Elly Schlein e il capogruppo alla Camera del Movimento 5 stelle, il super “contiano” Francesco Silvestri. A interloquire per la segreteria nazionale della Cgil c’era invece Francesca Re David. Nelle parole in questo incontro della Schlein si intravede la sua idea di sinistra: un luogo dove si collega una fiducia senza riserve in una globalizzazione non governata se non nei suoi aspetti ecologici, alla George Soros (un’ideologia che incontra un certo seguito in settori di ceto medio alto, il cosiddetto partito delle Ztl), a una politica sociale non più centrata sull’idea del lavoro produttivo ma su quella di una sorta di assistenzialismo neoperonista che assecondi la vocazione a quello che Luca Ricolfi definisce un signorilismo di massa, con la formazione di una vastissima generazione di Neet (né studio, né lavoro, né preparazione al lavoro) sostenuti dal reddito di cittadinanza e dediti al culto delle Chiare Ferragni, delle chat di Whatsapp, di Pornhub e di Netflix.
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Su Formiche Calogero Mannino dice: «È Meloni che sta facendo il partito di centro. Castagnetti e la sinistra democristiana hanno rinunciato al voto e alla rappresentanza politica dei ceti medi. E siccome ho evocato anche qualche conversazione del ’92 con Violante, quando mi espose l’idea che, spaccando la Democrazia cristiana, la sinistra democristiana e il Partito comunista sarebbero stati al potere per cinquant’anni, vorrei citare un concetto di De Gasperi: la funzione della Democrazia cristiana è quella di tenere dentro il binario della democrazia e della libertà il ceto medio italiano, che si orienterebbe facilmente verso l’uomo qualunque e il movimento sociale, cioè verso il fascismo o verso il populismo».
È evidente la centralità del ceto medio nel programma della Meloni, un ceto medio considerato elemento di aggregazione fondamentale di risorse non solo economiche ma anche antropologiche della società italiana. Presto si coglieranno i risultati di questo atteggiamento anche nelle organizzazioni rappresentative di questo ceto medio (commercianti, artigiani, coltivatori diretti, piccoli imprenditori ma anche molti settori di lavoratori innanzi tutto della piccola impresa) che ancora in molti casi sono gestite da personale politico di provenienza democristiana e non privo di legami con un Pd ormai incapace di ascoltarli.
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