
Una manovra prudente e pragmatica

La legge di bilancio del governo Meloni è migliore di quanto ci si potesse aspettare. Nessuna esplosione del deficit, priorità alla crisi energetica, rispetto graduale delle promesse elettorali. La prudenza si coniuga con il pragmatismo. I provvedimenti migliori sono l’innalzamento della flat tax per gli autonomi a 85 mila euro e la cancellazione del reddito di cittadinanza a partire dal 2024. Due scelte che, insieme alla priorità per le bollette delle imprese, rendono finalmente chiara l’impostazione del governo, prima chi produce e lavora.
Le misure contro il caro bollette nella manovra
Non era scontata una manovra così, dopo anni di bonus a valanga ed espansione della spesa pubblica, che mette in chiara evidenza le priorità e disperde molti meno provvedimenti e denari di quanto abbiano fatto i governi della legislatura precedente. Positiva anche la proposta di stanziare oltre mezzo miliardo in due anni per rifinanziare la “nuova Sabatini”, diventata uno strumento strutturale di sostegno al sistema delle Pmi per l’acquisto o acquisizione in leasing di beni strumentali. La misura mira anche ad accelerare i pagamenti in favore delle Pmi per venire incontro alle esigenze di liquidità per la crisi energetica in corso.
Proprio per il caro bollette il governo stanzierà 21 miliardi sui 35 previsti dalla manovra, con credito di imposta generoso e aumentato per imprese e industrie energivore. Mentre sul bonus 110 per cento emerge la volontà di tenere a freno un incentivo che si è prestato a innumerevoli abusi. C’è una saggia prudenza anche sulle pensioni – tema elettorale caro alla Lega e a Forza Italia – dove si prevedono coperture derivanti dalla modifica del reddito di cittadinanza per l’aumento delle pensioni minime.
Mentre il tetto al contante alzato a 5 mila euro dovrebbe favorire la spesa di quei capitali non dichiarati, con la loro immissione nel circuito economico, oltre a tutelare la libertà dei cittadini rispetto alla spesa dei propri risparmi. Un provvedimento che si muove sulla stessa linea della tregua fiscale, anch’essa nella manovra. Il cuneo fiscale scenderà invece di due miliardi, in continuità col percorso del governo Draghi.
Qualche misura che lascia perplessi c’è
Ci sono poi alcune misure la cui utilità lascia più perplessi. Ad esempio, servono davvero centinaia di milioni per proteggere e promuovere il Made in Italy? O, ancora, conviene insistere sulla tassazione dei cosiddetti “extraprofitti” delle aziende energetiche, misura che si è già mostrata inefficace e non risolutiva? Ha senso, inoltre, una misura spot annuale sulle pensioni (quota 103) nel paese che rispetto al Pil spende di più in pensioni in tutta Europa? Queste perplessità non tolgono che l’impianto generale della legge di bilancio sia buono, ciò che ci si aspetta da un governo di destra senza cedimenti al clientelismo o al parassitismo pubblico. C’è molto realismo fiscale che significa prudenza sui conti pubblici, preferenza a politiche di defiscalizzazione, concretezza sul reperimento delle risorse per lo Stato.
Si riducono i bonus, non c’è spazio per aumentare dipendenti e strutture pubbliche, non ci sono grandi misure di spesa corrente improduttiva. Qualche provvedimento eccede in demagogia e superficialità, ma è comunque molto meno di quanto si è visto nell’epoca di Conte. Sul piano politico, la legge di bilancio mette in evidenza un asse per ora molto forte tra Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti, nonostante l’appartenenza a partiti diversi. C’è da augurarsi che questo approccio resti nei prossimi anni, senza che demagogia, corporazioni e interessi costituiti arrivino a dominare l’impianto fondamentale delle politiche future o a dissipare le casse statali. Questa partenza lascia comunque ben sperare. La destra fa la destra, con le sue priorità e il suo senso della realtà.
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