Il Foglio, un caso unico di giornalismo e di amicizia raccontato “da dentro”. Con molti aggettivi

Di Mattia Feltri
08 Febbraio 2015
«Qualche giorno fa, Giuliano mi ha mandato un sms: "È stata una bellissima storia, e non è finita". Cazzo, certo che no». Mattia Feltri ripercorre i vent'anni del "clan" di Ferrara

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I primi di febbraio del 1996, a due o tre giorni dall’esordio in edicola, il Foglio uscì con un pezzo il cui titolo era, più o meno, “Di Pietro e Lucibello, storie di giudici e avvocati”. Era un pezzo pubblicato in una delle zone meno nobili del giornale, eppure col tempo si guadagnò l’appellativo di “madre di tutte le querele”: si rivelò la traccia per due lustri di controinchiesta sugli eroi della rivoluzione giudiziaria e sui loro fiancheggiatori politici. Primo inciso di molti: l’autore di quell’articolo è il sottoscritto che, otto anni più tardi, avrebbe compilato l’ultimo prima di andare a lavorare altrove: una colonna in prima su una sentenza della Cassazione che assolveva Giuliano Ferrara e il Foglio da tutte le pendenze con Antonio Di Pietro.

Si trattava, dissero i giudici, di una legittima campagna politica di stampo anglosassone le cui inevitabili inesattezze (qualcuna) non salivano al carattere di diffamazione. Una splendida chiusura del cerchio. Ora, con il tramonto di una stagione e del suo leader caratterizzante, Silvio Berlusconi, di cerchio se ne è chiuso un altro e Ferrara ne è uscito per tempo, per il dolore silenzioso perché intimo, ma squassante, di chi ha vissuto in parte o per intero quel ventennio. Non è altro che il tempo che passa, e il ricordo è uno dei lampi d’infinito che salvano quel segmento inutile che congiunge la nascita con la morte.

Noi eravamo al Borghese, di cui confezionavamo i numeri zero. Dalla sera alla mattina ci ritrovammo arruolati in una cosa che si chiamava Foglio: Ferrara non cercava che una sede e un manipolo di ragazzi di bottega per realizzare l’idea partorita da Beppe Benvenuto, un quotidiano di quattro pagine con l’ambizione di spiegare le notizie anziché darle. Entrarono nelle stanze di via Hugo, a Milano, e parevano la famiglia Addams. Giuliano straripante e giovanissimo (44 anni); Benvenuto sembrava Pippo di Walt Disney, alto, dinoccolato, col codino; Sergio Scalpelli era l’opposto, basso, curvo, coi boccoli biondi; Vichi Festa (che i lettori di Tempi conoscono bene) aveva l’aria di uno del Politburo, con le sopracciglia alla Leonid Breznev; Michele Buracchio era l’incarnazione di uno statale di Nikolaj Gogol.

Oltre a me, che venivo da Bergamo ed ero finito al Borghese grazie all’intercessione di Renato Farina e Luigi Amicone, c’erano Maurizio Crippa, ora vicedirettore, e Ubaldo Casotto, diventato a sua volta vicedirettore e adesso nello staff di Maurizio Lupi. Se ne sarebbero aggiunti molti, a breve. Christian Rocca, amico fra i più cari, che collaborava con l’Indipendente, passato in seguito al Sole 24 Ore e alla direzione del mensile IL; Daniele Bellasio, con la sua storia americana che l’ha condotto dalla correzione di bozze alla vicedirezione; Nicola Porro, ora vicedirettore del Giornale; Giancarlo Loquenzi, ora a Radiorai; Pietrangelo Buttafuoco, diventato scrittore di celesti funambolismi. Si potrebbe andare avanti per pagine.

claudio-cerasa-giuliano-ferraraIl numero zero
Partecipavo alle riunioni e capivo sì e no il venti per cento di quello che si diceva; la sera rincasavo e – a Giuliano non l’ho mai detto – piangevo da quanto mi sentivo inadeguato, e prendevo la decisione di dimettermi l’indomani e che l’indomani avrei fortunatamente disatteso, per tigna, la poca che mi riconosco. Questa non è un’autobiografia, ma i bagliori della memoria servono a ricostruire un clima. Per il primo numero zero, Giuliano mi chiese un pezzo: “Chi comanda davvero a Ivrea”, cioè all’Olivetti. Di economia non sapevo niente, chiamai uno della Repubblica così tutto d’un pezzo da fottere un collega di ventisei anni: Corrado Passera, mi disse. Passera se ne andò la settimana dopo. «Se non fosse scritto così bene ti manderei via», mi disse Giuliano. Ma Giuliano è uno che dà una seconda chance a tutti.

Ci spiegava – una sola volta – che quando si fa cronaca non si usano gli avverbi, che i virgolettati sono sacri (mica i virgolettati creativi della retroscenistica di oggi), che le cose non si guardano soltanto da davanti ma di lato, di dietro, da sopra, che vanno banditi i luoghi comuni (patate bollenti e fili del rasoio), che quando si sbaglia si accettano le rettifiche e si chiede scusa. Ci insegnò, senza dirlo, che i tumulti moralizzanti sono pappa per furbini e per illusi, e che la moralità è uno sforzo su di sé costante e silenzioso. Ci formò come giornalisti, il che vuol dire averci formato come persone.

Diversi dagli sceriffi
Era l’Italia in dominio delle procure, con le tricoteuse della politica sotto al patibolo, specialmente gli ex comunisti, che non coltivando un’idea del paese contavano di prenderselo per l’esibizione umoristica di Mani pulite. Loro e gli ex fascisti, cioè chi nella Prima Repubblica aveva occupato la parte sbagliata della storia. Poi arrivò Silvio Berlusconi e come è andata si sa. Il compito che Giuliano si era assegnato era di riscrivere la favola rimettendoci dentro il grigio scaturito dallo zolfo, due elementi scomparsi dalla cinematografia manichea e hollywoodiana che era il prodotto dei giornali di allora, e anche di oggi.

Ora è difficile riassumere, ma ci si prova così: la politica non si legittima nelle cancellerie dei tribunali, che si occupano di rei e di reati, ma con il confronto delle proposte, e non è una questione di bon ton, è roba da stomaci forti, di interessi precisi, in cui gli ideali sono una sfaccettatura, e in cui contano i risultati. Lavorammo in stato di grazia, inebriati dall’inimicizia e dall’ammirazione della categoria, avevamo proposto un nuovo modo di informare, c’era cura maniacale del linguaggio, Giuliano ogni sera leggeva ogni riga prima che andasse in stampa, raccontammo un mondo diverso da quello degli sceriffi e dei tagliagole rappresentato dall’epica infantile di Mani pulite. Ricordo la risata tonante di Festa quando trovavamo qualche verbale chissà perché sperduto nei fascicoli planetari di Milano, e che correggevano la trama perfetta. Diventammo tutti amici. Festa era un secondo padre, copriva e aiutava tutti, Casotto idem, noi giovani avevamo fatto squadra e la nostra amicizia oggi è quella della caserma.

Le partite in divisa nera elegante
Una sera, un paio d’anni più tardi, Christian Rocca e io ci ritrovammo con le bozze delle pagine sulla scrivania. Giuliano e Vichi e Casotto se n’erano andati per ragioni varie e ci avevano lasciato la chiusura. Eravamo chini sui titoli, a controllare refusi e ripetizioni. Alzammo lo sguardo insieme e ci guardammo negli occhi e ci venne da ridere. Ce l’avevamo fatta.

Rocca fu promosso caporedattore. Io divenni inviato e girai l’Italia il giorno in cui Giuliano mi disse (era il ’98): è morto Pietro Pacciani, vai a Firenze, restaci quindici giorni e quando torni mi scrivi cinquantamila battute. Per un giornalista, il paradiso. La sera si andava a giocare a calcio, perdevamo sempre 15-4, ma avevamo una divisa nera elegantissima, e ci sembrava molto più importante. Si organizzavano cene a casa di Filippo Facci, giornalista formidabile, a base di polenta e gorgonzola.

Eravamo così giovani, così applauditi, che sviluppammo un orrendo complesso di superiorità, difettaccio che continua ad accomunare quelli del Foglio, passati e presenti. Ma non ce ne importava nulla, eravamo un clan, Giuliano era il capobranco indiscusso e divinizzato, gli dovevamo la vita e avevamo la certezza che il Foglio non sarebbe esistito senza di lui, verità così lampante che lui soltanto poteva ribaltare. Mi rendo conto che la sfilata di aggettivi rischia di sfondare i confini del ridicolo, ma è la nostra vita, e quegli aggettivi ne fanno parte anche con il carico di ridicolo a cui nessuna vita sfugge.

Però un ruolo lo abbiamo avuto, credo. Un giorno Ezio Mauro disse che quelli del Foglio erano il nemico più pericoloso perché erano in errore ma non grossolani, perché le copie non sono mai state tantissime ma pesavano come il piombo. Bene, oggi – per quanto fiaccato e un po’ meschino – Berlusconi partecipa alle riforme costituzionali e viene ricevuto al Quirinale da Sergio Mattarella. A capo del governo e della sinistra c’è un giovanotto che la questione morale la mette intorno al ventesimo posto, e a noi di destra e sinistra non è mai fregato di meno. Gli ex comunisti, quelli con le mani cosiddette pulite, a Palazzo Chigi sono arrivati una volta soltanto e per congiura. Tonino Di Pietro è un simpaticissimo contadino che ara il campo di Montenero di Bisaccia. Se non è una vittoria, ci assomiglia alquanto.

Nessuno di noi, tranne Christian, è diventato direttore, e comunque Christian dirige IL che è un mensile stupendamente fogliesco ma – non se ne avrà – non è il New York Times. Va bene così, va benissimo perché abbiamo avuto più di quello che pensassimo e forse più di quello che meritassimo.

P.s.: Qualche giorno fa, Giuliano mi ha mandato un sms: «È stata una bellissima storia, e non è finita». Cazzo, certo che no. Noi siamo andati al Corriere, alla Stampa, al Giornale, al Sole, alla Rai, a Mediaset, a Panorama, persino al Fatto e alla Repubblica, siamo andati dappertutto portandoci appresso un pezzetto di Foglio e un pezzetto di Giuliano. Per quel che siamo capaci, continuiamo a raccontare il mondo osservandolo da sopra, da sotto, di lato, guardati un po’ di sbieco e sopportati come i vecchi rompipalle che siamo.

@mattiafeltri

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16 commenti

  1. Tommaso

    Ma masturbarsi a vicenda in pubblico non è reato? Non è oscenità in luogo pubblico?

    PS: fantastici i fanboys e fangirls foglianti.

  2. gianni

    I grandi uomini generano sempre esseri invidiosi e livorosi. I cui argomenti alla fine si limitano alla morale da prete sul vil denaro, che peraltro oggigiorno non si nega alla sopravvivenza di alcuna testata giornalistica.
    Grazie Mattia per questi ricordi, grazie soprattutto al Foglio per essersi posto come un giornale di giudizi ed opinioni, manifestamente schierate (e non subdolamente schierande, come in zona RCS ed Espresso), saviamente argomentate e sapidamente enunciate. Sul Foglio bisogna far fatica, pensare, misurarsi e confrontarsi (per essere più liberi). Altrove, quando va bene, si sollecita eminentemente un’appartenza di storia e tradizione (di potere), o un’adesione di pancia ad una supposta superiorità di valori morali (per il potere): roba da annoiarsi a metà editoriale di prima pagina…
    W il Foglio

  3. frank

    “Berlusconi partecipa alle riforme costituzionali e viene ricevuto al Quirinale da Sergio Mattarella. A capo del governo e della sinistra c’è un giovanotto che la questione morale la mette intorno al ventesimo posto, e a noi di destra e sinistra non è mai fregato di meno. Gli ex comunisti, quelli con le mani cosiddette pulite, a Palazzo Chigi sono arrivati una volta soltanto e per congiura. Tonino Di Pietro è un simpaticissimo contadino che ara il campo di Montenero di Bisaccia. Se non è una vittoria, ci assomiglia alquanto.”

    E fra un mese o giù di li al Padre Costituente restituiscono pure il passaporto! Feltri jr sei troppo modesto, la tua vittoria è un cappotto!!!
    (Peccato soltanto per i caduti in battaglia, don Marcello Cesarone e soprattutto l’eroe Mangano, ma sono certo che voi del Foglio saprete rendere giustizia alla loro memoria presso i posteri).

    1. Raider

      Ma che veleno e acidità è venuto a rovesciare qui, Frank? Finanziamenti che ci vogliono anche per aprire un sale&tabacchi, ‘superiorità’ non si capisce di chi e a virgolette spiegate che vorrebbero alzarsi anche più su d”ingegno, se non ce la fa da solo; e zuppa & bollito per cenoni alla Caritas: in più, quello che (non) ricava con vendite al minuto e foraggio di regime e finanza neppure la “grande stampa”: una serie di allusioni/allucinazioni senza un minimo di intelligibilità: Frank! Passerà. A lei: o lei passerà così a lungo tanti brutti momenti.

      1. frank

        Che lei non intelliga, mi è evidente dal caos di parole e grammatica il libertà del suo eloquio. Se vuole una risposta da me -se non la vuole, ovviamente, “amici come prima”-, si metta prima d’accordo con se stesso e l’italiano.

        1. giovanna

          Certo che criticare l’ italiano di Raider, ci vuole una bella faccia tosta , per di più scrivendo come scrivi, caro Frank !
          E’ anche vero che rispondere nel merito , sembra diventata una chimera per tanti commentatori , mi riferisco agli acidi della tua risma !

          Comunque, un bell’articolo : mi piacciono questi articoli in cui si racconta di uomini veri, sono stanca di macchiette.

          1. frank

            Certo che ci vuole una bella faccia tosta a criticare l’italiano di chicchessia, scrivendo
            “Certo che criticare l’ italiano di Raider, ci vuole una bella faccia tosta”
            (si chiama anacoluto, apra il vocabolario e impari cos’è)

            oppure

            “E’ anche vero che rispondere nel merito”

            VIRGOLA

            “sembra diventata una chimera per tanti ”

            (Virgola tra il soggetto e il predicato, manco in seconda elementare)

            Decisamente troppo persino per un seguace di Giulianone.

          2. giovanna

            La differenza, caro Frank, è che io non sono un pallone gonfiato come te !
            Sai, Frank, scrivo tra una incombenza e l’altra e non ho MAI criticato nessuno per l’ Italiano in tanti anni che scrivo sul web, dato che a me interessano i contenuti !
            Solo che criticare Raider per l’Italiano è francamente ridicolo e non ho resistito!
            E comunque le virgole le hai messe sbagliate pure tu, prima di me, proprio il mio stesso errore, che ricalca le pause del parlato, ma non ho tempo da perdere per evidenziartelo, è tutto lì, nero su bianco !
            Ciao, acido, magari nella vita reale sei uno normale, ma a volte il web tira fuori tutte le frustrazioni di una vita !
            ( che poi, cosa si aspetta uno che fa un commento come il tuo, irritante e insulso, mi riferisco soprattutto al primo, sotto un articolo simile, che gronda umanità ?
            si aspetta un’ ovazione ? boh ! )

        2. Raider

          Che lei, con tutta la grammatica di cui dispone a suo piacimento, non intellige quello che io ho scritto solo per fare il verso a quello che ha scritto lei, dimostra che neppure lei sa quello che ha scritto né come. Non glielo chiederò, perché, se non interessa lei sapere cosa ci teneva a dire, immagini, a questo punto, quanto può importarne a me.

          1. frank

            Certo che ci vuole una bella faccia tosta a criticare l’italiano di chicchessia, scrivendo
            “Certo che criticare l’ italiano di Raider, ci vuole una bella faccia tosta”
            (si chiama anacoluto, apra il vocabolario e impari cos’è)

            oppure

            “E’ anche vero che rispondere nel merito”

            VIRGOLA

            “sembra diventata una chimera per tanti ”

            (Virgola tra il soggetto e il predicato, manco in seconda elementare)

            Decisamente troppo persino per un seguace di Giulianone.

          2. frank

            Qualche indecisione sui congiuntivi: meglio “Che lei non INTELLIGA” e “immagini quanto POSSA”.
            Detto questo, se lei pensa che quelle sue parole siano una parodia delle mie, e se dice questo con le parole di cui al paragrafo precedente, le devo -tutto sommato- delle scuse.
            Non sono vocabolario e sintassi a difettarle, ma logica e “comprensione del testo”.

          3. Raider

            Errori di battitura ne commetto a iosa, non me ne curo, visto che se ne occupa qualche altro che ne approfitta per scantonare dai post che scrive di getto come conati di acidità, conditi da riferimenti intertestuali a testa basta e a testate giornalistiche incrociate. Quindi, lei si metta pure comodo a sindacare sui congiuntivi, Franck, segno che la parodia funziona a meraviglia, assai meglio della logica che non la mette in condizione di spiegare i suoi due primi post, in cui non era chiaro né con chi ce l’aveva né a proposito di che; né perchè, anche se il senso di senso di frustrazione personale che la animava è più che evidente. Chiaro che sono problemi suoi: e se non le devo delle scuse per questo, per qualcosa di cui il suo stesso accanimento sembra accusare se stesso, posso solo ribadire, a titolo di augurio: passerà!

          4. Giannino Stoppani

            Caro Frank, non credo che si possa permettere criticare l’italiano altrui uno talmente somaro mettere l’accento grave sulla “e” finale di “perché” (“soprattutto perchè senza di lui e i suoi agganci politici”) facendola in barba pure al correttore automatico.
            Sugli altri tuoi rilievi pidocchiosi da correttore di bozze borioso è meglio soprassedere per carità di Patria.
            Se però la tua piccineria e la tua spocchia son di tale di livello da spingerti a postare qualche altra riga con codesto nome, tieni di conto che io son qui ad aspettarti.
            P.S.: io non sono un accademico della Crusca e per di più quasi sempre non ho manco voglia di rileggermi, sicché i miei scritti possono essere pure pieni di errori, ma io, a differenza di te, in genere non mi metto a criticare la prosa altrui.

  4. frank

    “Il Foglio non sarebbe mai esisto snza Giulianone” soprattutto perchè senza di lui e i suoi agganci politici, il finanziamento pubblico lo avreste visto col binocolo, e il vostro “complesso di superiorità” sarebbe sbollito a forza di cene alla Caritas, più che a casa di Facci, se aveste dovuto metterle insieme al pranzo coi ricavi delle vendite.

    1. Su Connottu

      Caro Frank,
      il suo franco travaso di bile mi è di conforto nel riconfermare la scelta di essere un lettore de Il Foglio.
      Aggiungo inoltre che, essendo collaboratore della Caritas e considerando lo stress a cui è sottoposto il suo fegato, posso con certezza affermare che le cene che si preparano da noi sono indubbiamente più genuine a quelle che si consumano a casa sua.
      Pertanto, caro Frank, l’unico complesso di superiorità con adeguate ragioni per sbollire è il suo.

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