Il conservatore serio non vuole che il mondo si disfi
Il 18 ottobre arriva nelle librerie “Manuale per conservatori seri”, l’ultimo libro di Rodolfo Casadei. Una raccolta di commenti corrosivi e riflessioni scrupolose sull’attualità, filtrati attraverso l’esperienza del giornalista inviato, che completa la trilogia iniziata con “Scritti contrari” e “Altri scritti contrari”. Nelle presentazioni già tenute a Forlì, Caorle e Pietrasanta (VIII edizione di Libropolis) l’autore ha spiegato il significato del titolo.
Manuale per conservatori seri è titolo ironico ed è segno di modestia, anche se parlare di modestia quando si fa appello alla serietà può apparire controintuitivo. Ma oggigiorno lo è: oggi bisogna essere brillanti, seducenti, leggeri; chi fa appello alla serietà si mette ai margini da sé, dichiara fin dall’inizio che non ambisce alla vittoria a tutti i costi nella lotta per l’egemonia politica, culturale o editoriale (le classifiche delle vendite di libri).
Fare appello alla serietà dei conservatori nel momento storico che stiamo vivendo serve a scongiurare un equivoco: l’equivoco di restare intrappolati nella dialettica partitica destra-sinistra. I conservatori seri non si lasciano incastrare nel dualismo destra-sinistra; piuttosto esigono che l’oggetto del dibattito sia la contrapposizione fra conservazione e progresso. Sulla dialettica destra-sinistra, il vero conservatore la pensa come Ortega Y Gassét, che diceva che «essere di destra o essere di sinistra equivale a scegliere tra due delle innumerevoli maniere che si offrono all’uomo per essere imbecille. Entrambe infatti sono forme di emiplegia mentale». Emiplegia è la paralisi di una metà del corpo. Chi rivendica un’identità di destra o di sinistra è un portatore di handicap intellettuale, perché ha rinunciato programmaticamente a una metà dei valori politici. Una comunità politica ha bisogno sia di giustizia che di grazia, di perdono, di misericordia, che sono forme superiori di giustizia; ha bisogno di ordine e di libertà, che non devono essere in contraddizione, di uguaglianza e di meritocrazia, di solidarietà e di competitività, di libertà di iniziativa economica e di garanzie sociali, del rispetto dei diritti e dell’adempimento dei doveri, di patriottismo e di cooperazione internazionale.
Salvare e non più cambiare
La vera questione riguarda l’alternativa fra progressismo e conservatorismo oggi, non al tempo di Luigi XVI, quando è nata la divisione destra/sinistra. Oggi il progresso non è più progresso: è marcia nella direzione sbagliata, è progetto di distruzione del mondo. Il motto del conservatore contemporaneo è una frase di Albert Camus, pronunciata nel discorso di accettazione del Nobel per la letteratura che gli fu assegnato nel 1957: «Ogni generazione, senza dubbio, si crede destinata a rifare il mondo. La mia sa che non lo rifarà. Ma il suo compito è forse più grande: consiste nell’impedire che il mondo si disfi». Ho ritrovato l’eco delle parole di Camus in un’intervista che ho avuto il privilegio di fare nel maggio scorso ad Alain Finkielkraut. Che mi ha detto: «“Salvare” è diventato il verbo politico per eccellenza; salvare e non più cambiare».
A questo punto ho già fatto tre citazioni di autori stranieri. Il conservatore serio cita molto perché si riconosce erede, si concepisce erede. Mentre il progressista è un orfano. Il progressista passa la maggior parte del tempo a condannare il passato, a criticare i suoi antenati che erano razzisti, sessisti, imperialisti, omofobi, ecc., il conservatore invece mostra la sua gratitudine nei confronti degli antenati, perché gli hanno dato la vita, la lingua, una storia e una cultura. Per il progressista il passato va condannato o almeno superato: il progressista è uomo (donna) che si fa da sé; il conservatore è uomo (donna) che si riconosce fatto, che si riconosce generato. La parola d’ordine del conservatore è generazione, è “io sono figlio di giganti”, la parola d’ordine del progressista è “io sono mio, io mi creo da me”.
Scruton, ma anche Pasolini
Il libro è ricco di citazioni, e qualcuno resterà sorpreso per gli autori che vengono citati. Perché ci sono sì personalità unanimemente riconosciute come pensatori conservatori: penso a Roger Scruton, ad Augusto Del Noce, a Fabrice Hadjadj, al politologo americano Patrick Deneen, a un teologo come Joseph Ratzinger. Ma sono altrettanto numerosi gli autori citati che politicamente risultano collocati a sinistra, e hanno continuato a considerarsi di sinistra anche quando ad attaccarli è stata o è tuttora la sinistra: primo fra tutti Pier Paolo Pasolini, che votava Partito comunista Italiano, ma il Pasolini degli Scritti corsari, il Pasolini di Poesia in forma di rosa («Io sono una forza del passato. Solo nella tradizione è il mio amore»), il Pasolini di “Saluto e augurio” («Difendi, conserva, prega!») è il nume tutelare dei conservatori seri! Ma lo stesso Camus, che è un ex comunista accusato di tradire la causa che è rimasto di sinistra fino alla fine, lo stesso Alain Finkielkraut, che oggi è esecrato come un reazionario e uno xenofobo, ma nasce a sinistra e non ha mai votato per il Front National o per il Rassemblement National. E ancora il filosofo tedesco-coreano Byung-Chul Han, e lo scrittore ceco-francese Milan Kundera, il filosofo tedesco Hans Jonas. Sono tutti valorizzati in questo libro.
Cos’hanno tutti costoro in comune? Hanno la preoccupazione che il mondo non si disfi. Sono preoccupati della degradazione del mondo a quattro livelli: lo stravolgimento della natura umana che riguarda il sesso e la generazione, la distruzione dell’ambiente naturale, la distruzione della cultura attraverso l’omologazione consumista, la distruzione materiale del mondo attraverso l’apocalisse nucleare come esito della lotta politica senza limiti. I conservatori seri possono avere idee diverse su questioni molto serie come le leggi giuste, il partito da votare, le tecnologie da promuovere e quelle da limitare, il posto di Dio e della religione nella società, ma sono in ogni caso consapevoli che gli stravolgimenti della natura umana, la distruzione dell’ambiente, l’omologazione culturale e la cancellazione del mondo attraverso le armi di distruzione di massa sono fenomeni e realtà legate fra loro: dipendono tutte dal nichilismo e dalla tecnocrazia, dipendono da quello che Heidegger chiamava l’”oblio dell’essere”, dipendono dalla tecnologizzazione della vita umana, dipendono dalla volontà di potenza senza freni.
Nostalgia e memoria
Paul Valery ha scritto che a rovinare i conservatori è stata la cattiva scelta delle cose da conservare. I conservatori seri che hanno imparato la lezione sanno che le cose giuste che devono conservare sono – tento un elenco – la bellezza del mondo, l’eredità culturale dei padri, le virtù sociali, la naturalità del nascere, perché il nascere continui a essere l’irruzione del nuovo inizio nel mondo, come scriveva Hannah Arendt, il senso della trascendenza, perché è il senso della trascendenza che fa barriera alle pretese politiche totalitarie, la memoria, la nostalgia in quanto fonte della poesia e bussola delle esperienze esistenziali. Dico qualcosa sulle ultime due della lista, la nostalgia e la memoria.
La nostalgia è struggimento per il ricordo di un bene che si è vissuto e che ora non c’è più. Oggi la nostalgia è criminalizzata, ci si dice che chi ha nostalgie guarda all’indietro anziché in avanti, e che le uniche dimensioni in cui l’umano si realizza sono il presente e il futuro. La nostalgia non è un crimine, è un sentimento umanissimo e profondamente positivo. Perché chi prova nostalgie sta dicendo che il bene esiste, lui lo ha sperimentato, e poi lo ha perduto. Ma se lo ha perduto è perché prima c’era. Nella vita il bene esiste, dunque la vita è bene, e l’affermazione che la vita è bene è la base di ogni civiltà e di ogni esistenza personale. Certo, il bene può venire meno: la morte di una persona cara, un tradimento, di qualsiasi genere, la fine di un amore, la fine di un’amicizia. Ma io ora so cosa è il bene, e quell’esperienza che ho fatto diventa la bussola che mi orienta nella vita: non mi accontenterò di rapporti qualsiasi, non mi farò incantare dal primo venditore di fumo, dal primo guru che passa, perché so bene cosa è il bene. Mi dedicherò a una relazione, mi impegnerò in un’obbedienza, soltanto quando farò un’esperienza che corrisponde all’esperienza di bene che ho già vissuto. Chi mi vuol far rinunciare alla nostalgia, è lui il criminale. Perché è uno che ha cattive intenzioni: vuole che io dimentichi l’esperienza di bene che ho fatto, perché quella dimenticanza è la condizione affinché possa esercitare il suo potere su di me, possa diventare il padrone della mia anima. Tutti i dittatori, tutti i guru, tutti i seduttori hanno bisogno di negare il bene che è stato, hanno bisogno della rottura col passato (vedi per esempio il capitolo ottavo, primo paragrafo del Senso religioso, volume primo di don Luigi Giussani) per rendermi inerme, informe, e poter imporre il loro potere su di me, sulla mia anima, sul mio cuore.
E qui entra naturalmente la questione della memoria. La memoria di una persona è la carta d’identità di quella persona; la memoria di un popolo è la carta d’identità di quel popolo. Noi tramandiamo una certa memoria, e non un’altra, perché ci sta a cuore definire la nostra identità in un certo modo, perché vogliamo che gli altri ci riconoscano così come noi vogliamo essere riconosciuti! L’identità è funzione della memoria; la memoria è funzionale all’identità. Che cos’è l’identità? È ciò che noi vogliamo essere in faccia al mondo, è il modo in cui vogliamo essere percepiti, in cui vogliamo essere riconosciuti dagli altri.
Conservare il mondo ma non se stessi
Cosa succede se noi non ci preoccupiamo della nostra memoria? Se uno dice: «Io vivo nel presente, la memoria riguarda il passato, non mi interessa»? Succede che della tua memoria si occupa qualcun altro. Se tu non hai cura della tua memoria, della tua memoria avrà cura qualcun altro. Quel qualcun altro decide la memoria che ti riguarda, decide quello che di te deve essere ricordato, quello che di te deve essere raccontato, e quindi decide la tua identità. Se tu non hai cura della tua identità, la tua identità la definisce il Potere, con la “p” maiuscola, come lo scriveva Pier Paolo Pasolini. Per poterti controllare meglio. Ha scritto George Orwell in 1984: «Chi controlla il passato controlla il presente. Chi controlla il presente controlla il futuro». Il punto è che controlla il presente. Non ti interessa il passato? Amico, così ti perdi il presente. Senza memoria il tuo presente è alienato, la tua identità è alienata, un altro ti controlla.
Finisco con una precisazione decisiva: il conservatore serio desidera conservare il mondo, ma non desidera conservare se stesso. La legge della vita è darsi, offrirsi, sacrificarsi. Chi non si dà non realizza il significato della propria vita. Ma per darsi bisogna che il mondo esista, che gli esseri umani esistano come soggetti culturali, spirituali, carnali. Per questo è compito nostro che il mondo non si disfi, come diceva Camus.
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