Ecco chi sono davvero questi “conservatori”. E chi no
In Italia il pensiero conservatore è poco studiato e poco tradotti sono i testi stranieri che lo illustrano, anche in considerazione del fatto che pochi sono i pensatori e molto minoritarie le forze politiche che nel Dopoguerra in Italia a questa tradizione si sono esplicitamente ispirate. Ecco allora che Conservatori. Storia e attualità di un pensiero politico, di Marco Invernizzi e Oscar Sanguinetti (con contributi di Giovanni Orsina, Andrea Morigi, Francesco Pappalardo e Mauro Ronco), pubblicato da Ares poche settimane fa è costretto a dedicare una parte dei suoi sforzi a puntualizzare che cosa non è conservatorismo. Non sono conservatori i fascisti, né i nazionalisti, né i sovranisti, né i liberali moderati, né il Partito conservatore britannico di oggi, né lo sono stati il nazionalsocialismo, la Destra storica, l’assolutismo: con tutti costoro alcuni o anche molti conservatori hanno flirtato, ma sempre e solo per scoprire a proprie spese che per quelle strade si faceva il gioco della Rivoluzione.
Perché il punto è proprio questo: conservatore è chi intende riprendere il filo del discorso politico interrotto dalla Rivoluzione del 1789. Il vero conservatore intende difendere ciò che quella rivoluzione politica e antropologica insieme non è ancora riuscita a distruggere, ma non è a favore dell’immobilità: piuttosto vuole che il progresso non sia progressista, ma fondato sul diritto naturale e sulla tradizione, sulla religiosità e il riconoscimento della trascendenza, sulle libertà personali e comunitarie (contrapposte all’astratta libertà individuale che sfocia in tirannie), sulla legittimità del sovrano e del suo esercizio di governo, che non può andare contro l’ordine della realtà stabilito da Dio.
Progresso nella continuità
«Conservatore, secondo chi scrive, è chi vuole il progresso dei singoli e della società nella continuità; chi vuole mantenere e trasmettere a chi viene dopo non solo quello che di buono vi esiste, ma anche e soprattutto quello che vi è in esso di perenne, di originario, di conforme alla legge di Dio, a una retta antropologia e al senso comune e all’esperienza, arricchito da quanto le generazioni precedenti hanno “capitalizzato” in termini di progresso e la generazione presente può aggiungervi in termini di valore. In uno slogan: chi è conservatore vuole un mondo “a misura d’uomo e secondo il piano di Dio”. E […] si oppone all’utopismo rivoluzionario che gnosticamente pretende di rifare il mondo da zero e di riplasmare la natura dell’uomo. Staccandolo dal suo Creatore e privandolo dei riferimenti temporali e soprannaturali che ne rendono vivibile l’esistenza».
Conservatori nella storia, conservatori d’Italia
Il testo si presenta intenzionalmente come un’introduzione al pensiero conservatore e non come una sintesi esauriente, perciò traccia soprattutto le mappe dei percorsi di approfondimento più che condurli a termine. Il capitolo sul profilo ideale e storico del conservatorismo offre definizioni di concetti nelle parti iniziale e finale, e nel mezzo racconta la storia che va dall’imminenza della Rivoluzione francese fino agli sviluppi contemporanei del “momento reattivo” in Europa e in Nordamerica.
Quello sul conservatorismo nell’Italia post-unitaria è essenzialmente storico, e conduce dal Congresso di Vienna del 1815 fino al governo Meloni. Nei duecento e passa anni raccontati, interessanti le pagine sull’Opera dei Congressi, il coordinamento che alimenta la presenza sociale dei cattolici nell’Italia governata dalla monarchia sabauda, in regime di “non expedit”. Il capitolo sui protagonisti del conservatorismo italiano propone una serie di nomi sconosciuti ai più di pensatori dell’età della Restaurazione, ma si conclude con personaggi più noti, come Montanelli (che non è un vero conservatore), Prezzolini e Giovanni Cantoni, fondatore di Alleanza Cattolica, la “rinascenza tradizionalista” a cui appartengono tutti i redattori e contributori del libro. Ma soprattutto identifica in Giambattista Vico il vero grande precursore del pensiero conservatore italiano, frainteso e/o interpretato capziosamente da Francesco De Sanctis, da Benedetto Croce e da Giovanni Gentile.
Libera società in libero Stato (sussidiario)
Gli autori si rendono conto del rischio di essere tacciati di anacronismo per il loro costante riferimento al mondo pre-rivoluzionario («È conservatore chiunque si rifà, mutatis mutandis, ai princìpi che hanno caratterizzato, ancorché in maniera fatalmente imperfetta, la società di prima dell’Ottantanove, cioè chi rivendica, criticamente e in misura variabile, la continuità ideale con il mondo che la Rivoluzione scoppiata in Francia alla fine del secolo XVIII in breve arco di tempo ha dissolto in tutta Europa»), ma non deflettono dai loro obiettivi («Si tratta di un’opera lunga e ardua, che richiede per prima cosa abnegazione personale, nonché “pensare per epoche” e non per giorni o “ad horas”»).
Tuttavia gli spunti per un’azione politica nell’attualità non mancano. Come per esempio quando si descrive l’atteggiamento del conservatore in materia di rapporto fra Stato e società:
«Lo Stato deve garantire all’organismo sociale complessivo, di cui è espressione, di vivere e di agire come un insieme di organi differenti e autonomi nelle funzioni, il cui operare sincronico e sintonico sotto una legge e un organo supremo garantisce all’organismo complessivo di vivere e di agire. Se il conservatore proclama e propugna il principio di totalità, ovvero che vi è un regolatore supremo della società, egli dà grande importanza al principio di autonomia e di sussidiarietà, secondo il quale i vari componenti in cui la società liberamente e storicamente si organizza hanno il diritto di vivere liberamente e le società di ordine superiore hanno il diritto e il dovere d’interferire in questa vita libera e autonoma solo per aggiungere, per sostenere, per arrivare dove la società sotto-ordinata con i propri mezzi non riesce a giungere nel fare il bene comune dei suoi membri». (pp. 93-94)
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