Giuliano Ferrara può parlare di Paolo VI? Il direttore del Foglio è stato invitato a partecipare a un incontro che si terrà nell’Aula Magna dell’Università Cattolica della città venerdì 3 ottobre. Il convegno, organizzato dalla Fondazione San Benedetto e dal titolo “Paolo VI, un Papa nella tempesta”, vedrà, oltre alla partecipazione del giornalista, anche gli interventi di Giacomo Scanzi, direttore del Giornale di Brescia, e di Graziano Tarantini, presidente della fondazione organizzatrice del dibattito. Un evento inserito nel calendario delle iniziative dell’anno montiniano indetto dalla Diocesi in occasione della beatificazione del pontefice bresciano.
«UN OPPORTUNISTA CINICO». Ma è la partecipazione di Ferrara che fa discutere, non tanto per le sue opinioni su papa Montini (anzi, il direttore del Foglio ha più volte ripreso e discusso sul suo giornale le posizioni del Papa dell’Humanae vitae) quanto per il suo curriculum di «ateo devoto» e «berlusconiano». Ad esempio, per Paolo Albini, ex presidente provinciale delle Acli, il giornalista è solo un «opportunista cinico che non si è mai occupato di Paolo VI». Medesime perplessità sono state espresse da altri esponenti del cattolicesimo democratico della città che vedono Ferrara come fumo negli occhi e che leggono il suo invito come una risposta al premio che in estate il sindaco consegnò al teologo Hans Kung, noto più che altro per le sue posizioni in netto contrasto con l’ortodossia cattolica.
SCALFARI SI’, FERRARA NO? L’organizzatore Tarantini s’è visto così costretto a precisare l’ovvio: «Innanzitutto – ha detto – la Fondazione è libera, non dipende da nessuno e ha il diritto di invitare chi vuole. Oltre a Giacomo Scanzi, ho chiesto a Ferrara di partecipare perché come personaggio a pelle mi piace molto, mi è simpatico anche se non condivido tutto quello che dice. Non capisco le polemiche, perché Scalfari vada bene e Ferrara no».
«Da posizioni laiche – ha aggiunto Tarantini -, in questi anni Ferrara ha sempre guardato con grande acume e intelligenza a quello che è andato muovendosi nella vita della Chiesa. E spesso lo ha fatto con una capacità di interrogarsi che è difficile trovare tra gli stessi cattolici. Di Paolo VI, per esempio, Ferrara ha sottolineato più volte il valore di un’enciclica scomoda, ma nello stesso tempo emblematica del suo pontificato, come l’Humanae Vitae. Ci è sembrato insomma un punto interessante con cui confrontarci».
COSA CI DISSE CAMADINI. Il presidente della Fondazione ha poi ricordato anche le parole che Giuseppe Camadini, fondatore dell’Istituto Paolo VI, proferì in un’intervista al settimanale Tempi nell’aprile del 2008. Camadini, scomparso nell’estate 2012, fu presidente della Fuci di Brescia e poi vicepresidente dell’Azione cattolica diocesana negli anni Cinquanta e Sessanta. In quell’intervista lo definimmo «il Cuccia della finanza bianca, plenipotenziario di curia e uomo cda nel Nord bazoliano».
Ebbene, fu proprio in quell’occasione che Camadini parlò indirettamente di Ferrara, rispondendo a una domanda del direttore Luigi Amicone che gli chiedeva se fosse «sospettoso degli ateti devoti». «E perché dovrei esserlo? – rispose Camadini -. È una vicenda singolare e positiva. E non lo dico perché ne auspichi una strumentalizzazione da parte dei cattolici, che devono invece da ciò rigorosamente astenersi. Ma perché tale fenomeno è importante per il contenuto che ha in sé. Per esempio, questa battaglia per la vita, per quel valore fondamentale che è la vita, creata da Dio, è bellissima. Sì, taluno potrà obiettare che va al di la del “politicamente corretto”. Ma è il segno di una significativa resipiscenza di una parte della intellettualità laicista. Mi pare sia così espressione di una nuova laicità, da parte “laica”. Per cui non bisogna misconoscerne il valore. Ma sempre senza indulgere a radicalismi. E con tensione unitiva. Senza affermare particolarismi e parzialità. Perché la verità è una. Questo è il punto: ove veramente si instaura l’autentica laicità. La verità è una. Sia che la dica il cattolico, sia che la dica il non credente. Per questo parlo di tensione unitiva. Perché, come dice la Bibbia, “omne regnum in se divisum desolabitur”. Una volta, ai tempi della Dc, mi permisi, durante un congresso provinciale, di ricordare tale massima alla estrema sinistra interna, che aveva esaltato il principio correntizio, il pluralismo delle correnti, come valore in sé e come presupposto di vitalità politica. E soggiunsi che ogni realtà che si trova divisa al suo interno, prima o poi viene spazzata via. Mi diedero del… moralista. Poi s’è visto come è andata a finire».