Giannino: Per battere la corruzione non serve una legge ma una nuova società

Di Oscar Giannino
07 Ottobre 2012
Conta e pesa la macroespansione patologica del settore pubblico. Ogni passaggio decisionale è un collo di bottiglia ideale perché corrotto e corruttore possano incrociare domanda e offerta

Hanno suscitato scandalo, in alcuni, i forti dubbi avanzati da Piero Ostellino sul fatto che la vera lotta alla corruzione nel nostro paese passi attraverso l’approvazione di una nuova legge dedicata al tema, come da reiterati richiami del Quirinale nei confronti del braccio di ferro che da mesi ha arenato il procedere del testo in Parlamento. Anch’io credo con Ostellino che il dubbio sia sacrosanto, ma non mi stupisco che a molti possa apparire ciò che non è affatto, cioè sottovalutazione dell’entità e gravità del fenomeno nella società italiana, o addirittura compiacente collusione. Come Piero Ostellino sa da una vita, siamo in minoranza assoluta in Italia a rifuggire dal pangiuridicismo organicista e strutturalista, che crede sia lo Stato attraverso leggi e regolamenti a imprimere positivamente di sé quella sorta di amorfe entità asociali che sarebbero persone e famiglie, corpi intermedi e imprese, ciascuno di essi rappresentati come intesi a perseguire solo un’idea di interesse autocentrato, darwinisticamente improntato alla legge del più forte.

Al contrario, se in Italia la corruzione è così diffusa da collocarci vergognosamente in fondo alle graduatorie comparate internazionali, le cause non derivano dalla carenze in materia di legislazione penale. Per carità, sono anch’io per recepire tutte le intese internazionali e le direttive europee in materia di lotta alla corruzione e al riciclaggio, inseriamo pure nel codice l’autoriciclaggio che manca ed estendiamo il più possibile la cooperazione tra forze di polizia e apparati giudiziari. Ma se in Italia c’è disastrosamente più corruzione che in Germania e nel Regno Unito, i motivi sono altri dai testi di legge.

Innanzitutto, conta e pesa la macroespansione patologica del settore pubblico, nel nostro paese, la sua pervasiva farraginosità autorizzativa, regolatoria, vincolistica, separata nelle banche dati pubbliche come nelle procedure per accedervi, kafkiana nelle premesse e orwelliana negli esiti. Ciascuno di questi gangli e passaggi decisionali e procedurali è un collo di bottiglia ideale perché corrotto e corruttore possano incrociare domanda e offerta. Per sveltire, aggirare, bypassare, opacizzare, e via proseguendo. Quando mai mettessimo mano a una drastica revisione del perimetro e delle sue regole pubbliche discrezionali, ne verrebbe un contenimento della corruzione impensabilmente maggiore di una più seria minaccia di carcere.

Secondo, esiste un problema serio dei corpi intermedi della società, a cominciare per esempio dagli ordini professionali, i quali a mio giudizio pressochè mai hanno una davvero buona giustificazione a esistere, e che pure asseriscono di avere come primario fine proprio rispetto e custodia delle regole deontologiche. La corruzione, come il più dei fenomeni delittuosi collegati ai grandi interessi di mafie e reti criminali, non sono possibili quasi mai, senza la piena cooperazione di commercialisti e avvocati, architetti e ingegneri. Eppure, gli ordini continuano su queste materie a non espellere nessuno, a non assumere vere misure di profilassi preventiva, non li vedi e non li senti concretamente impegnati, nella battaglia della legalità.

Terzo, anche il mondo dell’economia privata e delle imprese ha le sue responsabilità. Abbiamo dovuto aspettare non anni ma decenni, prima di assistere ai nuovi statuti per la legalità promossi e diffusi nel sistema Confindustria da Ivan Lo Bello e Antonello Montante. E siamo ancora solo agli inizi, perché nell’orizzonte di restrizione crescente della finanza pubblica molti pur di lavorare preferiscono pagare eccome, nella sanità come nelle costruzioni e opere pubbliche.

Ecco da dove nasce una svolta vera nella lotta alla corruzione, dal cuore profondo dei comportamenti concreti della società italiana e delle sue classi dirigenti diverse da quella della attuale politica, disastrata, compromessa, indegna per assenza di adeguati meccanismi di selezione, suicidariamente dedita all’autoestinzione etica. A questo proposito, che nel Pdl neppure ora, neanche adesso che Berlusconi nelle sue imbarazzanti riapparizioni straparla contro l’euro e la Germania, nemmeno di fronte al baratro si capisca che bisogna smetterla di presentare emendamenti ad personam per i suoi processi – perché questa è la vera ed evidente ragione del blocco in Parlamento del ddl corruzione – è solo il centesimo segno a conferma che il Pdl ha encefalogramma piatto.

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