Gela, raffineria a rischio. Monsignor Pennisi: «Se l’Eni chiudesse, resterebbe solo il deserto»

Di Chiara Rizzo
30 Luglio 2014
Intervista all'ex arcivescovo di Piazza Armerina (oggi a Monreale) che ha mandato un messaggio di solidarietà agli operai in sciopero: «Positive le rassicurazioni dell'ad Descalzi. Chiediamo investimenti non solo per il profitto»

Lunedì 28 luglio un lungo corteo di persone (4 mila secondo la Questura, 20 mila per i sindacati) ha attraversato le vie di Gela per chiedere all’Eni di non chiudere lo stabilimento del petrolchimico che impiega mille persone e altre 300 nell’indotto. Lo scorso 15 marzo un incendio lungo le tubazioni della cosiddetta isola 7 ha comportato il fermo temporaneo dell’impianto: all’inizio di luglio i sindacati hanno dato l’allarme sull’intenzione di Eni di congelare investimenti per 700 milioni di euro, che porterebbero alla chiusura della raffineria. È dopo questa notizia che è stata decisa la manifestazione di lunedì nella città siciliana, mentre ieri lo sciopero si è esteso ai 30 mila dipendenti di tutti gli stabilimenti Eni in Italia, con un presidio a Roma davanti a Montecitorio (foto a destra e sotto).

Al corteo del 28 luglio a Gela hanno partecipato non solo la leader della Cgil, Susanna Camusso, il sindaco Angelo Fasulo e il presidente della Regione siciliana Rosario Crocetta (che all’Eni di Gela ha lavorato per molti anni), ma – fatto più unico che raro – anche l’attuale vescovo della diocesi di Piazza Armerina, Rosario Gisana. Un messaggio di solidarietà ai lavoratori è giunto inoltre dal precedente vescovo, monsignor Michele Pennisi (oggi arcivescovo di Monreale): «Sono vicino con la preghiera alle preoccupazioni dei lavoratori e delle loro famiglie per la paventata chiusura dell’Eni di Gela e auspico una positiva soluzione del grave problema», ha scritto Pennisi, che a tempi.it ha accettato di spiegare le ragioni di questo suo gesto di vicinanza.

Monsignor Pennisi, perché ha deciso di manifestare la sua solidarietà ai lavoratori in sciopero?
Sono stato per 11 anni vescovo di Piazza Armerina e pertanto anche di Gela, e sono stato molto interessato alle migliaia di lavoratori dello stabilimento. Avevo un ottimo rapporto con i sindacati e più volte ho lavorato con i sindacati per trovare una mediazione.

Quindi non è la prima volta che si prospetta la chiusura dello stabilimento? E oggi cosa succede?
Qualche anno fa la magistratura dispose la chiusura di parte dello stabilimento, e si scatenò una forte protesta dei lavoratori. Io stesso in prima persona ho trattato con i sindacati per ricomporre la situazione e ci siamo riusciti. Ogni anno, a Natale e Pasqua, ho celebrato sempre la Messa allo stabilimento Eni, una realtà molto importante per il tessuto sociale ed economico della città, e ho sempre mantenuto un ottimo rapporto con i dipendenti. Qualche giorno fa mi hanno scritto alcuni sindacalisti e mi hanno raccontato quello che accade, del fatto che sarebbero stati bloccati degli investimenti e del loro timore che l’Eni chiuda. Noi come Chiesa abbiamo a cuore la dignità del lavoro, che garantisce non solo il pane quotidiano, ma appunto – fattore non secondario – anche la dignità della persona. In questi anni nella diocesi abbiamo sempre collaborato anche con la dirigenza dell’Eni perché si ponesse al centro l’investimento sul capitale umano.

E l’azienda lo ha fatto?
Eni da tempo ha avviato anche a Gela investimenti interessanti nella ricerca e per la produzione, anche nel rispetto dell’ambiente (un esempio è il progetto “Microalghe”, avviato nel 2010, con la realizzazione di un impianto pilota, ndr). Quando lo stabilimento Eni venne inaugurato, don Luigi Sturzo in polemica con Enrico Mattei parlò di una “cattedrale nel deserto”, in senso negativo. Oggi invece mi verrebbe da dire che se Eni chiudesse, a Gela rimarrebbe solo il deserto. All’epoca di Sturzo la polemica nasceva dal fatto che mancavano totalmente infrastrutture. Adesso invece ci sono, negli anni intorno allo stabilimento sono stati costruiti porti e autostrade e l’Eni negli ultimi anni ha cercato di lavorare anche dal punto di vista ambientale per migliorare la condizione dello stabilimento. In passato Eni da Gela ha tratto dei profitti. Certamente ora ne trae di meno, ma non può pensare di chiudere, dopo aver tratto profitto da questo stabilimento per così tanti anni.

L’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi lo scorso 19 luglio però ha assicurato: «Non abbiamo intenzione di andarcene né vogliamo toccare l’occupazione a Gela». Ha aggiunto anzi che c’è l’intenzione di investire «2,1 miliardi in diversi progetti, tra i quali la trasformazione in raffineria verde per riconvertire il personale». Poi ha spiegato che «dal 2009  in questo reparto abbiamo investito 2,9 miliardi ma in Italia abbiamo avuto perdite per 5,9 miliardi: bisogna trovare un’altra strada e sono fiducioso che si troverà», e questo avverrà, ha garantito, senza chiedere al governo accesso agli ammortizzatori sociali né contributi. Perché allora questo sciopero? Non è che i sindacati stanno strumentalizzando la paura di una chiusura, senza motivo?
Ero informato anche negli anni passati del bilancio dello stabilimento, e confermo, per quello che so, che è vero quello che dice Descalzi e che c’è stato un passivo, tanto che le catene di lavorazione sono state ridotte da tre a una. Ma l’Eni in questi anni ha promesso delle ristrutturazione e delle migliorie: c’erano progetti di sviluppo, ma la notizia che hanno ricevuto in questi giorni i sindacati è stata una doccia fredda, perché hanno saputo che tali progetti sarebbero bloccati mentre, allo stesso tempo, Eni ha annunciato l’intenzione di investire 50 miliardi in sei anni in Mozambico. Non penso a una strumentalizzazione dei sindacati: ciò che piuttosto vedo è molta preoccupazione, c’è una forte paura nei sindacati e tra le persone. È molto positiva l’affermazione di Descalzi sull’intenzione di non chiudere e di investire: mi piacciono queste sue parole, ma ci vogliono i fatti, e credo che con la manifestazione di lunedì semplicemente si chieda questo, di passare ai fatti. È chiaro che un’industria debba avere i propri profitti, ma è anche vero che c’è una storia tra lo stabilimento Eni e Gela, e che l’Eni è un’azienda di grandi dimensioni a partecipazione statale. Perciò a mio avviso dovrebbe esserci un maggiore intervento anche della politica in questa vicenda. Bisogna pensare alla produttività ma allo stesso tempo anche alla comunità di lavoratori. Non sono un economista e non tocca a me indicare la via pratica della soluzione, o le strategie da perseguire, però sono convinto che si possano fare nuovi investimenti e permettere allo stabilimento, ad esempio anche attraverso il filone del biofuel, di continuare ad operare a Gela.

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1 commento

  1. francesco taddei

    a gela sono i vertici italiani di un’azienda italiana, a terni la volontà di smantellare è tedesca.
    ma che europa siamo?

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